A Slow fish i dati raccolti da ministero dell’Ambiente, Ispra e 15 Arpa

Nei mari italiani galleggiano 179.023 particelle di rifiuti in plastica per km quadrato

Analizzati anche i resti di 150 tartarughe spiaggiate, il 68% presentava plastica ingerita

[9 Maggio 2019]

Si è aperta oggi a Genova (dove rimarrà fino a domenica) la nona edizione di Slow fish, la manifestazione internazionale dedicata al pesce e alle risorse del mare, organizzata da Slow food con cadenza biennale, che mette quest’anno al centro del dibattito un tema cruciale: l’inquinamento provocato dai rifiuti marini, costituiti in larga parte da plastica. «La densità dei microrifiuti plastici inferiori ai 5 mm ritrovati sulla superficie marina è di 179.023 particelle per km quadrato», dichiara il presidente del comitato scientifico di Slow fish Silvio Greco. «Questo ci fa riflettere soprattutto sull’incuria che abbiamo avuto nei confronti del mare in passato, perché queste particelle sono il risultato della frammentazione di tutto ciò che abbiamo gettato indiscriminatamente pensando che il mare fosse la nostra discarica naturale». Basti pensare infatti che i tempi di degradazione in mare per le bottiglie di plastica sono stimati in 500-1000 anni, mentre passiamo a 20-30 per i bastoncini cotonati e a 10-20 anni per le buste di plastica.

I dati sono quelli raccolti dal ministero dell’Ambiente in collaborazione con Ispra e le 15 Arpa costiere, e presentati oggi per la prima volta: l’analisi  rientra nelle misure da mettere in atto dopo il recepimento della Direttiva quadro 2008/56/CE sulla strategia per l’ambiente marino. «I dati sono il risultato dell’analisi condotta dal 2015 al 2017 – spiega Irene Di Girolamo, referente Ambiente marino del sottosegretario all’Ambiente Salvatore Micillo – e costituiscono la fotografia dello stato attuale del nostro mare. Al termine del secondo ciclo di analisi, nel 2021, potremo fare un confronto preciso e capire se le prime misure messe in atto hanno dato i loro frutti e se la strada intrapresa è quella giusta».

Tra le aree, monitorate due volte l’anno, troviamo le spiagge, le stazioni di profondità e la superficie marina, oltre agli esemplari di tartarughe spiaggiate e successivamente analizzate. «Ne emerge un quadro significativo», continua Greco. «Con una media di 777 rifiuti spiaggiati ogni 100 metri lineari. La plastica – incluse bottiglie, sacchetti, cassette in polistirolo, lenze da pesca in nylon – emerge come il materiale più abbondante con una percentuale dell’80%». Tra i 10 e gli 800 metri di profondità la media degli oggetti per km quadrato passa da 66 e 99: anche qui la plastica è il materiale predominante con il 77%, rappresentata da buste, involucri per alimenti e attrezzi da pesca.

Rifiuti che hanno profonde conseguenze anche sullo stato della biodiversità marina, pesci e tartarughe in primis. Dall’analisi di 150 esemplari di tartarughe Caretta caretta spiaggiate è infatti emerso che il 68% presentava plastica ingerita. «Diversamente da quanto atteso, l’80% dei rifiuti plastici spiaggiati censiti nelle spiagge risulta derivare dai fiumi, mentre il 20% è scaricato direttamente in mare. Dato, questo, che dovrebbe farci riflettere in merito al fatto che la cura dei mari comincia dai nostri comportamenti a terra», argomenta Greco. «Insomma, da questi dati emerge un quadro sicuramente da tenere sotto controllo: alcune aree risultano più contaminate di altre, ma si tratta di un punto di partenza fondamentale per muovere i prossimi passi», Di Girolamo

In questi anni il tema è già stato peraltro ampiamente affrontato dalle associazioni ambientaliste, come testimonia da ultimo la campagna di monitoraggio effettuata da Legambiente e Corepla (il  Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica) sulle spiagge di Campania e Puglia, restituendo ogni volta risultati simili. Il problema è come affrontarli.

È infatti troppo facile scaricare la responsabilità sul materiale in sé (la plastica in questo caso) o semplicemente denunciare la presenza di rifiuti, che in mare non sono certo finiti da soli. Si tratta infatti di spazzatura sfuggita a una corretta gestione a causa di comportamenti incivili o che proviene dagli scarichi non depurati, dall’abitudine di utilizzare i wc come una pattumiera, ma anche dalla cattiva gestione dei rifiuti domestici data dalla negligenza dei cittadini. È dunque evidente come sia necessario potenziare la filiera industriale per la gestione dei rifiuti a terra, e portare avanti un’efficace comunicazione ambientale per coinvolgere attivamente i cittadini. Per affrontare invece più nello specifico il problema dell’inquinamento marino da plastica la cornice normativa più aggiornata è offerta dalla direttiva Ue che prevede il divieto di molti prodotti in plastica monouso al 2021 e incoraggia l’impiego di plastica riciclata. Si tratta di ripensare l’intera filiera, favorendo – magari tramite l’introduzione di appostiti crediti d’imposta, come suggeriscono le imprese di settore – l’effettivo riciclo dei rifiuti in plastica, che devono diventare nuovi prodotti e non rifiuti nei nostri mari.