Oceani sostenibili: non c’è blue economy senza equità sociale e governance efficace

Le aree di investimento per realizzare nei 5 continenti una blue economy giusta e che tenga conto delle differenze

[31 Marzo 2021]

Un oceano futuro globale equo e sostenibile, che si può tradurre in quella che viene chiamata blue economy, dipende da qualcosa di più delle risorse disponibili per il progresso tecnologico e l’espansione dell’industria. Lo studio “Enabling conditions for an equitable and sustainable blue economy”, pubblicato recentemente su Nature  da un team internazionale guidato dalla Nippon Foundation Ocean Nexus Center dell’UW EarthLab dell’università di Washington – Seattle, evidenzia che «Le condizioni socioeconomiche e di governance come la stabilità nazionale, la corruzione e i diritti umani influenzano notevolmente la capacità regionale di realizzare una blue economy».

Anche se esiste un esteso sulla necessità di un approccio innovativo per garantire che la blue economy sia socialmente equa, sostenibile dal punto di vista ambientale ed economicamente sostenibile, molte organizzazioni e decision makers  stanno tornando a pratiche di sviluppo business-as-usual, ma lo studio avverte che «Concentrandosi su dove si trovano le risorse e su come estrarle, i responsabili politici rischiano di escludere dal processo decisionale le persone che dipendono maggiormente dall’oceano per il proprio sostentamento».

Basandosi su dati globali disponibili pubblicamente, lo studio classifica i criteri per i 5 continenti abitati: Africa, Americhe, Asia, Europa e Oceania e «Identifica le aree di investimento e ricerca attraverso le”condizioni abilitanti” necessarie per sviluppare le risorse oceaniche disponibili in modo coerente con un’economia blu che sia socialmente equa, sostenibile dal punto di vista ambientale ed economicamente sostenibile». Queste condizioni favorevoli comprendono: lotta alla corruzione, equità economica e di gruppo, uguaglianza di genere, diritti umani, biodiversità, habitat, qualità dell’acqua, infrastrutture, investimenti e stabilità nazionale.

Il principale autore dello studio, Andrés Cisneros-Montemayor, vicedirettore del Nippon Foundation Ocean Nexus Center e ricercatore dell’Institute for the Oceans and Fisheries dell’università della British Columbia, sottolinea che «Quando si parla del futuro dell’economia oceanica, c’è molta attenzione sulle risorse stesse, come i pesci, le mangrovie, l’eolico offshore e così via. E’ fantastico saperlo, ma la domanda più importante che dobbiamo porci è: come faremo ad assicurarci di sviluppare queste risorse in modi che vadano effettivamente a beneficio delle comunità locali? Altrimenti si torna al business-as-usual, in cui solo pochi beneficiano delle risorse oceaniche. Questo è ciò che la Blue Economy sta cercando di cambiare».

Dallo studio infatti viene fuori che  i fattori che contribuiscono maggiormente alle differenze tra i continenti nella realizzazione di una blue economy non sono legati alle risorse oceaniche locali, ma a condizioni favorevoli come i diritti umani, la stabilità nazionale e la corruzione.

I ricercatori fanno presente che «Le risorse oceaniche sono distribuite ampiamente ma in modo frammentario in tutto il mondo, quindi non tutti i luoghi saranno in grado di sviluppare tutti i settori oceanici, almeno non su larga scala. Questo significa che dobbiamo riflettere con molta attenzione e coinvolgere le comunità locali nel decidere quali settori oceanici sono i più appropriati per un dato luogo. Riconoscere e includere un’ampia gamma di stakeholders e prospettive è un passo fondamentale in tutte le regioni».

In Africa, l’interesse si è concentrato sull’estrazione di risorse come petrolio e minerali dei fondali marini, ma si tratta di materie prime che potrebbero non supportare al meglio gli obiettivi di sviluppo africano per sostenere i mezzi di sussistenza locali e aumentare la sicurezza alimentare, che invece richiedono di favorire la pesca artigianale costiera e su piccola scala (esclusa la maricoltura).

In Centro e Sud America, l’importanza del capitale naturale (ricchezza di biodiversità e qualità dell’habitat) e un interesse generale per l’ecoturismo e la maricoltura sono comunemente condivisi. Tuttavia, la loro pianificazione nella Blue Economy è ancora poco chiara. Per lo studio, «Sarà importante conciliare gli obiettivi e le strategie tra  Paesi con storie coloniali condivise e le attuali sfide per le aspirazioni di sviluppo, nonché la capacità finanziaria».

L’Asia presenta i gap più ampi, con bassi punteggi per le “condizioni abilitanti” e un’elevata disponibilità di risorse in luoghi come il Triangolo dei Coralli. Molti piani nazionali si concentrano su settori che richiedono capitali, come la navigazione e la tecnologia marina, ma i valori delle comunità costiere si trovano ancora nelle risorse marine viventi – come la pesca artigianale e la maricoltura, l’ecoturismo o l’assorbimento del carbonio – che potrebbero portare benefici sociali alle aree rurali.

L’Unione Europea si è concentrata sulle grandi infrastrutture con investimenti imprenditoriali in settori come l’energia eolica offshore e la maricoltura. Sebbene la pesca sia stata recentemente integrata nella  pianificazione della blue economy europea, secondo lo studio «Restano interrogativi sui risultati di equità di uno sviluppo incentrato sulla crescita, che potrebbe far avanzare un ulteriore consolidamento del capitale».

L’Oceania – almeno i suoi piccoli Stati insulari – ha dato la priorità agli obiettivi comunitari, utilizzi tradizionali delle risorse e ai settori emergenti che possono essere sviluppati in conformità con gli obiettivi di sviluppo locale. Lo studio sottolinea che «Il sostegno internazionale a queste iniziative è importante e utile solo quando i loro approcci assicurano il sostegno ai bisogni e alle culture locali».

Yoshitaka Ota, direttore della Nippon Foundation Ocean Nexus Center e che insegna alla School of marine and environmental affairs dell’università di Washington ricorda che «Quando si pianifica uno sviluppo oceanico o costiero, i decision makers si concentrano sui dati disponibili per informare le loro decisioni. Il fatto è che abbiamo molti più dati sulle risorse che su come lo sviluppo avrà effettivamente un impatto sulle persone che ne sopportano il rischio e gestiscono l’amministrazione dell’area. Questo documento è il nostro tentativo di iniziare a raccogliere i dati per ciò di cui abbiamo effettivamente bisogno di sapere e di iniziare la discussione sugli impatti dell’equità con termini e numeri concreti. Questi sono passaggi necessari per fermare l’approccio dominante, uguale per tutti, che ignora le implicazioni sociali e i valori diversi».

Nel 2020, The Nippon Foundation e UW EarthLab hanno lanciato l’Ocean Nexus Center, un programma decennale che si impegna a trasformare la governance degli oceani in modo che tutti possano beneficiare degli oceani in modo equo e lo studio è stata sviluppato dal network di ricerca interdisciplinare del Nippon Foundation Nereus Program e dal Nippon Foundation Ocean Nexus Center all’UW EarthLab.

Il presidente della Nippon Foundation, Yohei Sasakawa, conclude: «La Nippon Foundation si impegna a sostenere il futuro della sostenibilità degli oceani. Questa nuova ricerca aiuta noi e altre organizzazioni ad avere una visione olistica degli oceani e del rapporto con la società, andando oltre le risorse, in modo da poter vedere il vero potenziale e l’impatto per gli esseri umani».