Senza investimenti in istruzione e ricerca non c’è sviluppo sostenibile (né crescita economica)

Austerity, sviluppo umano e scenario pre-Covid: un breve ripasso delle differenze che separano nord e sud Europa

[20 Ottobre 2020]

Il motto “uniti nella diversità” rappresenta qualcosa oltre una volontà positiva. L’Unione europea comprende paesi, popoli e modi di gestire la res pubblica molto diversi. In un’epoca di transizione come la nostra possiamo vedere queste differenze in molti modi. Il metodo per eccellenza adottato nelle classifiche mondiali sta nell’andamento del Pil: un approccio discutibile in un mondo soggetto a cambiamenti climatici e pandemie dai risvolti non completamente conosciuti.

Siamo abituati a differenziarci in Europa in base ai “compiti a casa”, alle performance economiche appunto e alla qualità della spesa pubblica. In particolare, dalla crisi del 2008 è emersa la tendenza a inquadrare i Paesi sud europei come il nostro con il dispregiativo PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). Ma un recente lavoro della commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi ha rimischiato le carte in tavola. Esistono misure diverse per inquadrarci. Scusate, differenziarci.

Una di queste è l’indice di sviluppo umano o Human Development Index (HDI). In questa misura composita sono commensurate l’alfabetizzazione, l’accesso ai servizi di igiene e sanità, la prospettiva di vita e infine gli indici di reddito. In effetti, la crescita economica e lo sviluppo non sono mai stati la stessa cosa. Per un ambientalista è persino distante dallo sviluppo sostenibile.

Ma una misura per osservare lo sviluppo nel tempo qual è? Usando elementi quali il livello di istruzione ad esempio, come anche l’accesso alla sanità che indica la “protezione” da eventi sfavorevoli, mentre la prospettiva di vita è lo specchio della salute di una nazione.

Il problema è che per ottenere un buon livello di alfabetizzazione servono risorse, che siano pubbliche o private. Identico ragionamento occorre per la sanità. Queste risorse sono prodotte dal ciclo economico, generalmente identificato con il prodotto interno lordo (Pil). Quando una dimensione del benessere è protetta dallo Stato, le risorse in questione vengono erogate tramite spesa pubblica.

Da questo punto di vista, dalla crisi del 2008 emergono due principali gruppi nello scenario europeo. Di uno fanno parte nazioni che hanno potuto godere di ampie risorse pubbliche e private grazie ad un prorompente e continuato avanzo commerciale: parliamo delle economie nordiche. Nell’altro vi sono le economie che hanno dovuto bilanciare l’avanzo commerciale estero con il debito pubblico. Quelli siamo noi, i PIIGS.

I due blocchi sono problematici per le regole del gioco europeo. Dato il trattato di Maastricht del 1992  e poi di Lisbona del 2009, il deficit di spesa rapportato al Pil non può superare il 3%, il debito pubblico il 60% ed infine l’avanzo commerciale deve restare tra il -4% e il +6%. Durante gli anni di crisi economica sul banco degli imputati ci sono finiti solo i Paesi che hanno infranto i primi due dettami, ma non quelli che hanno infranto l’ultimo. Ne è risultata una accesa diatriba circa l’uso delle risorse pubbliche e l’impiego di manovre di austerity.

E dunque l’uso su come usare (o meno) il fantomatico deficit. Spese sanitarie, ricerca o occupazione? Grazie al recente lavoro di ricerca Insights into regional development publisher fiscal policies, public investments and wellbeing: mapping the evolution of the Eu è possibile notare le differenze. Le nazioni che hanno speso anche a costo di incrementare il proprio debito, hanno esperito rilevanti miglioramenti in termini di sviluppo umano. La scelta di penalizzare istruzione, ricerca e sviluppo a favore delle spese sanitarie e di protezione sociale ha invece sfavorito il nostro paese. Da notare che la crescita nominale di queste spese, purtroppo, non è stata accompagnata da strutture o conoscenze sufficienti ad arginare la recente crisi pandemica.

Guardando ad i dati pre-crisi, gli scenari non erano comunque rassicuranti per la sostenibilità. La bassa crescita e la disoccupazione oltre la soglia dell’8% in Europa sfavorivano strategie di investimento all’occhio politico. La scelta di mantenere una logica austera del sistema europeo ridimensionava notevolmente lo slancio del Green deal.

La risposta alla pandemia tramite ampie risorse pubbliche, però, potrebbe adesso fornire nuovo carburante per lo sviluppo – oltre la crescita –  degli Stati europei. Ma si ricadrebbe ancora al problema precedente: in che modo usare le risorse? L’indice HDI permette di concentrarsi sugli aspetti preponderanti del benessere di una nazione. Investimenti nella ricerca e nell’istruzione garantirebbero un successo nel lungo periodo, sia per le logiche di mera crescita sia soprattutto per un approccio più ampio e sostenibile.