Roma non sa come gestire l’80% dei suoi rifiuti: fermi gli investimenti Ama in impianti

«Un’impiantistica progettata per il modello ideale di economia circolare che non tenga adeguatamente conto dei tempi e delle difficoltà della transizione diventa la causa principale del fallimento dell’intero progetto»

[21 Febbraio 2019]

Dall’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali di Roma Capitale, un organismo indipendente istituito al Consiglio comunale romano, arriva una sonora bocciatura sulla gestione dei rifiuti nella Città eterna, determinata in primis da un’insufficiente dotazione impiantistica. Dalla “Relazione annuale 2018 sullo stato dei servizi pubblici locali e sull’attività svolta” emerge infatti che negli ultimi 5 anni Ama – l’azienda al 100% di proprietà comunale, che ha in carico la gestione integrata dei servizi ambientali nella Capitale – ha messo a bilancio e dunque realizzato solo  6 dei 78 milioni di euro di investimenti programmati in piano finanziario per gli impianti di gestione dei rifiuti a Roma.

Come sintetizzano da Fise Assoambiente (l’associazione nazionale delle imprese di igiene urbana, gestione, recupero e riciclo di rifiuti urbani e speciali ed attività di bonifica), gran parte degli impianti attivi nella Capitale è stata realizzata fra il 2002 e il 2008, anno dopo il quale gli interventi si sono limitati alle manutenzioni straordinarie, mentre gli investimenti si sono sostanzialmente fermati e la programmazione non è stata più rispettata. Dal 2016 il blocco è totale, e il contesto cittadino ne risente ormai in modo evidente, come dimostra la cronaca.

Pochi giorni fa la sindaca Raggi ha revocato l’intero Cda di Ama; a inizio febbraio si è dimessa l’assessore all’Ambiente della città, Pinuccia Montanari, dopo che la Giunta ha bocciato il bilancio Ama; a dicembre 2018 è andato a fuoco uno dei pochi impianti fino a quel momento rimasti attivi il Tmb Salario, lo stesso impianto da cui tra l’altro nel 2017 sono partite circa 51 mila tonnellate di “rifiuti urbani indifferenziati” romani, andate a smaltimento in Austria a causa di carenza impiantistica locale.

«Oggi quasi l’80% dei rifiuti prodotti a Roma viene trasportato fuori dalla Capitale per essere gestito – ricorda Chicco Testa, presidente Fise Assoambiente – Dopo dieci anni di mancati investimenti è fondamentale tornare a prevedere e poi realizzare concretamente gli impianti necessari per chiudere il ciclo di gestione dei rifiuti. Senza questo passaggio gli obiettivi dell’economia circolare sono destinati a restare sulla carta, con negative ricadute ambientali ed economiche per i cittadini romani».

Una posizione che l’associazione d’imprese porta avanti da tempo, e che ora trova riscontri anche nella relazione annuale dell’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali di Roma Capitale:  «Una raccolta differenziata scarsa in quantità e in qualità – argomenta l’Agenzia – allontana nel tempo la prospettiva dell’economia circolare, così che un’impiantistica progettata per il modello ideale di economia circolare che non tenga adeguatamente conto dei tempi e delle difficoltà della transizione diventa la causa principale del fallimento dell’intero progetto», che appare oggi come un sistema vulnerabile e fragile, totalmente dipendente da impianti collocati fuori dal territorio comunale e dalla Regione.