Sostenibilità ambientale, le ombre e le luci dell’Italia secondo la Commissione Ue

Fondo per una transizione giusta: le aree di intervento prioritarie sono Taranto e il Sulcis Iglesientes

[27 Febbraio 2020]

La “Relazione per paese relativa all’Italia 2020” che accompagna il Pacchetto d’inverno della Commissione europea è un corposo documento che in 106 Pagine sviscera difetti e pregi del nostro Paese «in materia di riforme strutturali, prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici e risultati degli esami approfonditi a norma del regolamento (UE) n. 1176/2011» e che si occupa anche della sostenibilità ambientale come pilastro dello sviluppo e dell’European Green New Deal al quale un grande Paese come l’Italia è chiamata a dare il suo contributo, superando ritardi e incrementando i punti di forza,

Dal documento della Commissione Ue risulta che «L’Italia registra buoni risultati per quanto riguarda una serie di parametri chiave di sostenibilità ambientale. Il paese sta compiendo passi avanti nella maggior parte degli indici connessi all’obiettivo di sviluppo sostenibile (OSS) 13 (cambiamenti climatici). Ad esempio, tra il 2005 e il 2018 l’Italia ha ridotto del 18 % le proprie emissioni di gas a effetto serra in settori non coperti dal sistema di scambio delle quote di emissione (ETS) dell’Ue e il totale delle emissioni di gas a effetto serra pro capite, espresso in tonnellate equivalenti, è significativamente inferiore alla media dell’Ue. Tuttavia, mentre le imprese sembrano aver adottato maggiori misure per affrontare le problematiche ambientali, sarà fondamentale migliorare l’efficienza energetica delle famiglie. L’Italia si colloca sopra la media dell’Unione per quanto riguarda l’OSS 12 sulla produttività delle risorse (3,2 EUR/kg contro 2,04 EUR nel 2018) e per gli investimenti nell’economia circolare».

Giudizio positivo anche sul sostegno del governo italiano alla green economy: «L’Italia è piuttosto avanti nell’integrazione delle considerazioni di natura ambientale nel bilancio e nel monitoraggio dei progressi verso la sostenibilità ambientale. Le nuove iniziative nell’ambito del piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNEC) e del Green Deal italiano costituiscono progressi positivi che offrono un sostegno strutturale alla transizione verde. L’Italia sta inoltre rivedendo il proprio piano d’azione del 2013 sugli appalti pubblici verdi. Altre misure, come il programma Transizione 4.0 e l’iniziativa “Industria sostenibile”, possono favorire ulteriormente le imprese negli investimenti verdi. Un fondo specifico sosterrà gli investimenti nell’economia verde, anche mediante garanzie pubbliche. Il nuovo fondo supplementare per gli investimenti delle amministrazioni centrali (con una dotazione di circa 20 miliardi di EUR nel periodo 2020- 2034) può inoltre promuove l’economia verde, in particolare favorendo la decarbonizzazione, la riduzione delle emissioni, l’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale. Anche il nuovo fondo supplementare per le amministrazioni locali può contribuire a tal fine».

Ma il documento avverte che «E’ tuttavia essenziale sfruttare meglio le sinergie tra i settori e le politiche nonché promuovere un uso delle risorse pubbliche che sia efficiente sotto il profilo dei costi. A tale proposito, il sistema di governance altamente decentrata in Italia continua a costituire una sfida».

Per quanto riguarda le imprese italiane stanno diventando “più verdi”: «Nel 2017 il 56 % delle imprese manifatturiere ha adottato una qualche forma di misure di tutela ambientale. Tuttavia, di queste solo il 15,7% programmava di internalizzare i costi ambientali e il 13,4 % di continuare a investire nell’economia circolare (ISTAT, 2018). Tra il 2015 e il 2016 gli investimenti delle imprese nella tutela ambientale sono aumentati del 2,3 %, principalmente grazie alle PMI (+12,9 %), mentre per le grandi imprese si è osservata una riduzione (-0,4 %) (ISTAT, 2019f). Nel 2017 la percentuale di PMI che offrivano prodotti e servizi verdi era inferiore alla media Ue (16 % rispetto al 25 %). Gli ecoinvestimenti contribuiscono all’andamento delle esportazioni: il 51% delle imprese che hanno investito nell’ecoinnovazione ha infatti incrementato le esportazioni nel 2018, rispetto al 38 % di quelle che non l’hanno fatto».

Il documento europeo evidenzia che in Italia «La transizione verde può incidere positivamente a livello sociale se opportunamente sostenuta. Le ecoindustrie e i posti di lavoro verdi sono in aumento in Italia e nel 2017 rappresentavano il 2,3 % del PIL. Il valore aggiunto delle ecoindustrie è maggiore nel settore dell’energia (60 %), seguito da quello dei rifiuti (circa il 20 %) e dell’acqua (circa l’8 %). Dal 2015 il tasso di crescita più elevato (+28 %) è stato registrato per l’agricoltura biologica e la gestione dei rifiuti. Il numero di persone impiegate nel settore dei beni e dei servizi ambientali è cresciuto a ritmo sostenuto raggiungendo quota 386 000 nel 2016. La transizione verde porterà, presumibilmente, a una creazione netta positiva di posti di lavoro, ma richiederà una significativa ridistribuzione della forza lavoro tra tutti i settori. Sarà pertanto fondamentale investire nelle strategie tese a migliorare il livello delle competenze e ad anticipare quelle necessarie per favorire la riqualificazione dei lavoratori (sezione 4.3.2). Le misure volte a promuovere l’efficienza energetica potrebbero inoltre migliorare l’accesso all’energia a prezzi abbordabili (OSS 7) in quanto la percentuale della popolazione che non riesce a riscaldare adeguatamente la propria abitazione resta molto elevata (14,1 % nel 2018)».

L’Italia è il quarto maggiore produttore di gas serra dell’Ue e l’industria energetica è la principale responsabile al totale delle emissioni di gas serra, con una quota del 56 % nel 2017. Le principali fonti di emissioni in Italia sono le centrali a carbone e la produzione di ferro/acciaio.

Il Fondo per una transizione giusta può sostenere la transizione industriale verso la riduzione dell’uso del carbone. Per l’Italia il documento indica due aree di intervento prioritarie: Taranto e il Sulcis Iglesiente (Carbonia e Iglesias, nel sud-ovest della Sardegna).

Nell’allegato D si legge che «Nell’area funzionale urbana di Taranto (provincia di Taranto), che ospita una delle più grandi acciaierie europee e una delle tre maggiori centrali alimentate a carbone in Italia, il grande inquinamento industriale deriva dai gas a effetto serra, ma anche da altri inquinanti e dal particolato. Questa zona è fortemente dipendente dal punto di vista economico dall’acciaieria, che impiega circa 10.000 dipendenti, con circa ulteriori 10.000 che secondo le stime lavorano in società ad essa collegate. Questi posti di lavoro sono a rischio. La forte dipendenza della zona dai combustibili fossili rappresenta una sfida enorme per quanto riguarda la decarbonizzazione e richiede notevoli sforzi per sostenere una strategia di transizione integrata, che accompagni lo spostamento a lungo termine di Taranto verso alternative economiche e un ulteriore sviluppo del polo siderurgico. In base a questa valutazione preliminare, sembra necessario che il Fondo per una transizione giusta concentri il suo intervento in questa zona.Per far fronte a queste sfide sono stati identificati fabbisogni di investimenti prioritari per rendere più moderne e competitive le economie di questo settore. Le azioni chiave del Fondo per una transizione giusta potrebbero mirare in particolare a: Investimenti nella diffusione di tecnologie e infrastrutture per l’energia pulita a prezzi accessibili, l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, anche nei siti industriali con elevate emissioni di gas a effetto serra con l’obiettivo di ridurre queste emissioni; Investimenti nella rigenerazione e la decontaminazione dei siti, il ripristino del terreno e i progetti di conversione; investimenti nella creazione di nuove aziende, anche mediante incubatori di imprese e servizi di consulenza, tenendo conto delle strategie di specializzazione intelligente; Investimenti produttivi nelle PMI; Miglioramento delle competenze e riqualificazione professionale dei lavoratori; Assistenza nella ricerca di lavoro; Inclusione attiva delle persone in cerca di lavoro.

Per quanto riguarda il Sulcis Iglesiente, l’allegato D ricorda che L’ultima miniera italiana di carbone di Monte Sinni dovrebbe arrestare gradualmente la produzione di carbone entro il 2025. Essa dà lavoro a 350 dipendenti e la sua produzione è costantemente in calo. L’area è già caratterizzata da un’alta percentuale di abitanti anziani, pochi giovani laureati, alto tasso di disoccupazione giovanile (35,7 %), basso reddito pro capite e una qualità della vita complessivamente bassa. Ciò crea problemi per la transizione e genera relativi fabbisogni di investimenti. In base a questa valutazione preliminare, sembra necessario che il Fondo per una transizione giusta intervenga anche in questa zona. Le azioni chiave del Fondo per una transizione giusta potrebbero mirare in particolare a: Investimenti nella rigenerazione e la decontaminazione dei siti, il ripristino del terreno e i progetti di conversione; Investimenti nel potenziamento dell’economia circolare, anche mediante la prevenzione e la riduzione dei rifiuti, l’uso efficiente delle risorse, il riutilizzo, la riparazione e il riciclaggio; Investimenti produttivi nelle PMI, tra cui le start-up, finalizzati alla diversificazione e alla riconversione economica; Miglioramento delle competenze e riqualificazione professionale dei lavoratori; Assistenza nella ricerca di lavoro; Inclusione attiva delle persone in cerca di lavoro».

Il documento ricorda anche che ci sono tre procedimenti di infrazione avviati nei confronti dell’Italia per inquinamento atmosferico de che il 3,3 % della popolazione italiana (2 milioni di abitanti) vivono in zone in cui gli standard dell’Ue per la qualità dell’aria non sono rispettati. Oltre che sulla salute delle persone l’inquinamento atmosferico ha ripercussioni anche sui suoli, le superfici coperte da vegetazione e le acque, e nel 2016 nella pianura Padana sono stati registrati i dati più elevati al di sopra degli standard. Per l’Ue «La decarbonizzazione dei trasporti è fondamentale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra», ma «Il panorama delle politiche di intervento è in lenta evoluzione; ad esempio, recentemente l’Italia ha fissato un obiettivo di 6 milioni di auto elettriche entro il 2030».

A decarbonizzare i trasporti può contribuire l’aumento del trasporto ferroviario di merci, «La quota modale del trasporto ferroviario di merci (12,8 %) è inferiore alla media dell’UE (16,5 %), e per metà è costituita da trasporti internazionali», ma «I risultati dipenderanno dalla capacità dell’Italia di completare i principali progetti TENT nei tempi previsti», Tav Torino-Lione compresa, secondo la Commissione Ue.

Anche i porti possono svolgere un ruolo chiave nel rendere l’Italia un polo logistico sostenibile, «uttavia è necessaria una rapida attuazione per rispettare i termini del periodo di programmazione 2014-2020».

Per quanto riguarda lo sviluppo di una mobilità urbana sostenibile ha un grosso potenziale ma «L’Italia ha iniziato ad adottare piani urbani di mobilità sostenibile (PUMS) (99) la cui approvazione entro ottobre 2020 è un prerequisito per accedere ai fondi e ai prestiti nazionali. Alla fine del 2019 erano stati approvati 35 PUMS (con solo due città metropolitane — Bologna e Genova), altri 35 erano stati ultimati ma non ancora approvati e 88 erano in fase di preparazione. Tra i provvedimenti positivi vengono citati le recenti misure sugli autoveicoli aziendali, Il decreto legge “Clima”, il piano strategico nazionale per una mobilità sostenibile, adottato nel 2019.

L’Italia registra risultati relativamente positivi nell’economia circolare, ma sussistono discrepanze tra una regione e l’altra. Il documento evidenzia che «Nel 2016 l’Italia è stata tra i paesi dell’UE che hanno registrato i migliori risultati nell’economia circolare, incluso nell’attuazione (Rete per l’economia circolare, 2019), con un tasso di utilizzo circolare delle materie prime seconde (OSS 12) del 17,1 %. Il valore aggiunto lordo e i posti di lavoro connessi ai settori dell’economia circolare (1,1 % del PIL e 2,06 % dei posti di lavoro totali) sono stati leggermente superiori alla media Ue (rispettivamente 1% e 1,69%)».

Nel 2018 in Italia il tasso di riciclaggio dei rifiuti urbani (OSS 11) era superiore alla media Ue (49,8% contro 47% nel 2018) e in netto miglioramento sul 38,4% nel 2012, ma «due procedimenti di infrazione della normativa UE in materia di rifiuti sono stati avviati contro l’Italia per discariche non conformi e la gestione inadeguata dei rifiuti in Campania in passato, per i quali il ppaese sta pagando delle ammende. Il governo prevede di aggiornare la strategia nazionale per la prevenzione dei rifiuti. La legge di bilancio 2020 comprende una tassa sui prodotti di plastica monouso».

Invece, per quanto riguarda il trattamento delle acque reflue e l’efficienza della distribuzione idrica i risultati dell’Italia sono insoddisfacenti: «Nonostante i recenti miglioramenti, nel 2015 solo il 59,6 % della popolazione era allacciato almeno alla rete secondaria di trattamento delle acque reflue. Tuttavia, 913 agglomerati sono risultati non conformi alle disposizioni in materia di raccolta e/o trattamento della direttiva europea sul trattamento delle acque reflue urbane e l’Italia sta pagando un’ammenda per una delle quattro infrazioni aperte. Tra il 2010 e il 2015 la concentrazione media di nitrati nelle acque sotterranee ( 104) è aumentata, pur restando al di sotto della media Ue (10,4 NO3/l contro 18,3). Inoltre, l’efficienza della rete di distribuzione dell’acqua potabile sta peggiorando, in quanto la percentuale di acqua immessa nella rete che raggiunge gli utenti finali è scesa dal 62,6 % nel 2012 al 58,6 % nel 2015. Solo l’87 % dell’acqua destinata all’uso potabile è stato immesso nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua e solo il 52 % è stato infine erogato agli utenti.

Adattamento al clima e prevenzione dei rischi.

E gli eventi climatici stanno duramente colpendo il nostro Paese. Secondo l’European environmental agency «L’Italia è il secondo Paese più colpito dell’Ue da catastrofi idrogeologiche, fenomeni meteorologici estremi, siccità e incendi boschivi, che hanno comportato perdite economiche per circa 65 miliardi di EUR e oltre 20 600 vittime tra il 1980 e il 2017. Tuttavia solo il 5 % delle perdite era assicurato (uno dei livelli più bassi dell’Ue), il che significa che lo Stato, in qualità di assicuratore di ultima istanza, o le vittime hanno dovuto assorbire tali perdite».

E la Commissione Ue fa proprie le preoccupazioni e le sollecitazioni al governo delle associazioni ambientaliste italiane: «Occorrono ulteriori sforzi per una strategia globale di adattamento al clima. Alla luce della vulnerabilità dell’Italia alle catastrofi naturali è necessario mettere a punto e adottare rapidamente il piano nazionale di adattamento. La valutazione dei rischi climatici deve essere presa in considerazione nell’elaborazione delle politiche. Risulta quindi importante tenere conto dei fattori alla base dei cambiamenti climatici nella valutazione nazionale del rischio di catastrofi. La strategia nazionale italiana di riduzione del rischio di catastrofi, prevista per il 2020, può rappresentare un’opportunità per rafforzare tale integrazione.

Gli investimenti nella prevenzione possono ridurre le spese emergenziali, in particolare per i rischi idrogeologici e sismici».

Il documento conclude ricordando che «Una proposta di legge sul contenimento del consumo del suolo è attualmente all’esame del Parlamento. Un forte impegno nella mitigazione dei cambiamenti climatici aiuterà l’Italia a raggiungere l’OSS 13 — Azione per il clima».