Al Green new deal indicato dal nuovo governo servono risorse, non solo promesse

Per lo sviluppo sostenibile dell’Italia basterebbero investimenti pubblici pari al 2% del Pil

Roventini (Scuola Superiore Sant'Anna): «Permetterebbe di sviluppare nuove tecnologie, creare nuovi posti di lavoro, nuove imprese e portare di l'Italia sulla frontiera tecnologica di nuovi settori di investimento. Un circuito virtuoso per un’economia a zero emissioni»

[11 Settembre 2019]

I dati diffusi ieri dall’Istat sulla produzione nazionale confermano il quadro di un’economia nazionale asfittica, in ulteriore calo dello 0,7% rispetto al mese precedente: senza un colpo di reni il rischio concreto è quello di lasciare avvitare l’Italia in una nuova crisi economica, uno scenario cui il nuovo governo giallorosso ha contrapposto – rimanendo per il momento molto sui generis – un Green new deal in grado di promuovere lo sviluppo sostenibile del Paese. In questo scenario il ruolo della mano pubblica è determinante sotto molteplici aspetti, dalle semplificazione burocratica agli stimoli fiscali, ma occorre riconoscere che servono anche investimenti dedicati allo scopo: di quanto si parla? Basterebbe meno del 2% del Pil, come spiegato in questi giorni alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa nel corso del workshop Verso un’economia a zero emissioni di carbonio.

«Le stime ci dicono che un investimento pubblico inferiore al 2% del Pil annuo verso una crescita sostenibile permetterebbe di sviluppare nuove tecnologie, creare nuovi posti di lavoro, nuove imprese e portare di l’Italia sulla frontiera tecnologica di nuovi settori di investimento – afferma l’economista della Sant’Anna Andrea Roventini, inizialmente candidato dal M5S al ministero dell’Economia durante il primo Governo Conte – un circuito virtuoso che porterebbe ad una economia a zero emissioni».

Non si tratta del resto di una novità: ampliando lo sguardo a livello globale, il Programma Onu per l’ambiente (Unep) già nel 2011 col suo rapporto Towards a green economy riportava cifre molto simili affermando che «un investimento del 2% del Pil mondiale in 10 settori economici chiave potrebbe, da solo, produrre una transizione dal nostro modello economico attuale (inquinante e inefficace) verso una green economy». Una strada che purtroppo i leader mondiali scelsero allora di non seguire.

Quali risorse dovrebbe dunque mettere in campo oggi l’Italia se volesse rimediare? Dato che nel 2018 il Pil italiano ai prezzi di mercato è stato pari a 1.753.949 milioni di euro correnti, meno del 2% del Pil significa una cifra attorno ai 35 miliardi di euro annui. Troppi? Secondo le stime diffuse pochi giorni fa dall’Ue basterebbe combattere contro l’evasione dell’Iva – in Italia la più alta d’Europa – per recuperare fino a 33,5 miliardi di euro l’anno. Una cifra che sarebbe utopico pretendere di rimediare nel giro di 12 mesi solo su questo fronte, ma l’introduzione di un fisco verde permetterebbe molte strade alternative.

Come già accennato su queste pagine si spazia dalla rimodulazione ecologica dell’Iva a un fisco più verde (con una potenzialità stimata dalla Eea in 25 miliardi di euro/anno per il nostro Paese), passando per la carbon tax (8 miliardi di euro/anno) ai 19,3 miliardi di euro/anno di sussidi ambientalmente dannosi stimati dal ministero dell’Ambiente, fino a ipotizzare 6-9 miliardi di euro l’anno di gettito aggiuntivo se M5S e Pd volessero rispolverare la legalizzazione della cannabis, gli spunti di certo non mancano: occorre però la volontà politica per perseguirli.

In particolare appare urgente la rimodulazione dei sussidi finora erogati a sostenere l’impiego di combustibili fossili, pari a 16,8 miliardi di euro. Seguendo l’ipotesi presentata dallo stesso ministero dell’Ambiente si potrebbe ottenere una crescita del Pil italiano fino al +1,60% –  16 volte tanto quella stimata dalla Commissione Ue per il nostro Paese nell’anno in corso – -2,68% di emissioni e +4,2% di occupazione.

«Non c’è dubbio che sia tecnicamente possibile realizzare un’economia a zero emissioni di carbonio e che se il mondo lo facesse entro il 2050, il costo in termini di crescita economica e consumi sarebbe minimo – conferma lord Adain Turner, presidente della Energy transitions commission, durante il suo intervento alla Sant’Anna – ma raggiungere questo obiettivo richiederà un grande reindirizzamento degli investimenti dai combustibili fossili a fonti di energia rinnovabile e non avverrà senza politiche pubbliche efficaci, tra cui l’introduzione di tasse sul carbonio, la regolamentazione e il sostegno allo sviluppo tecnologico».