Lo spreco delle acque reflue depurate, vengono usate solo sullo 0,45% dei terreni irrigati

Su oltre 3.300.000 ettari irrigati, le acque depurate sono utilizzate solo a servizio di 15.000 ettari circa. Nel mentre la desertificazione avanza

[9 Novembre 2020]

L’Italia ha un problema con l’economia circolare delle acque reflue, ovvero le acque di scarico che necessitano di essere depurate e poi possono tornare ad essere re-impiegate. O meglio, i problemi sono molteplici ma da Ecomondo ne è emerso uno con particolare forza: l’impiego praticamente inesistente dell’acqua di riuso in ambito agricolo.

Attualmente, in Italia su oltre 3.300.000 ettari irrigati, le acque depurate sono utilizzate solo a servizio di 15.000 ettari circa, oltre la metà dei quali in Emilia-Romagna. Si tratta dello 0,45% appena dei terreni irrigati.

«Seppur a distanza per l’emergenza Covid, ribadiamo la necessità – spiega Massimo Gargano, direttore generale dell’Anbi – di avviare un confronto fra tutti gli stakeholders in vista della scadenza del 2024, indicata dall´Ue per armonizzare le normative nazionali con il Regolamento comunitario sui requisiti minimi dell’acqua di riuso che, dopo 6 anni di gestazione, è già attuativo, prevedendone l’obbligatorietà in campo agricolo. Attorno al tavolo, oltre ai Consorzi di bonifica ed irrigazione, vorremmo ci fossero il ministero delle Infrastrutture, quello delle Politiche agricole, le Organizzazioni professionali agricole, le associazioni ambientaliste e consumeristiche».

Il problema infatti è di ampio respiro. Nel nostro Paese almeno il 20% del territorio è già a rischio desertificazione, e più del 50% del volume d’acqua complessivamente utilizzato in Italia è destinato all’irrigazione. È chiaro dunque come in questo settore l’applicazione dell’economia circolare possa dare risposte particolarmente forti per la sostenibilità idrica. L’occasione per cambiare passo è arrivata adesso grazie al regolamento che è stato adottato dal Parlamento e dal Consiglio europeo, e che troverà applicazione a decorrere dal 26 giugno 2023. Domai, dal punto di vista progettuale.

«La scadenza comunitaria sarà un´importante occasione di verifica sulla gestione integrata della risorsa idrica e l’uso delle acque reflue va interpretato – sottolinea Gargano – come una risorsa aggiuntiva al fabbisogno idrico dell’agricoltura, senza gravare di ulteriori costi il settore che produce cibo, cioè una funzione indispensabile, come ci ricordano la pandemia e le difficoltà che ne conseguono. Serve quindi una gestione del processo depurativo, che sia condivisa, nonché controllata nell´interesse del territorio e delle sue comunità».

I punti dove è necessario intervenire, lungo la filiera della depurazione, sono dunque ancora molti. In primis i depuratori: circa l’11% dei cittadini italiani non è ancora raggiunto dal servizio, e non a caso l’Europa ha già attivato ben quattro procedure d’infrazione in materia. Per far fronte alla situazione, a maggio il ministero dell’Ambiente ha individuato un commissario unico. Una volta depurate le acque reflue vanno però anche riusate, e qui come visto l’impiego in agricoltura rappresenta un tassello essenziale.

Infine, gli scarti: come da ogni economia circolare esitano, dal processo di depurazione esitano comunque altri scarti – i fanghi di depurazione, classificati come rifiuti speciali – che è necessario poter gestire secondo logica di sostenibilità. Ad oggi in Italia se ne producono circa 3 milioni di tonnellate (il 56,3% è stato smaltito e solo il 43,7% recuperato)  e cresceranno ancora quando salirà il numero dei depuratori. Per gestirli servono impianti adeguati: quali? E soprattutto dove? Si tratta di domande che richiamano a un’urgente necessità di pianificazione, soprattutto adesso che l’impiego delle risorse Recovery fund potrebbe dare una spinta concreta a questa fondamentale fetta dell’economia circolare.