Sull’End of waste ambientalisti e imprese sono dalla stessa parte, manca solo la politica

Greenpeace, Legambiente e Wwf: «Il legislatore consenta alle regioni di autorizzare il riciclo “caso per caso”, nel rispetto della direttiva europea sui rifiuti»

[30 Settembre 2019]

Il Green new deal annunciato dal Governo in carica non si è ancora concretizzato in alcun modo, e nell’attesa a circolare sono state solo due bozze del decreto Clima avanzato dal ministero dell’Ambiente: la seconda rappresenta semplicemente una versione peggiorativa della prima, in primis perché sono spariti i riferimenti al taglio dei sussidi ambientalmente dannosi – 19,3 miliardi di euro all’anno pagati dai contribuenti – che aprivano a un primo benché timido tentativo di transizione ecologica. Nelle due bozze a colpire è soprattutto ciò che manca, con l’esempio migliore tristemente offerto al capitolo sull’economia circolare: l’articolo di legge dedicato al suo cuore normativo, l’End of waste, è rimasto vuoto in entrambe le bozze.

Il problema è noto: tutto nasce dalla sentenza 28 febbraio 2018 n. 1229 emessa dal Consiglio di Stato che – in assenza di criteri Ue o nazionali – nega che possano essere le singole Regioni a riconoscere caso per caso la cessazione della qualifica di rifiuto (End of waste) al termine di un processo di recupero, un passaggio indispensabile affinché i materiali riciclati possano effettivamente tornare sul mercato. Il problema è che ad oggi esistono criteri Ue solo per 5 categorie di rifiuti, e 3 criteri nazionali;  per dare un’idea dello stallo, sono altri 16 i decreti ministeriali in fase di elaborazione, fermi da una vita. Per metterci una toppa M5S e Lega hanno inserito un comma nello Sblocca cantieri, che si è subito rivelato peggio del buco limitandosi a salvaguardare le tipologie e le attività di riciclo previste da un decreto di vent’anni fa – il DM 5 febbraio 1998 e successivi – escludendo quindi quelle che sono state sviluppate nel frattempo. Una farsa che impedisce il rilascio delle autorizzazioni ai nuovi impianti di riciclo, il rinnovo di quelle esistenti andate nel frattempo in scadenza e mette a rischio – come mostra il recente esempio bresciano – anche il mantenimento di quelle in essere.

«Sull’End of waste stiamo definendo il percorso, ci ho provato sette volte da quando è iniziata la legislatura – ha commentato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa intervenendo a Sky Tg24 – adesso spero che sia la volta buona e credo siamo molto vicini». Il refrain è simile a quello che ha preceduto il varo dello Sblocca cantieri, con le conseguenze nefaste appena ricordate, dunque la cautela è d’obbligo.

Soprattutto, stupisce constatare una volta di più l’ormai palese ritardo e la pressoché totale mancanza di pragmatismo con cui la politica nazionale approccia l’economia circolare: un modus operandi distante anni luce da quello che, pur partendo da posizioni diverse, ha portato le principali associazioni ambientaliste e le imprese di settore a convergere verso la medesima richiesta in fatto di End of waste.

«Riteniamo sia necessario intervenire con urgenza attraverso l’introduzione di una nuova norma – dichiarano infatti in una nota congiunta Greenpeace, Legambiente e Wwf – che consenta alle Regioni di autorizzare il riciclo “caso per caso”, nel pieno rispetto dei criteri dettati dal paragrafo 2, dell’art. 6 della direttiva 98/2008/UE, per le attività non ancora regolate da decreti nazionali o da regolamenti europei, sostenendo così la continua eco-innovazione, sbloccando il recupero di importanti quantità di rifiuti in condizioni di sicurezza ambientale e permettendo all’Italia di raggiungere i nuovi target europei in materia. Riteniamo, altresì, che tali autorizzazioni regionali debbano confluire in un apposito Registro nazionale presso il Ministero dell’Ambiente in modo da poter essere sottoposte a specifici controlli al fine di garantire il rispetto delle condizioni  e dei criteri citati nonché di assicurare un’applicazione uniforme nell’intero territorio nazionale. Occorre, infine, accelerare l’emanazione dei decreti nazionali di cessazione della qualifica di rifiuto (End of waste), rafforzare le strutture ministeriali dedicate alla predisposizione di tali decreti e semplificare i procedimenti in modo da ridurre la durata degli stessi, sino ad oggi eccessiva, senza, tuttavia, diminuire le garanzie di protezione per l’ambiente e per la salute».

Come nota l’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, in sostanza la proposta ambientalista per superare lo stallo sull’End of waste è sostanzialmente convergente con quella avanzata da 56 organizzazioni di imprese attive nell’economia circolare, che già a luglio hanno preparato una bozza di emendamento sul tema che sarebbe sufficiente adottare da parte del legislatore. Lo stesso emendamento che è stato poi portato in audizione parlamentare a metà settembre. La politica nazionale l’ha valutato, apprezzato, bocciato? Non è dato sapere: al momento l’unica risposta è quel vuoto pneumatico nel decreto Clima.