Manicheo l’approccio ai rifiuti. No al riciclo chimico, marginale l’uso energetico

Pnrr, le richieste degli ambientalisti al Governo: 100 mld di euro alla decarbonizzazione

Investimenti da accompagnare alle riforme: «Le rinnovabili da circa 10 anni si sono fermate, in tutto il programma rinnovabile italiano la policy non è riuscita a costruire un sistema industriale»

[12 Marzo 2021]

Dopo l’appello congiunto a fine anno scorso e la successiva convocazione di Legambiente, Greenpeace e Wwf da parte del premier (allora in pectore) Mario Draghi gli ambientalisti tornano alla carica elaborando – insieme ai colleghi di Kyoto Club e Transport&Environment – un pacchetto di proposte legato alla decarbonizzazione per il nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che sta elaborando l’esecutivo.

Le novità, rispetto alla bozza approvata dal Governo Conte, potrebbero essere significative. Il neo-ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, ad esempio, ieri ha anticipato che il nuovo Pnrr allocherà «80 miliardi di euro in 5 anni in progetti verdi». Ma gli ambientalisti chiedono di più: ad esempio che «almeno il 50% delle risorse del fondo Next Generation EU sia indirizzato a progetti legati alla decarbonizzazione». Si tratterebbe di circa 100 miliardi di euro.

Risorse da spendere tenendo conto di cinque principi chiave: «Nemmeno un euro ai combustibili fossil; non basta che siano verdi, i progetti devono essere significativi; non bastano progetti servono riforme; implementare e monitorare; spendere per innovare».

Soprattutto, gli ambientalisti chiedono che i capitoli di spesa siano accompagnati da un programma di riforme in supporto alle strategie settoriali di lungo periodo per ciascuna delle “dimensioni significative” individuate (ovvero rinnovabili, trasporti, efficienza energetica, industria).

Per quanto riguarda le rinnovabili, ad esempio, per gli ambientalisti il Pnrr «dovrà essere in grado, partendo dalla riforma delle autorizzazioni, di portare almeno 6.000 MW di rinnovabili elettriche l’anno, con interventi attenti a minimizzare il consumo di suolo».

Una richiesta che parte dalla constatazione di uno stato dell’arte opposto: «Le rinnovabili sono competitive sul mercato italiano, il loro sviluppo è bloccato dall’impossibilità di ottenere autorizzazioni in tempi ragionevoli e da un mancato completamento delle policy nazionali. Dopo anni di forte sviluppo e costi elevati per il sistema, le rinnovabili da circa 10 anni si sono fermate, in tutto il programma rinnovabile italiano la policy non è riuscita a costruire un sistema industriale attorno alle tecnologie Fer», come mostrano da ultimo anche i dati Gse ed Enea.

Gli interventi richiesti sul fronte dell’efficienza energetica si ricollegano invece direttamente alla «voce più rilevante dei consumi energetici in Italia», ovvero i consumi termici (riscaldamento e raffrescamento). Al proposito gli ambientalisti osservano che ad oggi «il combustibile più utilizzato dalle famiglie per soddisfare i fabbisogni energetici è il gas fossile con il 50,8% dei consumi totali, seguito dalle biomasse solide con il 22,2% e dal vettore elettrico con il 16,8% energia elettrica».

Per migliorare in questa partita, oltre all’efficienza, un ruolo determinante potrebbe giocarlo la geotermia – che è naturalmente disponibile nel sottosuolo 24 ore su 24, per usi termici e dove possibile anche elettrici, e rappresenta è l’opzione migliore in termini di consumo di suolo – ma questa fonte rinnovabile non viene esplicitamente citata nel documento.

Il capitolo sull’industria parte da una constatazione assai pragmatica: l’Italia è il secondo Paese manifatturiero in Europa, e qui l’industria «è responsabile del 14% del Pil nazionale». In altre parole il settore manifatturiero (dati 2017) occupa «circa 3,6 milioni di persone, di cui 450 mila nei settori dei materiali di base (metalli, minerali non metallici) e della chimica». Che poi sono anche i settori più difficili da decarbonizzare, i cosiddetti hard to abate, dove un ruolo importante può arrivare dall’economia circolare come dall’idrogeno. Quale che sia la strada da percorrere, il tracciato deve arrivare in fretta: «Tre settori dell’industria pesante (ferro e acciaio, chimica, minerali non metallici) sono responsabili di quasi il 50% dei consumi finali di energia e del 70% delle emissioni di gas serra dell’intera industria».

Oltre ai capitoli di spesa e alle tecnologie da promuovere, gli ambientalisti si concentrano però anche su quelli da escludere dal Piano. Qualche esempio? «La cattura e stoccaggio del CO2 (Ccs) risulta un’opzione poco significativa in termini assoluti per la decarbonizzazione, molto dispendiosa e dai risultati tuttora assolutamente incerti. Per tale motivo riteniamo che cattura e stoccaggio non debbano avere un ruolo nel Pnrr», nonostante la recente approvazione di queste tecnologie da parte dell’Onu.

Molti i distinguo anche sulla gestione rifiuti. Ad esempio nel settore della chimica gli ambientalisti suggeriscono di «investire in infrastrutture di raccolta e riciclo meccanico di rifiuti, senza interferire negli obiettivi più elevati della gerarchia dei rifiuti che pongono al primo posto le politiche di prevenzione», mentre chiedono di «escludere il ruolo del riciclo chimico dei rifiuti da considerare un processo ambientalmente dannoso». Con l’evidente e proverbiale rischio, però, di gettare il bambino con l’acqua sporca per un approccio tecnologico alla gestione di rifiuti che è ancora in corso di definizione ma che potrebbe portare a importanti vantaggi per le frazioni ad oggi più difficili da recuperare.

Sullo stesso filone s’inserisce la richiesta di promuovere «uno sviluppo dell’economia circolare che rende marginale l’uso energetico dei rifiuti», che è però già tale almeno nel nostro Paese, mentre le direttive Ue sull’economia circolare chiedono piuttosto di rendere “marginale” lo smaltimento in discarica (massimo 10% per i rifiuti urbani al 2030, in Italia siamo al 21%) mantenendo al penultimo gradino della gerarchia di gestione rifiuti il recupero energetico. Che però continua a scatenare spesso – come nel caso degli inceneritori – irrazionali paure sotto il profilo sanitario.