Lo studio Aci, Cnr ed Enea presentato a Roma

Trasporti e CO2, ecco come cambierà il parco auto italiano nei prossimi 10 anni

Nel 2030 le auto termiche rappresenteranno ancora l’82% del parco circolante, le ibride il 10%, e le elettriche quasi il 9%: troppo poco

[27 Novembre 2019]

Secondo gli ultimi dati a disposizione, in Italia le emissioni del settore trasporti sono pari a 98 Mt CO2 (dati 2017), circa un terzo di quelle del sistema energetico nazionale nel suo complesso: la quasi totalità delle emissioni settoriali (il 93%) è imputabile al trasporto su strada, ed è dunque chiara la necessità di progressi su questo fronte per centrare gli obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici. Si parla di circa 38 milioni di auto private – 65 ogni 100 abitanti –, in uno dei Paesi europei con il più alto tasso di motorizzazione: cosa cambierà da qui al 2030, quando gli attuali obiettivi Ue prevedono una riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990)?

Per rispondere Aci, Cnr ed Enea hanno presentato ieri a Roma lo studio Per una transizione energetica eco-razionale della mobilità automobilistica, dal quale emerge che in uno scenario tendenziale, nel 2030 le auto termiche rappresenteranno ancora l’82% del parco circolante, le ibride il 10%, e le elettriche quasi il 9%. Un risultato che di per sé non sarà sufficiente a centrare gli obiettivi di riduzione nelle emissioni di CO2: secondo lo studio, per il raggiungimento dei target imposti le emissioni totali al 2030 non dovrebbero superare le 48,8 Mt CO2 eq, mentre senza interventi correttivi si fermerebbero a 54,5 Mt CO2 eq. Serve dunque un ulteriore taglio dell’11%: «È necessario quindi – sottolinea Giuseppina Fusco, presidente della Fondazione Caracciolo – un quadro regolatorio chiaro e certo che, in ottica di neutralità tecnologica, consenta alle imprese di proseguire nelle strategie di investimento potendo contare su una prospettiva di lungo termine definito. Le scelte di policy dovranno essere fondate su criteri di eco-razionalità, che coniughino le esigenze ambientali con quelle economiche e sociali, così da conseguire l’obiettivo minimizzando i costi per la collettività».

Da questo punto di vista sono molteplici i fattori da tenere in considerazioni, per non cadere in tragici errori di valutazione come quelli che in Francia hanno finito per innescare la protesta dei Gilet gialli. Ad esempio, già oggi nelle regioni italiane con Pil procapite più basso, solo un veicolo su dieci è di classe Euro 6; in altre regioni invece, grazie agli incentivi per l’acquisto di un’automobile elettrica, si può arrivare ad un risparmio di 16.000 euro anche per modelli di alta gamma, che rimangono tuttavia fuori dalla portata di un’ampia fascia della popolazione. Aci, Cnr ed Enea sottolineano inoltre che – dato che i veicoli non inquinano soltanto nella fase d’uso – le emissioni devono essere valutate durante tutte le fasi del ciclo di vita: produzione, distribuzione, trasporto, uso, dismissione e riuso. Nella fase di produzione, ad esempio, le auto elettriche emettono l’82% in più di CO2 di quelle termiche, per poi  recuperare nella fase d’esercizio arrivando a “pareggio emissivo” dopo circa 45.000 km. Con l’aumento delle percorrenze, però, aumentano i vantaggi emissivi dell’auto elettrica.

Nel complesso, lo studio invita sin da subito a scongiurare il paradosso di una transizione all’elettrico che gravi sulle spalle delle fasce sociali meno abbienti, e a tenere in debito conto anche i cambiamenti che la transizione comporterà nel quadro delle entrate fiscali: lo studio osserva infatti che, con la diffusione dell’auto elettrica e con i minori consumi legati al progresso dei motori, si ridurranno le entrate fiscali derivanti dalle accise sui carburanti che nel 2018 hanno generato – per le sole autovetture – entrate pari a 18,474 miliardi.

In questo contesto, secondo lo studio è necessario puntare da subito su efficientamento, promozione del trasporto pubblico locale e di forme di mobilità condivisa e ciclopedonale: una pianificazione eco-razionale della mobilità deve inoltre prevedere investimenti per l’eliminazione o la sostituzione con usato recente dei quasi 14 milioni di auto ante Euro 4 (il 35% del parco circolante) e per lo svecchiamento dei mezzi pubblici, sostituendo gli autobus diesel Euro 3 (il 60% del parco autobus nazionale) con modelli elettrici alimentati da energie rinnovabili (ogni sostituzione comporta una riduzione delle esternalità ambientali pari a 24.055 Euro l’anno).

«La transizione eco-razionale della mobilità – commenta il presidente Aci, Angelo Sticchi Damiani – consentirà di raggiungere il contenimento delle emissioni di CO2 su livelli prossimi agli obiettivi fissati dall’Europa al 2030. Un’ulteriore auspicabile accelerazione di questo percorso potrà arrivare dal sostegno a rottamare le vecchie auto da Euro 0 a 3, le più inquinanti, con auto più sicure e avanzate, quali ovviamente le ultimissime Euro 6d e come anche le recenti e più accessibili Euro 4 e Euro 5».

Il premier Giuseppe Conte, durante la presentazione dello studio (nella foto), si è detto «pronto a valutare insieme ad Aci ogni strategia per rinnovare il parco auto italiano». Nel complesso quello emerso ieri è uno scenario improntato al pragmatismo, che potrebbe però essere accompagnato da una dose di coraggio (e investimenti) prima del previsto: di fronte alla crisi climatica in corso, l’Ue sta già spingendo per rendere più ambiziosa la riduzione nell’emissione di gas serra al 2030, incrementando il taglio dal 40% previsto attualmente a un più sfidante -50 (o -55%) per cento.

L. A.