Per i giovani italiani l’ascensore sociale non si è rotto: punta in basso

Istat: «Le disparità collegate alle classi sociali si accompagnano a un aumento delle disparità tra le generazioni»

[3 Luglio 2020]

Prendiamo quattro generazioni di italiani, da quella antecedente al 1941 alla 1972-1986, fotografate nei loro 30 anni: rispetto alle loro famiglie d’origine, in quanti possono aspirare a salire sull’ascensore sociale per migliorare la propria condizione? Sempre meno, a giudicare dai dati messi in fila dall’Istat nel suo rapporto annuale 2020, pubblicato oggi.

Secondo l’Istituto nazionale di statistica, infatti, per tutte le generazioni nate fino alla fine degli anni ’60 la mobilità sociale è cresciuta in senso ascendente (ossia verso classi di livello superiore rispetto a quella di origine) ed è diminuita in senso discendente. La probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose della scala sociale è invece diminuita per i nati nell’ultima generazione (1972-1986): più di un quarto (26,6%) è infatti mobile verso il basso, un valore che, oltre a essere più alto rispetto a tutte le generazioni precedenti (era 21,8% tra i nati prima del 1941) supera per la prima volta quello di chi è mobile in senso ascendente (24,9%).

Ed è pur vero che l’influenza delle origini sociali sui destini occupazionali è meno intensa rispetto al passato: per i nati prima del 1941 era 2,3 volte più alta rispetto alla situazione in cui i destini sociali sono determinati solo da capacità e meriti individuali, mentre per i nati nel 1972-1986 è 1,8 volte più alta. L’Istat rileva però che il dato rimane comunque molto elevato: se le origini sociali non condizionassero in alcun modo le classi di destinazione delle persone, se, cioè, solo le capacità e i meriti ne condizionassero la riuscita sociale, il valore sarebbe pari a 1.

Ma se i nati nell’ultima generazione analizzata (1972-1986) hanno visto aumentare il grado di meritocrazia presente nel Paese, l’Istat sottolinea che hanno «anche conosciuto una contrazione delle probabilità di accedere alle posizioni più vantaggiose della scala sociale. Nel loro caso, dunque, le disparità collegate alle classi sociali si accompagnano a un aumento delle disparità tra le generazioni. Le possibilità di miglioramento delle posizioni sociali diminuiscono perché la stagnazione del sistema economico e i modelli organizzativi della Pubblica amministrazione impediscono una sufficiente espansione delle posizioni più qualificate, determinando di fatto un downgrading delle collocazioni per le giovani generazioni. Nonostante la diminuzione tra le generazioni del livello complessivo di ereditarietà sociale, la classe di origine continua a condizionare i destini occupazionali degli individui, creando disuguaglianze nelle opportunità degli individui».

Una constatazione assai amara, che probabilmente la nuova crisi legata alla pandemia ancora in corso non farà che peggiorare. I dati sull’occupazione riportati ieri dall’Istat e relativi a maggio non fanno che confermare le prime impressioni: mentre gli occupati nelle fasce d’età 15-64 anni calano del 2,9%, soffermandosi a guardare gli under35 il crollo è del 5,6% (mentre per gli over50 si registra un +0,3%).

La risposta, per definizione, non può che stare nella costruzione di un modello di sviluppo non solo più verde ma anche più sostenibile dal punto di vista sociale: uno sviluppo cioè che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

L. A.