Nuovo «massimo storico» per le emissioni di CO2 nel mondo, obiettivi climatici più lontani

Si tratta «del più alto tasso di crescita» dal 2013, spiega l’Agenzia internazionale dell’energia

[26 Marzo 2019]

L’International energy agency (Iea) ha pubblicato oggi il proprio rapporto annuale, con cui analizza i principali trend energetici del 2018 e le relative emissioni di CO2, mettendo a nudo quanto siano inadeguati per evitare cambiamenti climatici devastanti e irreversibili: non solo le emissioni di CO2 legate all’impiego di energia non sono diminuite, ma risultano addirittura aumentate dell’1,7% (+560 Mt, l’equivalente di tutte le emissioni dell’aviazione internazionale) toccando il «massimo storico» di 33,1 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2. Si tratta «del più alto tasso di crescita» dal 2013, e risulta legato sia a una robusta crescita economica sia alle mutate condizioni climatiche che hanno portato in molte aree del mondo a un incremento della domanda di energia per raffrescamento e riscaldamento: un cane che si morde la coda.

Secondo la Iea, a livello globale la domanda di energia nel 2018 è cresciuta del 2,3%, ovvero al ritmo più veloce di tutto il decennio, con Cina, India e Usa responsabili da soli dell’85% dell’aumento nelle emissioni di CO2. In Europa invece, nonostante un’espansione economica pari all’1,8%, la domanda di energia è cresciuta “solo” dello 0,2% e le relative emissioni di CO2 sono calate dell’1,3% (- 50 Mt), soprattutto grazie a una diminuzione del 4,5% registrata in Germania.

Anche le energie rinnovabili sono continuate a crescere nel corso del 2018, ma a un ritmo ancora insufficiente. La domanda di energia da rinnovabili è aumentata del 4%, e nel 2018 su queste fonti si è concentrato il 45% della crescita mondiale della produzione di elettricità; la Cina è responsabile del 40% di tutta questa crescita, seguita dall’Europa (25%), ma ancora non basta. Per raggiungere quello che la Iea chiama “Sustainable development scenario” le energie rinnovabili dovranno passare dal produrre il 25% di tutta l’elettricità mondiale al 40%; dall’attuale 10% di calore al 25%; dal 3,5% nel settore dei trasporti al 19%. Il tutto entro il 2040.

Uno sforzo che rischia però di essere vanificato se nel mentre non si ridurrà fino ad azzerarsi il consumo delle fonti fossili, in primis il carbone, che ancora oggi rappresenta la prima fonte per la produzione di elettricità al mondo (seguito dalle rinnovabili). Il problema è che stiamo ancora andando in direzione contraria – nel 2018 la domanda di carbone è cresciuta dello 0,7%, soprattutto in Cina, India e nel Sud-est asiatico –, nonostante anche la Iea confermi che l’uso del carbone rimane la principale causa del riscaldamento globale: la CO2 legata a questo combustibile fossile è infatti responsabile per oltre 0,3 °C sul circa +1 °C di riscaldamento globale registrato finora a livello globale rispetto all’era pre-industriale.

Da questo punto di vista l’Italia si schiera tra i Paesi relativamente virtuosi, avendo deciso già tramite la Strategia energetica nazionale (Sen) approvata nel 2017 di uscire dal carbone entro il 2025, una scelta confermata dal Governo in carica; lo stesso Governo ha però presentato una proposta di Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) che risulta ancora ampiamente insufficiente a rispettare gli impegni climatici che l’Italia si è assunta ratificando l’Accordo sul clima di Parigi. In compenso, visto il ritorno del nostro Paese in recessione economica, è improbabile che a breve termine possa registrarsi una nuova impennata delle nostre emissioni; si tratta però di decrescita infelice e non governata, non sviluppo sostenibile.