I risultati dell’indagine presentati da Federmanager in collaborazione con 4.Manager ed Esgr

Senza sostenibilità non c’è più competitività, secondo due terzi dei manager italiani

Piovesana (Confindustria): «Necessario garantire una transizione armoniosa e “giusta”, riducendo al minimo gli squilibri tra competenze e posti di lavoro»

[19 Febbraio 2021]

Per due manager su tre non adeguarsi ai paradigmi della sostenibilità comporta “minori spazi di mercato” (67,1%), ma anche “forti limitazioni operative a causa di normative sempre più rigorose” (per il 66,5%) e “minore accesso ai finanziamenti” (per il 40,1%): sono questi i principali risultati emersi da un sondaggio rivolto a 954 manager iscritti a Federmanager nei primi giorni di febbraio, i cui risultati sono stati presentati ieri nel web talk “Il valore della sostenibilità. Impatti strategici e strumenti operativi per imprese e manager”, organizzato sempre da Federmanager in collaborazione con 4.Manager ed Esgr.

Eppure per l’impiego degli oltre 200 miliardi di euro previsti per l’Italia nell’ambito del Next generation Eu, gli stessi manager dichiarano di guardare più al digitale che alla sostenibilità.

Le prime tre priorità indicate dai manager riguardano infatti la digitalizzazione avanzata della Pa e dei servizi (per il 74,6% del campione), l’adattamento dei sistemi educativi per supportare le competenze digitali(per il 53,0% degli intervistati) e poi la diffusione in tutte le regioni italiane di fibra e 5G per imprese, famiglie e Pa (per il 47,1%). Dalla rilevazione emerge comunque un significativo 43% di manager che pensa agli incentivi per efficienza energetica ed energie rinnovabili come priorità di investimento.

«Percepiamo una maggiore preoccupazione verso l’andamento economico: è il segnale che, dopo la prima emergenza, stiamo attraversando la fase acuta della crisi – commenta Stefano Cuzzilla, presidente Federmanager – I manager mostrano però di avere ben chiare le soluzioni: nel breve termine, sanare il gap tecnologico che esiste nel sistema, non solo nel mondo dell’impresa. Nel medio termine, riconvertire le produzioni verso modelli più sostenibili, che sono gli unici destinati a ripagare l’investimento e a far ritornare competitivi».

Da questo punto di vista «la scelta del Governo Draghi di istituire due ministeri dedicati alla transizione digitale e a quella ecologica risponde a un fabbisogno presente nel Paese – continua Cuzzilla – Occorre uno sforzo trasversale per produrre il cambiamento auspicato. E siamo felici di vedere alla guida di questa missione due manager di esperienza, come Colao e Cingolani. Servono competenze manageriali, quelle che si basano su programmazione, pianificazione, esecuzione, controllo e rendicontazione, per trasformare il Recovery plan in una opportunità concreta di sviluppo».

Che per essere sostenibile dovrà però essere anche giusta: dopo i sindacati, anche il mondo industriale sembra iniziare a dare peso a questo non trascurabile “dettaglio”. Un terreno su cui l’Italia ha ancora molto da lavorare.

«Nel breve periodo – conclude nel merito Maria Cristina Piovesana, vicepresidente di Confindustria per l’ambiente, la sostenibilità e la cultura – la transizione green implica vincoli più stringenti all’attività industriale e impone maggiore impulso agli investimenti, quindi, in questo senso, rappresenta una grande occasione di rigenerazione industriale. È però necessario garantire una transizione armoniosa e “giusta”, riducendo al minimo gli squilibri tra competenze e posti di lavoro. Per sviluppare il potenziale occupazionale della green economy servono giovani qualificati nei nuovi inquadramenti professionali e, allo stesso tempo, occorre aggiornare e riqualificare il personale già occupato o che è rimasto senza lavoro».