Parte il decommissioning della centrale nucleare di Latina, solo la prima fase costerà 270 milioni di euro

Sogin: «Si tratta di un passaggio cruciale per la chiusura del ciclo nucleare italiano». Ma del Deposito unico nazionale dove conferire i rifiuti radioattivi si è persa ogni traccia

[21 Maggio 2020]

Il ministero dello Sviluppo economico ha approvato, su parere dell’Autorità di sicurezza nucleare (Isin) e delle altre istituzioni competenti, il decreto di disattivazione della ex centrale nucleare di Latina: questo significa che finalmente può entrare nel vivo il decommissioning dell’impianto, la cui costruzione è iniziata nel 1958.

Nel maggio 1963, quella che allora era la più grande centrale nucleare d’Europa (con una potenza elettrica di 210 MWe), iniziò a produrre elettricità: è stata la prima centrale nucleare italiana a tagliare il traguardo, ma la sua attività è durata pochissimo fermandosi nel 1987 all’indomani del referendum sul nucleare. Alcune attività minori di smantellamento sono state realizzate nel corso dei decenni, ma oggi l’impianto è ancora lì.

Il provvedimento del Mise consente adesso a Sogin di avviare le attività previste nella fase 1 del programma generale di decommissioning dell’impianto, con il duplice obiettivo di incrementare i livelli di sicurezza e ridurre l’impatto ambientale.

Le principali attività previste riguardano lo smantellamento dei sei boiler, per un peso complessivo di oltre 3.600 tonnellate, e l’abbassamento dell’altezza dell’edificio reattoreda 53 a 38 metri, che modificherà lo skyline del sito; saranno inoltre smantellati edifici e impianti ausiliari.

«Siamo soddisfatti – commenta l’ad di Sogin, Emanuele Fontani – per l‘emissione del decreto, il quinto dopo quelli ottenuti per l’impianto di Bosco Marengo e le centrali di Trino, Garigliano e Caorso. Si tratta di un passaggio cruciale per la chiusura del ciclo nucleare italiano, che ci consente di entrare nel vivo del decommissioning della centrale pontina».

La centrale di Latina è l’ultima delle quattro centrali nucleari italiane ad ottenere il decreto di disattivazione. Per l’impianto la conclusione della prima fase del decommissioning è prevista nel 2027, per un valore complessivo delle attività di 270 milioni di euro.

Al termine, i rifiuti radioattivi, pregressi e prodotti dal decommissioning, saranno stoccati in sicurezza sul sito, sia nel nuovo deposito temporaneo, sia in alcuni locali dell’edificio reattore appositamente adeguati così da non realizzare ulteriori strutture.

Con la disponibilità del Deposito unico nazionale sarà invece possibile avviare la seconda e ultima fase, con lo smantellamento del reattore a gas grafite: quando tutti i rifiuti radioattivi saranno conferiti al Deposito unico nazionale e i depositi temporanei saranno demoliti, il sito verrà rilasciato, senza vincoli di natura radiologica, e restituito alla collettività per il suo riutilizzo. Quando accadrà? Difficile a dirsi: di fatto ancora non abbiamo neanche idea di dove verrà realizzato il Deposito unico nazionale – un progetto da 1,5 miliardi di euro – dato che nella Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) a ospitarlo sono stati individuati 100 possibili siti ormai dal gennaio 2015, ma da allora è sempre rimasta chiusa in un cassetto.