Taglio dell’Iva? Meglio una rimodulazione in senso ecologico dell’imposta

Stati generali, Conte contro la sindrome Nimby che blocca le rinnovabili italiane

«Per abbandonare i combustibili fossili abbiamo bisogno dell’appoggio di tutto il Paese, dobbiamo essere coerenti: non possiamo parlare di transizione energetica e poi avere dubbi per parchi eolici e fotovoltaici»

[22 Giugno 2020]

Si sono chiusi a villa Pamphilj gli Stati generali dell’economia, una rassegna d’idee che ha portato il Governo a confrontarsi con ampio ventaglio di categorie produttive e sociali sui capisaldi attorno ai quali impostare la ripresa del Paese dopo i danni economici inflitti dalla pandemia ancora in corso: dal piano Colao alle proposte avanzate da Legambiente e Wwf, passando per sindacati e Confindustria, gli spunti raccolti sono molti e assai diversi tra loro, ma dovranno cristallizzarsi rapidamente in un piano nazionale.

Anche perché sarà questa la base che sarà presentata (e valutata) in Europa in autunno per poter intercettare in le risorse che l’Ue sta negoziando nell’ambito della proposta Next generation. Per l’Italia si parla di oltre 170 miliardi di euro tra prestiti e trasferimenti a fondo perduto, l’importo più generoso in tutta Europa.

Ma i soldi da soli non bastano e rischiano anzi di essere controproducenti, se non si è poi in grado di spenderli neanche nei progetti più necessari allo sviluppo sostenibile del Paese, come nel caso degli impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili. Un punto che è stato colto dal premier nella conferenza stampa di chiusura degli Stati generali.

«Per abbandonare i combustibili fossili e passare alle energie rinnovabili – ha dichiarato Conte – abbiamo bisogno dell’appoggio di tutto il Paese e dobbiamo essere coerenti. non possiamo parlare di transizione energetica e poi avere perplessità e dubbi per parchi eolici e fotovoltaici, per l’energia idrica».

Una posizione che ricalca quella già espressa a febbraio dal ministro dello Sviluppo economico Patuanelli: «Lo dico a me stesso e lo dico anche alla mia forza politica (il Movimento 5 Stelle, ndr) che dobbiamo uscire da alcune ambiguità perché non possiamo pensare di parlare di rinnovabili e però essere contro il fotovoltaico a terra, essere contro l’eolico, pensare che la geotermia fa male, eccetera. Bisogna uscire da questo paradosso e decidere qual è la direzione che vogliamo prendere».

Da una parte l’eccessiva burocrazia e dall’altra le sindromi Nimby – due problemi con molteplici punti di contatto – sono infatti tra i principali freni allo sviluppo dell’energia pulita nel nostro Paese, complici politiche spesso incoerenti per quanto riguarda i regimi d’incentivazione. Come risultato finale le rinnovabili italiane sono sostanzialmente in stallo dal 2014 e anche il vigente Piano nazionale integrato clima ed energia (Pniec) non affronta col giusto vigore il problema.

Il contesto generale è paradossale. Se da una parte i cittadini italiani mostrano ormai stabilmente un gradimento attorno al 90% nei confronti delle rinnovabili (come conferma anche l’ultimo sondaggio Eurobarometro condotto in materia), dall’altra non si arrestano le contestazioni verso la realizzazione di nuovi impianti sul territorio. L’ultimo report pubblicato (a fine 2018) dall’Osservatorio media permanente Nimby forum mostra infatti che, paradossalmente, i tre quarti circa degli impianti contestati in Italia nel comparto energetico hanno a che fare con le fonti pulite.

«Come siamo arrivati a questa deriva anti-industrialista? Come Nimby Forum – spiegava allora Alessandro Beulcke, ceo dell’agenzia che dal 2004 promuove l’Osservatorio Nimby forum  – lo diciamo da anni: è un problema di comunicazione. E chi dice che la comunicazione sia un corollario, si accomodi in un’altra epoca. Togliere il terreno da sotto i piedi al populismo è una responsabilità di tutti, per assistere finalmente a dibattiti informati, che permettano azioni politiche volte al bene comune, oltre il consenso di breve termine».

Perché è bene aver presente quali sono i principali attori che guidano le proteste:  i dati raccolti dall’Osservatorio mostrano che nella maggioranza assoluta dei casi (51,6%) sono proprio enti pubblici e politica – forti rispettivamente del 26,3% e 25,4% delle contestazioni – a opporsi a impianti e opere pubbliche, seguiti dalla matrice popolare (comitati, etc) con il 34,6% e associazioni ambientaliste (9,6%). Più Nimto (Not in my terms of office, non durante il mio mandato elettorale) che Nimby (Not in my back yard, non nel mio cortile), dunque.

Sta alle istituzioni, espressioni della democrazia, prendersi la responsabilità di guidare un percorso di sviluppo per il Paese che possa dirsi sostenibile non solo a parole. Anche l’ipotesi ventilata dal premier Conte per un rilancio dei consumi, ovvero un taglio dell’Iva sulla scia di quanto già deciso dalla Germania, potrà essere un importante banco di prova: non tutti i consumi fanno bene allo sviluppo sostenibile. Sarebbe dunque utile valutare la possibilità di una rimodulazione dell’imposta tenendo conto degli impatti ecologici dei vari beni e servizi soggetti a tassazione: qualche esempio? Iva agevolata per prodotti che contengono una quota minima di riciclato, in modo da rendere competitivo il costo tra questi ultimi rispetto ai prodotti realizzati esclusivamente con materiale vergine.

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