Rinnovabili, la burocrazia italiana ferma investimenti per 8,5 miliardi di euro l’anno

Elettricità futura: «Non investire o rimandare la transizione energetica produce un “danno economico e finanziario” molto grande per il Paese»

[2 Marzo 2021]

Il neonato ministero della Transizione ecologica avrà il suo bel da fare per tradurre il cambiamento dalla teoria alla messa a terra degli investimenti che, come mostra in modo plastico il mondo delle rinnovabili, al momento è incagliata nel tortuoso iter per il permitting degli impianti. Secondo le stime diffuse oggi da Elettricità futura «l’inefficienza della macchina autorizzativa impedirà di investire circa 8,5 miliardi di euro ogni anno cioè 85 dei 100 miliardi previsti, con un danno economico per mancati benefici pari a circa 2 miliardi di euro l’anno».

Il riferimento è ai 100 miliardi di euro in investimenti stimati come necessari nel (solo) settore elettrico per traguardare gli obiettivi climatici europei al 2030: -55% di emissioni di CO2 rispetto al 1990. Investimenti da realizzare nell’arco di un decennio ma che si ripagherebbero in 5 anni considerando i benefici economici in termini di valore aggiunto e soprattutto contando i risparmi legati al minore import di fonti fossili, oltre a garantire 50 Mt di emissioni evitate di CO2 e la creazione di 90.000 nuovi posti di lavoro.

Non realizzare questi investimenti, dunque, oltre a non permettere la messa in atto azioni di adeguate contro la crisi climatica in corso, produce danni socioeconomici ingenti: «Non investire o rimandare la transizione energetica, produce un “danno economico e finanziario” molto grande per il Paese», osservano dalla principale associazione d’imprese attive nel comparto elettrico nazionale.

Eppure, più che un rischio, questo è già oggi lo spaccato della realtà italiana: come già documentato su queste pagine, su 4.824,9 MW finora messi a gara dal Gse per erogare gli incentivi alle fonti rinnovabili previsti dal decreto Fer 1, ben 2.816,5 – ovvero il 58% circa – non sono stati assegnati.

Un problema ciclopico sul quale nei giorni scorsi si è concentrata anche l’attenzione del Sole 24 Ore, dove si ricorda che in base alle norme vigenti i tempi per l’autorizzazione unica non dovrebbero superare i 90 giorni, mentre di fatto le autorizzazioni per gli impianti rinnovabili restano invece bloccate in media per un anno e mezzo, e se si parla di eolico si arriva a 5 anni con punte di 9. «In Italia – commenta sul quotidiano confindustriale Francesco La Camera, direttore generale Irena e già direttore generale del ministero per l’Ambiente – le imprese che partecipano alle aste devono farsi carico di ottenere l’autorizzazione unica. La verità è che ci sono pratiche ferme da troppo tempo. Il fatto che, ad esempio Enel, la prima utility al mondo nello sviluppo delle rinnovabili, insieme ad altre aziende italiane leader nel settore, non possano investire come vorrebbero in Italia colpisce e preoccupa. Questa storia delle autorizzazioni andrebbe risolta rapidamente».

In audizione alla commissione Attività produttive della Camera, Elettricità futura ha già avuto modo di indicare l’obiettivo minimo: tutte le istituzioni coinvolte – dai ministeri alle Regioni – sono chiamate ad un atto di responsabilità per giungere a «iter autorizzativi permettano la realizzazione dei nuovi impianti e il rinnovamento degli esistenti in tempi mai superiori ai 2 anni (Red II)».

Nel frattempo però lo stallo prosegue da anni. Nel corso del 2020 le fonti rinnovabili sono riusciti a coprire il 38% della domanda di elettricità nazionale, ma le nuove installazioni di rinnovabili crescono col contagocce ormai dal 2013, tanto che il Coordinamento Free – ovvero la più grande associazione italiana nel campo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica – stima che se il tasso di autorizzazioni per la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili rimanesse quello del 2017-2018, sarà di 67 anni il tempo necessario per realizzare il Pniec (mentre il suo orizzonte arriva al 2030).