Non solo Covid-19, in Italia l’emergenza clima continua ad avanzare: Ispra, +1,56°C

Il nostro Paese già oggi si surriscalda più velocemente della media globale, ma la lotta ai cambiamenti climatici è ferma al palo

[13 Luglio 2020]

Mentre il Governo sta comprensibilmente valutando se prorogare lo stato di emergenza causa Covid-19 al 31 ottobre o a fine anno, l’ancor più grave emergenza legata al clima continua ad avanzare pressoché indisturbata nel nostro Paese: il report Gli indicatori del clima in Italia nel 2019, pubblicato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) mostra una situazione a livello nazionale già ben più grave di quella riscontrata come media globale.

«Il 2019, con +1.56°C, è stato – documenta Ispra – il 23° anno consecutivo con anomalia positiva di temperatura rispetto al valore climatologico di riferimento 1961-1990; otto dei dieci anni più caldi della serie storica sono stati registrati dal 2011 in poi, con anomalie comprese tra +1.26 e +1.71°C. Ad eccezione di gennaio e maggio, in tutti i mesi la temperatura media nazionale è stata nettamente superiore alla media, con un picco di +3.82°C a giugno».

Dunque l’Italia si sta surriscaldando a velocità più elevata rispetto alla media globale: significa che qui la crisi legata al clima è già adesso più allarmante che altrove. Se nel 2019 l’anomalia della temperatura media globale sulla terraferma è stata di +1.28°C rispetto al periodo 1961-1990, in Italia si arriva a +1,56°C.

Non solo: lo scarto aumenta insieme al periodo di tempo considerato. Se guardiamo al 2018, l’anno più caldo per l’Italia da oltre due secoli, scopriamo che «l’aumento rispetto al periodo 1880-1909 è pari circa a 2,5°C, quindi più del doppio del valore medio globale», come spiegato dal Wwf citando dati Cnr.

Un trend che si accompagna all’aumento di eventi meteorologici estremi, che oscillano tra siccità, ondate di calore – a giugno 2019 si sono verificate anomalie pari a +4.25°C al Nord, +4.0°C al Centro, +3.27°C al Sud e Isole – e bombe d’acqua. Come spiega Ispra anche nel corso del 2019 mesi molto piovosi si sono alternati ad altri più secchi, con picchi rilevanti: al Nord il mese relativamente più piovoso è stato novembre, con un picco di anomalia positiva di +200%, mentre al Centro e al Sud i mesi relativamente più piovosi sono stati maggio (rispettivamente +142% e +122%). I mesi più secchi rispetto alla media sono stati invece giugno (soprattutto al Centro, anomalia di -86%) seguito da marzo, (soprattutto al Centro e al Nord, anomalia rispettivamente -76% e -72%).

Non sono mancati anche eventi estremi rilevanti: l’Ispra ricorda l’intensa perturbazione che il 21 ottobre ha investito Liguria e Piemonte (fra le province di Genova e Alessandria), con precipitazioni di intensità eccezionale sugli intervalli di 12 e 24 ore e la prolungata fase di maltempo del mese di novembre, che ha portato persistenti e abbondanti piogge su tutto il territorio nazionale, con totali medi areali tra 2 e 3 volte superiori alle attese.

Infine la siccità, che riguarda ormai soprattutto ma non solo il sud Italia nell’indifferenza pressoché generale: i valori più elevati del numero di giorni asciutti nel 2019 si registrano a Catania (318 giorni); valori elevati si osservano anche in Pianura Padana, su Liguria di Levante, sulla costa toscana e del Lazio settentrionale, sulle coste adriatica, ionica e su gran parte di Sicilia e Sardegna.

Dall’analisi del clima emerge dunque un contesto complessivamente drammatico per l’Italia, di fronte a un’azione di risposta che rimane assolutamente inadeguata. Proprio a fine 2019 la Camera ha approvato una mozione sull’emergenza climatica, cui è seguita un mese fa un’azione simile da parte del Senato, ma oltre a dichiarare l’emergenza non si fa molto altro per contrastarla: il Piano nazionale di adattamento ai  cambiamenti climatici è chiuso in un cassetto sotto forma di bozza dal 2017, mentre il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) ufficializzato a gennaio 2020 dovrà già essere rivisto di fronte alle più ampie ambizioni europee.

In compenso, i progressi effettivamente conseguiti sui territori non riescono a tenere il passo neanche coi blandi obiettivi previsti dal Pniec vigente: soffermandosi soltanto ad analizzare il trend delle energie rinnovabili, per Legambiente gli obiettivi fissati al 2030 verrebbero raggiunti «con 20 anni di ritardo», mentre il Coordinamento free si spinge a spostare l’asticella tra 67 anni.