Occhi puntati sull’ecomafia, ma a restare nell’ombra sono le leggi spazzatura

Nel 2014 il Pil italiano è calato dello 0,4%, mentre la criminalità ambientale ha incassato 7 miliardi in più

[30 Giugno 2015]

Se le performance economiche dell’Italia avessero replicato quelle dell’ecomafia che sul nostro territorio prolifica, oggi i nostri conti sarebbero più floridi che mai. Lo testimonia Legambiente, che con il suo dossier Ecomafia 2015 (realizzato con il contributo di Cobat e pubblicato da Marotta e Cafiero editori) traccia le coordinate di un business illegale in tragica espansione.

Secondo i numeri messi in fila dal Cigno verde il 2014 si è chiuso con 29.293 reati accertati (il 48% dei quali portato alla luce dal Corpo forestale dello Stato, che il governo Renzi oggi vorrebbe smembrare), ossia «circa 80 al giorno, poco meno di 4 ogni ora, per un fatturato criminale che è cresciuto di 7 miliardi rispetto all’anno precedente raggiungendo la ragguardevole cifra di 22 miliardi». Come ogni investimento redditizio che si rispetti, quello nell’ecomafia è inoltre ben diversificato, sia geograficamente che per settori economici.

Nel mirino degli ambientalisti sono infatti finite attività che spaziano dal ciclo dei rifiuti al racket degli animali, dall’agroalimentare al cemento, con accurata profilazione dei curriculum più ricercati nel mercato dell’illegalità. Tra i professionisti dell’ecomafia spuntano infatti il trafficante dei rifiuti, l’imprenditore edile colluso con la  mafia, l’uomo del supermarket che ricicla denaro sporco, il tecnico, l’esperto e il consulente per estendere il raggio del proprio business, e ovviamente il politico locale e il funzionario pubblico corrotto, figure indispensabili per oliare i meccanismi giusti.

Anche perché, è bene ricordarlo, per l’ecomafia trovare una spalla più o meno consapevole nell’apparato pubblico è fondamentale. Sono state infatti «ben 233 le inchieste ecocriminali in cui la corruzione ha svolto un ruolo cruciale, secondo Legambiente, e la prima regione dove il fenomeno corruttivo si è maggiormente diffuso è ormai la Lombardia, seguita dalla Sicilia. È proprio la corruzione, sottolinea la direttrice nazionale di Legambiente Rossella Muroni, ad essere diventata «il principale nemico dell’ambiente a causa delle troppe amministrazioni colluse, degli appalti pilotati, degli amministratori disonesti e della gestione delle emergenze che consentono di aggirare regole e appalti trasparenti».

Il supporto però maggiore che arriva – più o meno consapevolmente – dalla cosa pubblica all’ecomafia continua però a rimanere ai margini dell’analisi e la denuncia: le cattive leggi. Da quando Legambiente ha coniato (e iniziato a monitorare, con un lavoro certosino quanto prezioso) il neologismo “ecomafia”, nel lontano 1994, la dimensione della criminalità legata all’ambiente non ha fatto che aumentare. Nel 2014 il Pil italiano è calato dello 0,4%, mentre l’ecomafia ha incrementato i propri introiti di ben 7 miliardi. Ancora, dal 2008 a oggi il settore delle costruzioni ha perso il 32% degli investimenti, mentre gli illeciti nel ciclo del cemento hanno incassato nel 2014 un sonante +4,3%. Con tutti i meno che hanno caratterizzato l’economia (legale) italiana in crisi, a quale più si è agganciata l’ecomafia per crescere?

Una parte significativa della risposta sta nell’abnorme e incomprensibile produzione legislativa italiana, piena di scappatoie per i criminali e di pastoie per imprenditori e cittadini onesti. Basti pensare alla bulimia dei commi legislativi, recentemente balzata agli onori della cronaca grazie al Sole 24 Ore. «Nei sette anni di fuoco dal 2008 ad oggi – rivela uno studio appena elaborato dal Comitato per la legislazione della Camera – tra leggi, decreti e maxi emendamenti in Parlamento se ne è fatta una grande raccolta. Ben 11.694 con le leggi ordinarie, addirittura 14.082 nelle leggi di conversione dei decreti […] Insomma: sette anni, dal 2008 a metà 2015, con un carico di 25.776 commi».

Le leggi spazzatura lievitano senza sosta, e con loro l’ecomafia. Senza certezza del diritto (e del dovere!) e  buona comunicazione sui territori si frena lo sviluppo della parte sana dell’imprenditoria, e la gestione intelligente di problemi cui in un modo o nell’altro occorre dare soluzione. In che rapporto sta ad esempio, quel +26% di reati accertati nel ciclo dei rifiuti con la mancanza di impianti dedicati sul territorio al trattamento e stoccaggio di rifiuti pericolosi? Si tratta di un deficit cronico, di fronte a una massa di rifiuti speciali che in Italia ammonta a 4 volte gli urbani, ma nonostante ciò il dibattito pubblico italiano è come noto arenato sullo slogan rifiuti zero.

Nonostante tutto, per Legambiente il 2015 potrebbe un anno «spartiacque» nella lotta all’ecomafia grazie alla legge n. 68 del 22 maggio 2015, che ha introdotto i delitti contro l’ambiente nel Codice Penale: gli ecoreati. L’ottimismo della volontà è sempre apprezzabile, ma il pessimismo della ragione suggerisce che l’inversione di rotta potrà esserci solo quando in Italia si riuscirà a legiferare meno, e soprattutto meglio.