Quale regolazione del settore per un servizio di qualità? Il contributo di Ref Ricerche

Rifiuti, inutile sovra-investire nella raccolta se poi non si costruiscono gli impianti per gestirla

«È evidente che assumere più personale, acquistare più automezzi o dotarsi di nuove e costose tecnologie sia più semplice in assoluto e più vantaggioso in termini di consenso sul territorio piuttosto che decidere per la costruzione di un impianto»

[3 Ottobre 2019]

Come determinare il valore monetario di un servizio? Quale costo per chi ne usufruisce? Quanto incide la qualità con la quale il servizio è svolto, considerando che tra zona e zona esiste una distanza qualitativa talvolta siderale? A questo si aggiungano altri fattori e cioè: che il prezzo di cui si discute non è determinato dall’azionamento di leve di marketing, ma dalle deliberazioni di organismi super partes come ARERA o dalle decisione dei Comuni e che la materia della discussione è la gestione dei rifiuti, una questione che ci riguarda tutti da vicino. Con il Documento per la Consultazione DCO 351-19 – pubblicato il 30 luglio 2019 – l’Authority sta cercando un modo per assicurare a utenza e operatori  trasparenza, uniformità, e tariffe aderenti ai reali costi.

Ma com’è intuibile, la tariffa – ovvero quanto paghiamo noi utenti per il servizio offerto – è uno degli snodi centrali per determinare la possibilità o meno di un cambiamento in positivo. Infatti, un avanzamento generalizzato del servizio passa – se non totalmente, almeno in massima parte – dalla concreta possibilità di investimento di risorse monetarie da parte delle aziende del settore per migliorare l’attività in ogni sua fase, dalla raccolta allo smaltimento. Ciò significa più risorse per le infrastrutture, per il personale, per l’acquisto di mezzi e tecnologie o di quanto serve per soddisfare le esigenze dei territori di pertinenza.

Un altro elemento da considerare è proprio la diversità qualitativa che esiste tra realtà territoriali o urbane, con alcune caratterizzate da un buon grado di efficienza e altre, invece, dove – e la cronaca ne è piena – il servizio funziona male o malissimo. E non parliamo solo dell’accumulo sistematico e molto visibile della spazzatura lungo le strade, ma anche dell’assenza di infrastrutture adeguate per il riciclo o lo smaltimento.

Un terzo elemento, altro punto nodale del metodo tariffario, è il riconoscimento dei cosiddetti costi di capitale, indubbiamente alti quando un’azienda che opera nel settore dei rifiuti si trova a dover investire denaro in un impianto esso sia di trattamento, smaltimento o altro.

E ARERA, per incentivare gli investimenti del ciclo dei rifiuti urbani, sembra dirigersi verso una impostazione regolatoria del tipo RAB-based (Regulatory Asset Base). Un modello di remunerazione, in genere,usato per aziende di pubblica utilità che erogano un servizio i cui costi di capitale (le risorse investite in infrastrutture, per esempio) sono piuttosto elevati. È accaduto così anche per il Sistema Idrico, con quelle utility che hanno finanziato progetti di forte impatto economico.

Un sistema che probabilmente assicura buoni incentivi per quei territori che presentano una carenza di impianti, laddove la gestione integrata del servizio comprende anche la realizzazione degli impianti e in cui prevalentemente operano aziende pubbliche.

Questa è una prima criticità. In contesti del genere, una maggiore quantità di risorse a disposizione non conduce necessariamente a investimenti nella costruzione di infrastrutture e impianti. Inazione, opposizione delle popolazioni locali da una parte e scarsa volontà di dialogo dall’altra, logiche di conservazione dello status quo, sono le cause che spesso portano questa tipologia di aziende a preferire la fase della raccolta (anche porta a porta) a quello dello smaltimento. Di conseguenza si preferisce a) sovra-investire sulla prima nonostante non vi sia una reale necessità o sebbene i costi superino i benefici e b) trascurare o rinviare a momenti futuri la seconda. È evidente che assumere più personale, acquistare più automezzi o dotarsi di nuove e costose tecnologie sia più semplice in assoluto e più vantaggioso in termini di consenso sul territorio piuttosto che decidere per la costruzione di un impianto (per tutto quanto comporta in termini di lavoro di  pianificazione progettazione e approvazione).

Va da sé che questo sistema presenta evidenti limiti nelle realtà più avanzate del Paese, cioè dove il servizio funziona bene e secondo moderne logiche aziendali. La principale criticità? Con questo sistema (RAB-based) si finirebbe per riconoscere tariffe sensibilmente inferiori agli attuali prezzi di mercato con la conseguenza di penalizzare proprio quegli operatori più virtuosi o lungimiranti che, avendo già investito risorse in mezzi e infrastrutture, assicurano all’utenza un servizio tanto efficiente come efficace. Un servizio che non ha solo concorso a rendere migliore la qualità della vita dei territori interessati (liberi da emergenze rifiuti lungo le vie), ma che ha fornito il suo contributo al raggiungimento della cosiddetta “autosufficienza nazionale” nello smaltimento.

Un ulteriore rischio è che l’approccio di remunerazione asset-based proposto da ARERA ponga in secondo piano la “qualità del servizio”, anche laddove la qualità già esiste. Offrendo incentivi deboli agli operatori che hanno raggiunto standard elevati e che sono maggiormente orientati al mercato, si corre il pericolo di spingere questi stessi soggetti ad abbandonare le fasi della raccolta e del trasporto in favore di altre attività economicamente più remunerative.

Quale soluzione, dunque?Una possibilità per scongiurare questo scenario è quella di spostare il focus verso obiettivi importanti di miglioramento della qualità del servizio, in particolare sui versanti ambientali – come quelli sul riciclaggio – che portino a investimenti per migliorare la raccolta e ridurre l’incidenza del rifiuto indifferenziato nel processo di smaltimento.

Un po’ come è avvenuto nel servizio idrico integrato, ci si attende che la regolazione incentivante garantisca adeguati livelli di qualità del servizio ed un’infrastrutturazione del settore compatibile con i target stabiliti dall’Unione Europea. Con un warning di carattere generale: troppa regolazione può diventare elemento d’intralcio alle dinamiche di mercato, specialmente in quei contesti dove il mercato funziona.

Per approfondire:

Regolazione dei rifiuti: poco spazio alla qualità e poca flessibilità, Contributo n. 129 – REF Laboratorio Servizi Pubblici Locali, settembre 2019 [scarica documento]

di Donato Berardi, Samir Traini, Nicolò Valle, Laboratorio servizi pubblici locali Ref Ricerche