Plastica, l’Europa (e l’Italia) alla sfida del riciclo chimico

A livello europeo meno del 30% di questi rifiuti viene raccolto per l’avvio a riciclo, e anche quando avviene nella metà dei casi la plastica si esporta all’estero pur di non occuparsene

[27 Agosto 2020]

Su una stima di 359 milioni di tonnellate di plastica prodotte all’anno nel mondo, l’Europa mantiene un ruolo di primo piano: ne produce il 17%, a fronte di una domanda interna pari a 51,2 milioni di tonnellate l’anno – per il 39,9% assorbita dagli imballaggi – che per circa la metà diventa rifiuto (25,8 milioni di ton/anno, per il 59% imballaggi post-consumo).

Meno del 30% di questi rifiuti viene raccolto per essere poi avviato a riciclo, e anche quando avviene nella metà dei casi la plastica viene esportata all’estero, dove ci sono standard ambientali meno stringenti. O la qualità di quanto raccolto è troppo bassa, oppure ci sono pochi impianti, oppure ancora non è economicamente conveniente procedere al riciclo: in ogni caso si tratta di problemi che preferiamo scaricare altrove. Tanto che la domanda per la plastica riciclata ammonta a solo il 6% di quella complessiva, in Europa. Che però è chiamata a migliorare velocemente: l’Ue ha stabilito che entro il 2030 tutti gli imballaggi plastici immessi sul mercato europeo dovranno essere riutilizzabili o riciclabili in modo efficace sotto il profilo dei costi, e almeno la metà dovrà essere effettivamente riciclato.

Per raggiungere obiettivi così sfidanti, molti guardano con interesse crescente alle possibilità aperte dal riciclo chimico: una modifica della struttura chimica stessa di un rifiuto in plastica, convertendola in molecole più piccole (monomeri) utilizzabili per produrre nuovi materiali vergini. Un processo complementare a quello meccanico finora diffuso, che apre possibilità inedite per frazioni ad oggi difficili da riciclare come la plastica mista o plasmix, che incide per quasi la metà della raccolta differenziata della plastica.

«Il riciclo chimico è una tecnologia promettente», spiega ad Euractiv Kęstutis Sadauskas, alla guida della direzione Ambiente della Commissione europea, responsabile dell’economia circolare e della crescita verde. Ma si tratta di una prospettiva ancora tutta da approfondire, dal punto di vista industriale e non: «È necessario seguire un approccio basato sul ciclo di vita per considerare tutti i possibili benefici e rischi di questo nuovo approccio, anche sul clima. I risultati dei progetti pilota in corso devono ancora essere ampliati per avere un quadro rappresentativo delle possibilità di questa tecnologia».

A livello Ue sono stati avviati progetti di ricerca per esplorare le possibilità offerte dal riciclo chimico, come iCAREPLAST e PUReSmart, con molti interrogativi che attendono risposta. Economici e ambientali. Ad esempio EuRIC, un’associazione di categoria che rappresenta le industrie europee del riciclaggio, sostiene che il prezzo del petrolio dovrebbe raggiungere almeno 65-75 dollari al barile (adesso siamo a circa 40) affinché i polimeri ottenuti dal riciclo chimico possano diventare competitivi con quelli vergini. Zero Waste Europe, interpellato da Euractiv, pone invece l’accento sul fatto che il riciclo chimico «rimane una tecnologia ad alta intensità di risorse ed energia e che consideriamo adatta solo come ultima risorsa per la plastica troppo degradata, contaminata o troppo complessa per essere recuperata meccanicamente». Come sempre, di pasti gratis non ce n’è: oltre a disporre dove possibile la riduzione di plastiche monouso, per capire qual è il male minore l’analisi incrociata dell’intero ciclo di vita rimane uno strumento fondamentale.

Nel frattempo anche l’Italia si affaccia alle possibilità aperte dal riciclo chimico, partendo da un quadro della situazione migliore della media europea, per quanto problematico. Nel 2018 in Italia sono state trasformate circa 6,8 milioni di tonnellate di resine termoplastiche delle quali circa il 15% provenienti da riciclo; per quanto riguarda invece gli imballaggi in particolare, nonostante le velleità “plastic free” nell’ultimo anno sono 2.083.880 le tonnellate impiegate, il 43,39% è stato poi avviato a riciclo e il 48,63% a recupero energetico.

In questo contesto Versalis, la società chimica di Eni, ha annunciato a inizio anno che realizzerà un primo impianto da 6.000 ton/anno per il riciclo chimico previsto a Mantova, attraverso il progetto denominato Hoop; un progetto che ha subito destato ampio interesse, tanto che pochi mesi dopo è stato siglato un accordo tra Eni, Versalis e il Consorzio nazionale per il recupero degli imballaggi in plastica «con l’obiettivo di avviare un piano di studi per sfruttare tutte le frazioni di plasmix disponibili nel circuito Corepla, mettendo a fattore comune le rispettive competenze per i processi di gassificazione e riciclo chimico attraverso pirolisi». Un secondo accordo – firmato sempre da Eni e Corepla – ha invece il fine di «verificare la fattibilità di valorizzare le plastiche a fine vita negli impianti innovativi che Eni sta studiando per la bioraffineria di Venezia, a Porto Marghera, e presso la raffineria di Livorno per la produzione rispettivamente di idrogeno e metanolo ottenuti tramite gassificazione». I risultati che ne emergeranno saranno importati per valutare le prospettive del comparto, a livello locale come a quello nazionale.