Rifiuti, senza impianti il costo della Tari cresce (anche) nell’Ato Toscana centro

Un monito anche per il piano regionale in fase di elaborazione: non basta programmare se poi le infrastrutture previste non si realizzano

[16 Giugno 2021]

Raccogliere i rifiuti costa – come del resto costa tenere pulita casa propria –, soprattutto se fatto tramite modalità complesse come la raccolta porta a porta; i rifiuti raccolti rappresentano “una risorsa” solo se a valle c’è un adeguato mercato di sbocco (cui dovrebbe contribuire in primis la Pa tramite gli acquisti verdi), altrimenti sono un disvalore da gestire; se tra raccolta e mercato non c’è una filiera impiantistica di prossimità per selezionare e avviare i rifiuti raccolti a recupero (o a smaltimento, a seconda dei casi), i costi crescono ulteriormente insieme al ricorso all’export.

Tre verità banali quanto raramente raccontate, contro le quali l’Ato Toscana centro – ovvero l’ente rappresentativo di tutti i Comuni compresi nelle province di Firenze, Prato e Pistoia – ha dolorosamente sbattuto ieri.

L’assemblea ha infatti approvato a maggioranza (40 Comuni a favore, 18 contrari) il nuovo Piano economico finanziario (Pef) con un ritocco all’insù della Tari che dovranno pagare i cittadini per i servizi svolti dal gestore – anch’esso interamente pubblico –, ovvero Alia: «Nel 2021 le entrate tariffarie complessive dell’ambito saranno pari a 352 mln di euro, mentre la media degli incrementi comunali rispetto al 2019 è del 3,6%», spiegano dall’Ato.

Un dato difficile da spiegare seguendo la vuota retorica secondo la quale basta fare la raccolta differenziata per risparmiare, ma stavolta è direttamente l’Ato a spiegare i veri motivi del rincaro: si va dalla «crescita significativa dei costi di gestione del servizio» – che ha però portato al «forte incremento della raccolta differenziata», adesso sopra al 65% – alla «mancata realizzazione di un impianto di termovalorizzazione per il trattamento di gran parte del rifiuto indifferenziato dell’ambito», ovvero l’inceneritore di Case Passerini.

Fattori cui si aggiungono il «crollo del prezzo di valore sul mercato di materie da riciclaggio come carta e plastica», su cui la pandemia ha inciso non poco; i numerosi «interventi dell’autorità giudiziaria, che hanno imprevedibilmente costretto a ricorrere ad impianti di mercato con costi risultati molto superiori a quanto previsto nei valori inseriti nei corrispettivi del Gestore per i primi quattro anni della concessione»; il metodo tariffario (Mtr) introdotto da Arera che ha contribuito a fornire regole chiare per l’identificazione dei costi dell’igiene urbana, troppo spesso nascosti.

E poteva andare peggio: come spiegano dall’Ato «l’impatto tariffario medio sull’utenza degli incrementi determinanti dalla situazione appena descritta è stato fortemente contenuto» grazie all’impiego delle «risorse dei Comuni principalmente a copertura della parte di incremento tariffario del 2020 non ancora trasferita nelle bollette» e alla «rimodulazione di parte dell’incremento nei prossimi anni, resa possibile dal Gestore», che però com’è evidente non potrà replicare all’infinito.

Sotto questo profilo del resto la legge è molto chiara: la Tari è una tassa che deve finanziare integralmente i costi – di investimento e di esercizio – dei servizi di raccolta e smaltimento rifiuti, ad esclusione di quelli relativi ai rifiuti speciali (alla cui gestione provvedono a proprie spese i relativi produttori, sebbene di fatto i rifiuti speciali assimilati si stima siano oscillati finora tra il 16% e la metà di tutti i rifiuti urbani).

Che fare, dunque? L’Ato ha deliberato di verificare con Alia «gli attuali livelli di servizio e le possibilità di ottimizzazione delle modalità organizzative anche su base pluricomunale», di approfondire «nuovi criteri di ripartizione dei costi fra Comuni», e di verificare l’opportunità o meno di procedere all’applicazione «in luogo della Tari di una tariffa avente natura corrispettiva, prevedendone il completamento entro il 2022». Sostanzialmente una tariffa puntuale, che riguardando però la sola fase di raccolta ancora una volta di per sé rappresenta un servizio aggiuntivo, e non risolutivo sotto il profilo dei costi. Non a caso i Comuni, nel corso dell’assemblea, hanno sottolineato come sia «non più rinviabile l’adozione di un nuovo piano regionale» per la gestione rifiuti, dopo che quello vecchio non ha purtroppo soddisfatto nessuno degli obiettivi che si era dato.

Un monito anche per il nuovo piano in fase di elaborazione: non basta programmare se poi gli impianti previsti non si fanno, e sotto questo profilo anche i singoli Comuni avranno molto da interrogarsi in merito alle sindromi Nimby e Nimto che fioriscono sui rispettivi territori.