Miraggio sostenibilità in Italia, dove i ricchi guadagnano sei volte più dei poveri

L’Istat certifica che, prima ancora che arrivasse la crisi Covid-19, un quarto della popolazione nazionale era già a rischio povertà o esclusione sociale

[23 Dicembre 2020]

Partendo dal fatto che lo sviluppo sostenibile poggia su tre assi – sostenibilità ambientale, sociale ed economica – la fotografia scattata oggi dall’Istat sulle condizioni di vita degli italiani, peraltro con dati 2019 e dunque sicuramente migliori di quelli di quest’anno affossati dal Covid-19, è deprimente, inaccettabile moralmente e preoccupante.

Deprimente perché l’esercito dei connazionali a rischio di povertà, nel 2019, è composto dal 20,1% delle persone residenti in Italia ovvero circa 12 milioni e 60 mila individui (cioè esse hanno un reddito netto equivalente nell’anno precedente pari a 858 euro al mese). La popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale invece arriva a oltre un quarto del totale: al 25,6%, ovvero circa 15 milioni 390 mila persone.

Tutto questo si ribalta sulla disuguaglianza così: il reddito totale delle famiglie più abbienti continua a essere sei volte quello delle famiglie più povere.

Spiegato ‘statisticamente’, considerando che per misurare la disuguaglianza è possibile ordinare gli individui dal reddito equivalente più basso a quello più alto, classificandoli in cinque gruppi (quinti), il rapporto fra il reddito equivalente totale ricevuto dal 20% della popolazione con il più alto reddito e quello ricevuto dal 20% della popolazione con il più basso reddito, è pari a 6. Una bella differenza (anche se in calo nel 2018, ma che certamente peggiorerà nel 2020), che assume proporzioni ciclopiche ampliando il campo d’osservazione. Come già osservato su queste pagine oggi il patrimonio del 5% più ricco degli italiani supera quello dell’80% più povero, mentre – guardando al reddito – oltre il 70% della popolazione italiana è più povera di 30 anni fa. Minando alla base quella coesione sociale necessaria allo sviluppo sostenibile.

Fin qui il “deprimente” e socialmente inaccettabile, ma poi c’è anche il “preoccupante”, perché, come abbiamo già rimarcato in passato, minando in questo modo la base quella coesione sociale, non ci sono le basi per portare avanti le riforme necessarie per progredire anche in campo ambientale ed economico. Come si fa a chiedere attenzione alle questioni ambientali quando non si arriva alla fine del mese? La domanda appare retorica e banale, ma è questa la situazione reale. Basso reddito significa purtroppo anche troppe volte bassa scolarizzazione. Altro elemento dirimente per la svolta sostenibile. Basso reddito significa spesso anche bassa propensione a consumi consapevoli, per dirne un’altra.

E come sempre, purtroppo, è il Mezzogiorno il luogo dove la disuguaglianza reddituale è più accentuata. Il sud, con un valore minimo di 29.876 euro (contro 36.416 euro della media nazionale) presenta il livello di disuguaglianza più elevato, il nord-est quello più basso: qui il reddito è pari a 40.355 euro, anche se in diminuzione rispetto al 2017 (41.019 euro).

Se poi inseriamo l’Italia nel contesto europeo, tutto si accentua maggiormente: sulla base dei redditi netti senza componenti figurative e in natura (secondo la definizione armonizzata a livello europeo), nel 2018 il valore stimato dell’indice di Gini per l’Italia è pari a 0,328, in lieve diminuzione rispetto al 2017 (quando era 0,334) ma sempre più alto rispetto agli altri grandi Paesi europei (Francia 0,292, Germania 0,297). Nella graduatoria crescente dei Paesi dell’Ue28, per i quali è disponibile l’indicatore (27 paesi), l’Italia occupa la diciannovesima posizione, guadagnando due posti rispetto al 2017, quando era ventunesima.

Siamo insomma tra i Paesi dove i salari sono tra i più bassi d’Europa e il potere d’acquisito peggiora sempre più. La disuguaglianza è incettabile e non permette voli pindarici legati alla sostenibilità, perché come abbiamo visto dal recente sondaggio dell’Ipsos agli italiani fa addirittura più paura la recessione economica delle conseguenze sanitarie del Covid-19. La scelta della sostenibilità nella sua triplice declinazione ambientale, economica e sociale, è dunque un’urgenza e non più una scelta.