Piano regionale rifiuti (Prb), dalla Giunta toscana «a breve» il quadro conoscitivo per la revisione

L’assessore Monni: «L’assetto degli impianti sarà uno dei capitoli centrali del nuovo Piano e sarà oggetto di razionalizzazione partendo dagli impianti esistenti»

[11 Marzo 2021]

In Toscana il nuovo Piano regionale di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati (Prb) è atteso ormai dalla scorsa legislatura, che non riuscì a farsene carico, mentre adesso l’iter sta avanzando ma – a giudicare dallo stato di attuazione – servirà ancora molto tempo prima di arrivare a conclusione. L’assessora regionale all’Ambiente Monia Monni, rispondendo ieri in Consiglio regionale ad un’interrogazione avanzata dalla Lega sulla gestione dei rifiuti urbani, ha dichiarato infatti che la Giunta regionale «a breve» presenterà un quadro conoscitivo che sarà propedeutico alla revisione del Prb.

In Toscana si generano ogni anno circa 12 milioni di tonnellate di rifiuti, tra urbani (2,27) e speciali (9,8), ma sul territorio si registra una cronica carenza di impianti per la gestione di entrambi i flussi, peraltro strettamente intrecciati tra loro come mostra da ultimo anche il recepimento delle direttive Ue sull’economia circolare.

Come già documentato nel  novembre 2019 da Ref ricerche, sulla Toscana risulta gravare (dati 2017) un deficit impiantistico pari a 210.442 tonnellate/anno nella gestione dei rifiuti speciali, al quale si aggiunge – come ha mostrato uno studio successivo – un ulteriore deficit pari a 21.500 tonnellate/anno (dati 2018) nello smaltimento e avvio a recupero energetico dei rifiuti urbani. Si stima che almeno 8.760 tir carichi di spazzatura valichino ogni anno i confini regionali, con elevati costi ambientali (si pensi solo al relativo traffico e smog) oltre che per le aziende e per i cittadini (in termini di Tari più salate) per trovare impianti in grado di gestirli.

Riportando la risposta dell’assessora all’interrogazione, dal Consiglio regionale affermano che «la Toscana nella gestione dei rifiuti ha come obiettivo l’autosufficienza per lo smaltimento dei rifiuti urbani, mentre per il recupero vale il principio della libera circolazione nazionale».

Per la precisione, se è vero che ai sensi del comma 3 dell’art. 182 del D.Lgs. 152/06 i rifiuti urbani destinati a smaltimento devono essere trattati all’interno del territorio regionale, fatta la legge trovare l’inganno è facile: come noto, da tempo (con la direttiva sulle discariche 1999/31/CE, recepita nel 2003) i rifiuti urbani non possono essere smaltiti “tal quali” in discarica, ma vanno prima trattati e il compito molto spesso ricade sugli impianti Tm o Tmb. Dopo essere stati così lavorati i rifiuti urbani diventano speciali, e possono circolare liberamente sul territorio nazionale anche se destinati a discarica; a maggior ragione, lo stesso vale per i rifiuti speciali da urbani destinati a recupero energetico.

La gestione degli speciali è infatti di norma affidata al mercato – al netto del non trascurabile fatto che tutta l’infrastruttura impiantistica per la loro gestione, dal riciclo al recupero energetico allo smaltimento, è soggetta e dunque dipende dalle autorizzazioni pubbliche – mentre i rifiuti urbani ricadono nell’ambito della privativa comunale e dunque la loro gestione è (su base diretta o tramite affidamento) in capo alla mano pubblica.

All’atto pratico, però, la differenza è molto sottile: anche gli impianti dedicati alla gestione – recupero o smaltimento – dei rifiuti speciali abbisognano di essere autorizzati dall’ente competente, ovvero la Regione, per poter essere realizzati. Senza dimenticare che già oggi larga parte dei rifiuti urbani dopo essere trattati diventano speciali e sono liberi di circolare al di fuori dei confini regionali alla ricerca di impianti, e finora dal 16 al 50% dei rifiuti urbani erano costituti da speciali assimilati.

Proseguendo nella risposta all’interrogazione, l’assessora si è soffermata in particolare sulla necessità di proseguire l’incremento nelle percentuali di raccolta differenziata, che a livello regionale sono arrivate nel 2019 al 60,15%. Gli obiettivi imposti dalla direttive Ue per i rifiuti urbani sono però legati al riciclo e non alla raccolta differenziata, e qui le percentuali sono naturalmente più basse: a fronte di una raccolta differenziata al 56% (dato 2018) l’Agenzia regionale recupero risorse stima che il recupero di materia sia pari al 46% di tutti i rifiuti urbani prodotti, con scarti stimati sul totale di raccolta differenziata pari a circa il 20%.

Oltre alla raccolta differenziata anche «l’assetto degli impianti sarà uno dei capitoli centrali del nuovo Piano e sarà oggetto di razionalizzazione partendo dagli impianti esistenti – ha concluso Monni – Su questo, come ha sempre fatto, la Regione avvierà un ampio confronto con il territorio e le istituzioni». Sulle tempistiche necessarie per traguardare il nuovo Prb non ci sono invece novità, restando salvo quanto già dichiarato sulle nostre pagine dall’assessora lo scorso novembre: «Il percorso di approvazione di un Prb occupa almeno un anno, se siamo bravi e veloci».