Rifiuti radioattivi, Legambiente Toscana chiede «un grande dibattito pubblico» sul Deposito

Ferruzza: «Pienza-Trequanda e Campagnatico una sorpresa amara che ha preoccupato tutti i cittadini toscani, noi compresi». Ma serve «responsabilità collettiva»

[8 Gennaio 2021]

I rifiuti radioattivi dove li metto? Dopo la pubblicazione della Carta nazionale (Cnapi) che individua 67 aree potenzialmente idonee ad ospitare il Deposito nazionale, 2 delle quali anche in Toscana, si è alzata ovunque la voce dei contrari: “non qui” è la risposta più diffusa. Quanto ai due siti di Pienza-Trequanda e Campagnatico anche il Cigno verde regionale parla di «una sorpresa amara che ha preoccupato tutti i cittadini toscani, noi compresi» ma sottolinea che un semplice niet non può essere la risposta ad un problema oggettivo.

«Ricordiamo con chiarezza due cose – spiega il presidente di Legambiente Toscana, Fausto Ferruzza – La prima è che, sovrapponendo criteri escludenti e favorenti, i nostri due siti non sono certo in pole position rispetto agli altri 65 ipotizzati da Sogin. La seconda è che, nel farci carico della responsabilità collettiva d’individuare un Deposito nazionale per le scorie nucleari, andremo comunque a migliorare uno status quo che vede oggi stoccate quelle stesse scorie in piazzali provvisori, assai improbabili sul piano della prevenzione del rischio d’incidente rilevante».

Il problema è come arrivare a una definizione il più possibile condivisa per la localizzazione del Deposito. Evitando il «precedente terribile» del 2003, quando il governo Berlusconi inidicò con «un colpo di mano senza precedenti e senza indagini puntuali il sito di Scanzano Jonico».

Gli auspici anche stavolta non sono dei migliori, in fatto di trasparenza: la Cnapi era pronta dal 2015 ma finora è stata tenuta chiusa in un cassetto, poi dopo la procedura d’infrazione Ue arrivata a novembre i tempi sembrano improvvisamente essersi accelerati. Di certo finalmente c’è stata un’assunzione di responsabilità da parte del Governo, nel rendere nota la Carta. Adesso è necessario andare avanti, e il prossimo step previsto dall’iter è una fase di ascolto di cittadini e territori.

«Formalmente – ricorda Ferruzza – a decorrere dal 5 gennaio ci sono 60 giorni per produrre delle osservazioni da parte dei cittadini alla cartografia dei siti proposti, ma sulla scorta dell’ottima esperienza toscana in fatto di leggi sulla partecipazione, mi permetto di osservare che non ci si può limitare a questo. Ribadiamo invece l’urgenza inderogabile di avviare un percorso trasparente, partecipato e condiviso con tutti i territori interessati, ossia va aperto come in Francia un grande dibattito pubblico».

Un passo richiesto all’unanimità dagli ambientalisti, anche se è bene sottolineare che al suo termine le possibilità di arrivare ad un consenso altrettanto unanime sulla localizzazione del Deposito – in un Paese ormai spaccato dal moltiplicarsi delle sindromi Nimby e Nimto – sono assai basse. Anche la pur radicata esperienza toscana in fatto di partecipazione purtroppo non incoraggia granché sotto questo profilo. Basti ricordare come si è concluso, nel 2017, il dibattito pubblico sullo smaltimento dei gessi rossi, un problema atavico nell’area di Scarlino: gli esiti del processo partecipativo sono stati rigettati dai comitati “ambientalisti” contrari a prescindere, e il problema è rimasto ancora senza soluzione – come dimostra la cronaca – mentre la politica sul punto ha deciso ancora di non decidere a fronte di consensi elettorali sempre più volatili.

Per il Deposito nazionale sembra porsi infine un problema in più: quali rifiuti radioattivi conferirvi? Legambiente Toscana sente infatti la necessità di «di distinguere due tipologie di rifiuto nucleare. Quello a bassa e media intensità radioattiva e quello ad alta intensità, derivante quest’ultimo dall’esercizio delle nostre vecchie centrali atomiche (Trino Vercellese, Caorso, Borgo Sabotino e Garigliano). Legambiente chiede esplicitamente che il Deposito unico di cui stiamo discutendo in questi giorni sia destinato ad accogliere unicamente le scorie a bassa e media intensità, che ospedali e centri di ricerca producono ogni giorno. Mentre per i rifiuti radioattivi più pericolosi la nostra associazione da sempre chiede l’individuazione di un Sito europeo collegialmente condiviso dagli Stati membri della Ue».

In realtà a leggere le carte Sogin, sul punto la situazione sembra già definita: il Deposito, entro il 2025, è chiamato a ospitare 78mila mc di rifiuti radioattivi: 50.000 dei quali derivanti dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari, e circa 28.000 metri cubi dagli impianti nucleari di ricerca e dai settori della medicina nucleare e dell’industria. Nel Deposito nazionale sarà compreso anche il Complesso stoccaggio alta attività (Csa), per lo stoccaggio di lungo periodo di circa 17.000 metri cubi di rifiuti a media e alta attività (per circa 400 mc si tratta di residui del riprocessamento del combustibile effettuato all’estero e di combustibile non riprocessabile). In questo caso il Deposito nazionale rappresenta un passaggio intermedio, in attesa che venga individuato un Deposito geologico definitivo. Probabilmente insieme agli altri Paesi Ue, ma questo al momento sembra un passo successivo.

L. A.