Con tasse ambientali fino a +1,4% Pil nel 2030. Si spera nel Green Act, sparito dal 2015

Quale economia circolare? Ue: «In Italia nessuna politica nazionale per la programmazione»

Inquinamento dell’aria, problematiche idriche, governance inefficace. La Commissione europea passa in rassegna le criticità ambientali nazionali

[8 Febbraio 2017]

La mancata osservanza delle leggi ambientali già oggi vigenti sul territorio Ue costa al Vecchio continente 50 miliardi di euro all’anno. A spiegarlo è stata la stessa Commissione europea lanciando la sua strategia per il “Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali” (Environmental implementation review). Aumentando il grado di dettaglio, quali sono i punti di forza e di debolezza per l’economia verde italiana in particolare?

Per provare a rispondere alla domanda, da Bruxelles hanno stilato un profilo specifico per il nostro Paese, redatto dalla direzione generale dell’Ambiente della Commissione europea attingendo da numerose analisi e ricerche (alcune delle quali prodotte anche da membri del think tank di greenreport, come nel caso dell’economista Massimiliano Mazzanti).

«L’Italia – premette la Commissione Ue – possiede un immenso capitale naturale con le sue coste, montagne e aree naturali, nonché un patrimonio urbano senza confronti». Tra i «punti di eccellenza» della nostra legislazione ambientale vengono posti le valutazioni ambientali integrate, i piani di rafforzamento amministrativo regionali che coprono i fondi Sie e nazionali, il Comitato per il capitale naturale istituito dal Collegato ambientale (Comitato che per il momento si è semplicemente insediato, con la sua prima relazione prevista per il 28/2), gli approcci innovativi sviluppati dai progetti Life indicatori e gli indicatori Bes (Benessere equo e sostenibile) sviluppati dall’Istat; inoltre, «l’Italia è di gran lunga lo Stato membro più attivo nell’utilizzo di Emas e ha il maggior numero di prodotti ecolabel dell’Ue».

Questi i principali punti di forza, cui si contrappongono non poche lacune. In primis sulla sbandierata economia circolare: a fronte di eccellenze locali (la Commissione cita l’esempio del progetto Rimateria, in Toscana), manca ancora una regia a livello nazionale. «Al momento – osservano da Bruxelles – non esiste alcuna politica nazionale per la programmazione di un’economia circolare. Ciò nonostante il previsto Green Act (citato nei programmi nazionali di riforma del 2015 e 2016) dovrebbe facilitare la transizione verso un’economia più circolare ed efficiente sotto il profilo delle risorse». Peccato del Green Act si sia persa ogni traccia: viene inserito ogni anno nel Def, ma in concreto non è mai stato sviluppato altro oltre al semplice tweet cinguettato dall’ex premier Matteo Renzi nel gennaio 2015.

La Commissione europea passa poi in rassegna la necessità di «completare il processo di designazione dei siti Natura 2000, oltre a mettere in atto obiettivi di conservazione chiaramente definiti e le necessarie misure di conservazione»; di proteggere «la biodiversità unica della regione del Mar Mediterraneo», di cui siamo particolarmente responsabili in quanto l’Italia possiede una delle coste più estese nell’Ue; di affrontare le «problematiche idriche» e di investire «nelle infrastrutture delle acque reflue». Particolare attenzione viene dedicata alla cattiva qualità dell’aria che respiriamo: «Nel 2013, oltre il 60% della popolazione urbana in Italia risiedeva in aree esposte a concentrazioni di PM10 al di sopra del limite giornaliero di 50 µg/m3 per più di 35 giorni in un anno». Una cifra «significativamente peggiore rispetto alla media europea del 16,3%» e la cui causa principale è da ricercarsi nel’alto «livello di motorizzazione nelle città metropolitane e di media dimensione in Italia».

Un approfondimento a parte merita la parentesi dedicata alla tassazione ambientale. «Tassare l’inquinamento e l’uso delle risorse può generare un aumento delle entrate e apporta importanti benefici sociali e ambientali», ricordano dalla Commissione, specificando che «spostare la tassazione dalla manodopera a imposte meno penalizzanti per la crescita resta una sfida chiave in Italia». Nonostante le raccomandazioni giunte in merito, in Italia rimane «un notevole potenziale per spostare le tasse dalla manodopera all’ambiente» che – se realizzato – potrebbe al contempo portare a un «aumento, rispettivamente, dello 0,64% e dell’1,4% del Pil nel 2018 e nel 2030». Eppure in tempi di manovre continue per lo spasmodico aggiustamento dei conti, simili ipotesi non sono mai state seriamente considerate dal governo (anche l’incremento delle accise sui carburanti oggi in ipotesi figura come semplice incremento di un balzello esistente, non uno spostamento di tassazione).

Come mai tutte queste lacune? Un ruolo importante certamente è quello occupato dai deficit in termini di governance efficace: «Secondo gli indicatori mondiali di governance della Banca mondiale per il 2015 – osserva la Commissione – l’Italia si attesta ben al di sotto della media Ue per l’indicatore dell’efficacia delle azioni di governo; un dato che rispecchia le percezioni della qualità dei servizi pubblici, la capacità dell’amministrazione pubblica e la sua indipendenza dalle pressioni politiche, nonché la qualità della formulazione delle politiche». Migliorare non solo si può, ma è necessario: per ambiente, società ed economia.