Obiettivi Onu di sviluppo sostenibile, Istat: ecco a che punto è l’Italia

Disuguaglianza e povertà, energia sostenibile e innovazione: il futuro del Paese passa da 17 goal

[10 Luglio 2018]

Nel corso della 13esima Conferenza nazionale di statistica, conclusasi a Roma nei giorni scorsi, l’Istat ha presentato il suo primo rapporto sugli Obiettivi Onu di sviluppo sostenibile (Sdgs) al 2030: si tratta di un documento molto utile per capire se l’Italia si sta muovendo o meno nella direzione giusta, con quale intensità, e soppesare la necessità di cambiamenti nelle politiche pubbliche. «Gli indicatori statistici possono essere importanti strumenti per orientare i processi decisionali», ha ricordato non a caso Angela Ferruzza dell’Istat, presentando il rapporto alla platea.

E gli Obiettivi su cui migliorare di certo non mancano, come già emerso in passato dalle analisi portate avanti dall’ASviS, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile.

Secondo l’Istat, il quadro sintetico degli andamenti tendenziali dell’ultimo decennio «indica sviluppi positivi con riferimento agli obiettivi istruzione di qualità (goal 4), industria, innovazione e infrastrutture (goal 9), consumo e produzione (goal 12)». Si tratta però di 3 obiettivi su 17, quelli delineati dall’Onu e che l’Italia si è impegnata a raggiungere.

Naturalmente, l’evoluzione dei risultati negli ultimi dieci anni è stata profondamente influenzata dalla crisi economica, il cui effetto secondo l’Istat «è evidente dall’analisi dei dati del quinquennio che va dal 2006 al 2011, con un numero maggiore di indicatori che peggiorano per gli obiettivi 1 (povertà), 8 (lavoro), 11 (città) e per il goal 7 (energia sostenibile). Registrano andamenti tendenziali leggermente positivi gli indicatori relativi ai goal 4 (istruzione), 5 (uguaglianza di genere), 9 (industria, innovazione ed infrastrutture) e 12 (consumo e produzione)».

L’Istituto nazionale di statistica rileva però «moderati progressi» nel quinquennio a noi più vicino, quello che spazia dal 2011 al 2016: «Si attenuano le variazioni fortemente negative, presenti nel goal 1 (povertà) e 11 (città), oltre a quella del goal 3 (salute); presentano variazioni leggermente positive i goal 4 (istruzione), 5 (uguaglianza di genere), 7 (energia sostenibile), 9 (industria, innovazione e infrastrutture) e 12 (consumo e produzione); più del 30% degli indicatori rimangono invariati, in particolare per i goal 8 (lavoro), 16 (pace, giustizia ed istituzioni), 10 (ridurre le disuguaglianze)».

Una timida ripresa, dunque, anche se largamente insufficiente. Proprio l’obiettivo numero 10 – ovvero “ridurre le disuguaglianze” – ne dà la dimostrazione plastica: come spiega l’Istat, «fino al 2007, la crescita in Italia dei redditi della popolazione a più basso reddito è stata più elevata di quella dei redditi complessivi. Dal 2008, a causa della crisi economica, le flessioni osservate sono state più pesanti per i redditi relativamente più bassi. Contestualmente, è aumentata la disuguaglianza del reddito disponibile, che ha toccato il valore minimo (5,2 ) nel 2007 e quello massimo (6,3) nel 2015. Nel 2016 con il 19,1% del reddito disponibile per il 40% più povero della popolazione (indicatore utilizzato da Eurostat per confrontare i livelli di disuguaglianza tra i paesi Ue), l’Italia si pone al di sotto della media europea che, a sua volta, è diminuita nel tempo, passando dal 21,1% del 2011 al 20,9% del 2016».

Peccato che questa fondamentale mole di dati, determinante nel tracciare i veri problemi e le opportunità del Paese, rimanga per larghissima parte al di fuori del dibattito politico – che di questi problemi e queste opportunità dovrebbe invece occuparsi. «Uno dei motivi per cui il dibattito politico è poco influenzato da dati di questo tipo – ha concluso il portavoce ASviS Enrico Giovannini, durante il suo intervento alla Conferenza – è che riguardano il passato, mentre i politici e i media sono interessati a discutere quello che accadrà. Il problema si risolve in due modi: sviluppando modelli prospettici e analizzando la ‘distance to target’, in altre parole mostrando la probabilità di raggiungere l’obiettivo». Un esempio concreto? Il goal numero 4: «Se guardiamo all’educazione possiamo dedurre che abbiamo fatto passi avanti, ma siamo dove l’Europa era 10 anni fa, quindi lontani dai target nonostante il miglioramento».