Legambiente: «Una prima risposta deve arrivare dal Piano nazionale clima-energia»

L’Italia perde terreno nella lotta ai cambiamenti climatici, mentre l’Ue avanza

Perse sette posizioni nel Climate change performance index. Pesano «i tagli agli incentivi e l'incertezza normativa», che «stanno ostacolando il settore delle energie rinnovabili»

[10 Dicembre 2018]

A tre anni dall’Accordo di Parigi sul clima le emissioni globali di gas serra sono tornate ad aumentare, mentre gli impegni nazionali per lottare contro i cambiamenti climatici sono ampiamente insufficienti, anche in Italia. La conferma arriva dall’annuale rapporto di Germanwatch sulla performance climatica dei principali paesi del mondo – realizzato in collaborazione con Can e NewClimate Institute, e per l’Italia con Legambiente – presentato questa mattina a Katowice, in Polonia, dov’è il corso la conferenza Onu sul clima.

Il rapporto di Germanwatch prende in considerazione la performance climatica di 56 paesi (più l’Unione europea nel suo complesso), che insieme contribuiscono al 90% delle emissioni globali, e misura le performance dei vari paesi attraverso il Climate change performance index (Ccpi) prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Un punto d’osservazione dal quale emerge un dato di fatto disarmante: nessuno dei Paesi analizzati ha raggiunto la performance necessaria per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici e non superare la soglia critica di +1.5°C rispetto all’era pre-industriale.

Eppure il momento di agire è adesso. Per non abbattere la soglia di sicurezza dei +1.5°C le emissioni globali devono infatti essere dimezzate entro il 2030 rispetto al livello registrato nel 2017, come mostra chiaramente il rapporto elaborato nei giorni scorsi dall’Onu. I prossimi 12 anni saranno cruciali per evitare cambiamenti climatici drammatici e irreversibili, e al momento siamo (ancora) impreparati ad affrontarli.

Nella classifica Germanwatch alcuni Paesi (come la Svezia) si confermano ai vertici della leadership climatica, altri (come il Marocco, ma anche l’India o la Cina) dimostrano che importanti progressi sono stati conseguiti anche dai Paesi in via di sviluppo, ma non mancano drammatici tracolli. Gli Stati Uniti del presidente Trump sono precipitati in penultima posizione (peggio fa solo l’Arabia saudita), e anche l’Italia purtroppo segna passi indietro.

Se infatti l’Unione europea nel suo complesso fa un piccolo passo in avanti posizionandosi al 16° posto rispetto al 21° dello scorso anno, grazie ad una politica climatica più avanzata rispetto a quella degli altri grandi leader mondiali (che ha l’obiettivo di raggiungere entro il 2050 zero emissioni nette), l’Italia perde invece sette posizione e scende al 23esimo posto rispetto al 16esimo dello scorso anno. Risultato raggiunto, nonostante una buona performance nell’uso di energia, per il rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili e soprattutto per l’assenza di una politica climatica nazionale (28a posizione) adeguata agli obiettivi di Parigi.

In particolare, da Germanwatch rilevano che in Italia «i tagli agli incentivi e l’incertezza normativa stanno ostacolando il settore delle energie rinnovabili». Una tendenza che appare evidente sia dallo schema di decreto Fer 1 elaborato dal ministero dello Sviluppo economico – che ad esempio esclude del tutto la geotermia dalle fonti rinnovabili meritevoli di essere incentivate per la produzione di energia elettrica – sia da un target per tutte le rinnovabili al 2030 più basso di quello Ue, come annunciato dal sottosegretario del Mise con delega all’Energia Davide Crippa (M5S).

«Tutti i governi europei sono chiamati a fare la loro parte, a partire dall’Italia – commenta Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente – Una prima importante risposta deve arrivare dal Piano nazionale clima-energia, che dovrà essere trasmesso alla Commissione europea entro la fine di dicembre, nel quale vanno introdotti obiettivi più ambiziosi di quelli attualmente previsti in Europa per il 2030. Un impegno indispensabile non solo per tradurre in azione l’Accordo di Parigi, ma soprattutto per accelerare la decarbonizzazione dell’economia europea. Solo così sarà possibile vincere la triplice sfida climatica, economica e sociale, creando nuove opportunità per l’occupazione e la competitività delle imprese europee, attraverso una giusta transizione che non penalizzi i meno abbienti e le aree periferiche. Una sfida che l’Europa e l’Italia non possono fallire».

L. A.