Scarlino, come gestire i gessi rossi? Per la Commissione ecomafie vanno conferiti in discarica

Vignaroli: «È tempo che questo rifiuto speciale venga smaltito correttamente». Ma in quali impianti?

[24 Marzo 2021]

La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati – meglio nota come Commissione ecomafie – ha approvato all’unanimità la relazione sull’inquinamento connesso alla gestione dei gessi rossi prodotti in Toscana, giungendo a una conclusione lapidaria: vanno conferiti in discarica.

Come ricordano dalla Commissione, i gessi rossi si ottengono unendo i fanghi rossi scarto di produzione del biossido di titanio (a Scarlino, in provincia di Grosseto, presso lo stabilimento della multinazionale Venator), con la marmettola (scarto di lavorazione del marmo di Carrara) in qualità di stabilizzante.

Il biossido di titanio è usato nella produzione di numerosi oggetti quotidiani, tra cui pitture in campo industriale e civile, plastica, cosmetici, carta, prodotti farmaceutici, fibre, film, inchiostri, catalizzatori, calcestruzzo, materiali da costruzione e purificazione dell’acqua. Senza saperlo è dunque di uso più che comune, ma pochi sanno che per ogni tonnellata di biossido di titanio – prodotto in Italia solo nello stabilimento di Scarlino – si generano sei tonnellate di gessi rossi, che secondo la Commissione devono essere smaltiti come rifiuto speciale.

Secondo quanto emerso dal lavoro della Commissione, dal 2004 gran parte dei gessi rossi – in media circa 200mila tonnellate all’anno, per oltre 3 milioni di tonnellate complessive – sono stati conferiti nella cava esaurita di Poggio Speranzona, vicino alla riserva statale della Marsiliana. La movimentazione avviene con circa 70 camion al giorno, dal lunedì al venerdì. Quantitativi più esigui sono stati utilizzati come correttivi di terreni agricoli, dato che la Huntsman Tioxide Europe di Scarlino ha ottenuto nel 2010 dal ministero delle Politiche agricole anche la registrazione del rifiuto speciale “Gesso rosso”, quale correttivo di terreni agricoli.

L’impiego per il ripristino ambientale della cava (condotto è stato approvato nel 2004 con un accordo volontario tra Regione Toscana, Huntsman Tioxide Europe (oggi Venator Italy), Comuni del territorio, provincia di Grosseto, Arpa Toscana e Asl. Ma per la Commissione i gessi rossi non si sono però rivelati idonei per questo impiego – né per l’utilizzo in agricoltura – in considerazione del fatto che vi sono diversi superamenti dei valori soglia previsti dalla legge. Di fronte a tali violazioni dei parametri e a dispetto dell’inquinamento provocato, tra il 2006 e il 2017 sono intervenute tre differenti deroghe per le concentrazioni di solfati, cloruri e cromo e vanadio: nei primi due casi tramite provvedimenti statali, nel terzo attraverso una legge regionale. Ma la Commissione è categorica: «L’unica legittima modalità di gestione di tale rifiuto era il conferimento in discarica». Secondo le stime della Commissione, tale modo di disfarsi dei gessi rossi ha permesso alla società produttrice di risparmiare in 15 anni circa 240 milioni di euro, rispetto allo smaltimento in discarica.

Il rilascio nei terreni di solfati, cloruri, manganese, nichel, cromo e ferro ha portato nel tempo alla contaminazione delle acque sotterranee alla cava di Poggio Speranzona. Evidenze corroborate dall’accertato inquinamento anche della falda della piana di Scarlino, dove si trovano lo stabilimento e la discarica interna di Venator Italy in cui negli anni sono stati conferiti gessi rossi: «Tali rifiuti, secondo uno studio commissionato nel 2011 all’università di Siena – ricordano dalla Commissione – hanno provocato una contaminazione da manganese, ferro e solfati delle acque sotterranee sottostanti. Su questa base la Regione Toscana ha chiesto nel 2017 una bonifica della falda della piana. La richiesta è stata accolta dalla società (al tempo Huntsman Tioxide Europe), ma ad oggi le bonifiche non risultano completate».

«Approfondendo la gestione dei gessi rossi in provincia di Grosseto, la Commissione – conclude il suo presidente, Stefano Vignaroli – si è trovata davanti un caso emblematico di cattiva amministrazione. La gravità di questa storia è chiara: trovato l’inquinamento, la legge lo mantiene. Parliamo di enormi quantità di rifiuti industriali che dovevano andare in discarica, e invece vengono usati dal 2004 per il ripristino ambientale di una ex cava. Così hanno inquinato il terreno e due falde acquifere. Il tutto con il benestare della Regione Toscana e delle istituzioni centrali. Spero che il lavoro della Commissione possa finalmente mettere la parola fine a questa storia. Basta cercare nuove cave esaurite da riempire con i gessi rossi: è tempo che questo rifiuto speciale venga smaltito correttamente in discarica ed è necessario cancellare le deroghe introdotte nel tempo».

Anche su questo fronte si pone però un problema oggettivo, dato che le discariche in Toscana – come gli altri impianti per la gestione dei rifiuti – sono ostacolate dal moltiplicarsi delle sindromi Nimby e Nimto. Tanto che si stima servano almeno 8.760 camion l’anno per portare i rifiuti toscani al di fuori dei confini regionali, vista la carenza di impianti di prossimità utili a gestirli.