Rapporto sulla Bioeconomia: in Italia 345 miliardi di euro di produzione e oltre 2 milioni di occupati nel 2018

Italia al terzo posto in Europa, dopo Germania (414 miliardi) e Francia (359 miliardi)

[15 Giugno 2020]

Oggi è stato presentato il sesto rapporto “La Bioeconomia in Europa” redatto dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, che sottolinea che «La pandemia causata dal virus SARS-COV2 ha reso ancora più evidente la necessità di ripensare il modello di sviluppo economico in una logica di maggiore attenzione alla sostenibilità e al rispetto ambientale. In questo contesto il ruolo della bioeconomia, ovvero il sistema che utilizza le risorse biologiche, inclusi gli scarti, per la produzione di beni ed energia, è molto rilevante: la sua natura fortemente connessa al territorio, la sua capacità di creare filiere multidisciplinari integrate nelle aree locali e di restituire, grazie a un approccio circolare, importanti nutrienti al terreno la pongono come uno dei pilastri del Green New Deal lanciato dall’Unione europea. In questo scenario la quantificazione e l’analisi approfondita delle filiere della bioeconomia diventano elementi imprescindibili per scelte di politica economica mirate e consapevoli dei cambiamenti in atto».

Il rapporto aggiorna al 2018 la stima della produzione e dell’occupazione della bioeconomia in Italia, sia per l’Italia che per Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e per la prima volta anche Polonia.  Il quadro che emerge conferma che «la bioeconomia rappresenta un mondo estremamente articolato e vario, caratterizzato da una forte interconnessione fra i settori che lo compongono e che ha un peso rilevante sull’economia sia in Italia sia negli altri paesi europei». Spicca, in particolare, il ruolo della filiera agro-alimentare, a cui è dedicata questa edizione del Rapporto.

Presentando il rapporto, Laura Campanini di Intesa Sanpaolo, ha detto che «La logica circolare è un fattore cruciale per lo sviluppo della bioeconomia: l’Italia ha sviluppato buone pratiche ed esperienze innovative e in alcuni territori ha ottimizzato virtuosamente la raccolta differenziata, il riciclo e il riutilizzo di biocomponenti. I rifiuti organici prodotti dalla filiera agroalimentare sono una fonte importante di biomassa e rappresentano una risorsa da valorizzare piuttosto che uno scarto da smaltire. La sostenibilità della filiera agroalimentare è strettamente legata sia al modello produttivo e di consumo sia alla riduzione degli sprechi e alla valorizzazione degli scarti. La dotazione di impianti e gli assetti normativi e regolamentari sono cruciali per garantire la chiusura del cerchio in modo sostenibile».

Il confronto europeo evidenzia che l’Italia si pubblica al terzo posto in termini assoluti per valore della produzione, dopo Germania (414 miliardi) e Francia (359 miliardi), e prima di Spagna (237 miliardi), Regno Unito (223 miliardi) e Polonia (133 miliardi). Anche per quanto riguarda il numero di occupati nella bioeconomia l’Italia si posiziona terza nel ranking, con poco più di 2 milioni di occupati, dopo la Polonia, che occupa 2,5 milioni addetti (soprattutto nel settore agricolo) e la Germania (2,1 milioni di occupati).

Ecco i principali risultati del rapporto “La Bioeconomia in Europa”per il nostro Paese:

In Italia la bioeconomia, intesa come sistema che utilizza le risorse biologiche, inclusi gli scarti, per la produzione di beni ed energia, occupa oltre due milioni di persone e genera un output pari a circa 345 miliardi di euro (dati 2018). L’Italia si posiziona al terzo posto in Europa, dopo Germania (414 miliardi) e Francia (359 miliardi). La bioeconomia è stimata in crescita di oltre 7 miliardi rispetto al 2017 (+2,2%), grazie in particolare al contributo della filiera agro-alimentare.

E’ in crescita anche il mondo delle Start-up innovative della bioeconomia: sono state censite 941 start-up innovative, pari all’8,7% di quelle iscritte a fine febbraio 2020 al Registro Camerale (quota che sale al 17% per le iscritte dei primi due mesi del 2020), con oltre il 50% dei soggetti operativi nella R&S e nella consulenza.

La filiera agro-alimentare, cui è dedicata questa edizione del Rapporto, è uno dei pilastri della bioeconomia, generandone oltre la metà del valore della produzione e dell’occupazione. Il sistema agro-alimentare italiano si posiziona ai primi posti in Europa, con un peso sul totale europeo del 12% in termini di valore aggiunto e del 9% in termini di occupazione.

La filiera agro-alimentare italiana è altamente integrata nel contesto europeo e ha visto crescere la proiezione sui mercati mondiali. Conserva al tempo stesso una forte base domestica, con quasi l’80% del valore aggiunto di derivazione nazionale, considerando non soltanto gli input prodotti internamente ma anche l’apporto degli altri settori. Sono italiane ben 6 regioni su 15 nel ranking del valore aggiunto europeo del settore agricolo.

A fronte di un tessuto produttivo maggiormente frammentato, l’agrifood Made in Italy è caratterizzato da una specializzazione in prodotti ad elevato valore aggiunto e di alta qualità, come dimostrano il primato europeo delle certificazioni DOP/IGP e il terzo posto mondiale in termini di quota di mercato sui prodotti del food di alta gamma.

L’Italia è tra i leader europei con quasi 2 milioni di ettari di terreni destinati alle coltivazioni biologiche. L’analisi dei bilanci di un campione di oltre 9.300 imprese dell’agro-alimentare italiano, evidenzia come le imprese con certificazioni biologiche abbiano registrato una crescita del fatturato del 46% tra il 2008 ed il 2018, quasi doppia rispetto al +25% delle imprese senza certificazioni.

La sostenibilità della filiera agroalimentare è strettamente legata sia al modello produttivo e di consumo sia alla riduzione degli sprechi e alla valorizzazione degli scarti. I rifiuti organici prodotti dalla filiera a livello europeo sono pari a 87 milioni di tonnellate, pari a 171 kg pro-capite. Un potenziale di biomassa importante da cui si possono ricavare compost, bioenergia e biomateriali se opportunamente raccolti e gestiti.

La produzione agricola, la trasformazione industriale, il trasporto e il consumo di cibo hanno impatti importanti sulle emissioni di gas serra e sui consumi idrici. L’Italia, tra i paesi analizzati, evidenzia sia una incidenza inferiore del comparto sul totale delle emissioni (12% contro 15%) sia una minore intensità (1.144 grammi per euro rispetto a 2.253 registrati a livello europeo). Il settore agricolo è anche un grande utilizzatore di acqua sia a scopi irrigui sia zootecnici: il riuso della risorsa idrica può rappresentare un passaggio importante per mitigare lo stress idrico, ma attualmente risulta ancora molto limitato.

E’ infine opportuno attuare pratiche di prevenzione e riduzione degli sprechi seguendo la Food Recovery Hierarchy: i prodotti alimentari che vengono sprecati lungo tutta la filiera rappresentano, infatti, emissioni di CO2 e consumi idrici inutili ed evitabili.

Stefania Trenti di Intesa Sanpaolo, ha commentato che «La bioeconomia costituisce un settore fondamentale per accelerare la crescita dell’economia italiana. In particolare, l’analisi della filiera agro-alimentare mette in evidenza come il modello italiano, basato su realtà più piccole e ben radicate nei territori e nelle tradizioni locali, sia stato in grado di esprimere una forte attenzione all’innovazione coniugata ad una crescente sensibilità ambientale, elemento imprescindibile nel mondo post-pandemia. Il sistema finanziario continuerà a dare un significativo contributo in questa direzione: la bioeconomia è uno dei settori chiave della regolamentazione da poco introdotta dalla Commissione Europea per la Finanza Sostenibile, che contiene precise indicazioni sulla priorità di utilizzo dei polimeri biobased, sulla gestione efficiente delle risorse in campo agricolo, nel ciclo idrico e per le biomasse».

Riccardo Palmisano presidente Assobiotec Federchimica conclude: «Il VI Rapporto sulla Bioeconomia conferma quanto questo metasettore rappresenti una parte rilevante del PIL nazionale. Si tratta di un settore in cui le biotecnologie si sono ritagliate un ruolo di game changer e che oggi è imprescindibile nelle politiche di sviluppo sostenibile di diversi paesi del mondo. Per l’Italia rappresenta oggi un potenziale pilastro su cui fondare la ripartenza, conciliando economia, occupazione, società e ambiente. Servono politiche e regole stabili e competitive che proiettino il paese in un nuovo modello di sviluppo in sintonia con il percorso di Green New Deal intrapreso a livello europeo. La crisi da Covid19 ci pone con urgenza il bisogno di rivedere il rapporto tra modi di produzione, gestione delle risorse e territorio ed il biotech potrà e dovrà svolgere un ruolo cruciale in questo processo di innovazione del Paese».