Trasporti, l’Italia non deve più vendere veicoli a combustione interna entro il 2030

Le principali associazioni ambientaliste unite da un appello in 10 punti inviato al Governo per migliorare il Piano nazionale energia e clima

[1 Luglio 2019]

Per vincere la sfida contro i cambiamenti climatici è cruciale migliorare il settore trasporti, che è responsabile – in Italia e in Europa – di circa il 28% delle emissioni totali. Nonostante lo scandalo Dieselgate e le promesse di ripulire il comparto ad oggi grandi miglioramenti non si vedono, anzi. Come testimonia l’ultimo report dell’Agenzia europea dell’ambiente (Eea), sia nel 2017 sia nel 2018 sono tornate a crescere le emissioni di CO2 dei nuovi veicoli immatricolati; è evidente che senza un’adeguata politica industriale e normative stringenti a supporto, la transizione ecologica mancherà il bersaglio. Per questo Legambiente, Wwf Italia, Greenpeace Italia, Kyoto club, Cittadini per l’aria e Transport & environment hanno inviato al Governo italiano un documento dove chiedono target più ambiziosi all’interno del Pniec, il Piano nazionale energia e clima inviato alla Commissione Ue dove «lo sviluppo dei veicoli puramente elettrici rimane minoritario – osserva Luca Iacoboni, responsabile della campagna Clima di Greenpeace Italia – Serve decisamente più ambizione per contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici».

«L’Italia è in forte ritardo nel creare la strategia industriale per la transizione, e il ritardo è più accentuato nella mobilità – argomenta Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed energia del Wwf Italia – nel nostro Paese, infatti, negli anni passati per il trasporto pulito si è puntato sul gas, unici in Europa e quindi senza prospettive nemmeno di competitività. Il Pniec deve essere un’occasione per colmare il gap, per creare le filiere e i distretti industriali, ma anche avviare da subito il passaggio verso la mobilità collettiva e individuale elettrica, senza miopi politiche dei due tempi che in realtà ci farebbero solo perdere altro tempo».

Sul banco degli imputati ci sono l’incentivazione dell’uso del gas naturale nei trasporti, l’eccessivo ricorso ai biocombustibili di prima generazione, l’assenza di target ambiziosi per l’elettrificazione del parco veicolare e per la riduzione del numero di auto circolanti nei centri urbani a favore della mobilità attiva. Nella documentazione inviata al governo italiano, le associazioni trasmettono 10 raccomandazioni minime e prioritarie (riassunte nell’infografica in alto, ndr) per migliorare il Pniec alla voce trasporti, e tracciare un percorso per la decarbonizzazione del settore in modo da raggiungere le zero emissioni nette al 2050.

Come sottolinea il report di T&E, National energy and climate plans transport ranking, il nostro Paese figura tra ultimi Stati membri in termini di ambizione climatica nel settore trasporti, precisamente al diciassettesimo posto (su 28) dopo la Slovacchia. Per rispettare l’obiettivo di diminuzione del 33% di emissioni rispetto ai livelli del 2005, l’Italia deve tagliare 23 milioni di tonnellate nel settore trasporti italiano al 2030, mentre le restanti 77 milioni di tonnellate di CO2, dovranno essere portate a zero entro il 2050 al più tardi.

Come migliorare? Tra le principali richieste avanzate dagli ambientalisti spiccano: il divieto di vendita dei veicoli endotermici entro il 2030; la promozione di veicoli elettrici puri – lo share previsto è di 6 milioni di auto elettriche, ma di queste sono 1,6 milioni sono pure, i rimanenti 4,4 milioni modelli ibridi; lo stop dei sussidi fossili ambientalmente dannosi, soprattutto per quanto riguarda il gas naturale, che nel settore gode di ingenti agevolazioni fiscali. «Andrebbe rimodulata la tassazione dei combustibili sulla base del contenuto energetico e delle emissioni di CO2, non escludendo il trasporto aereo – aggiunge  Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club – Infine andrà posta un’attenzione decisamente maggiore sulle soluzioni soft come la bicicletta, con obiettivi precisi sui chilometri di percorsi ciclabili al 2030».

«L’Italia ha tutto l’interesse ad uscire dalla mobilità fossile perché – conclude il vicepresidente di Legambiente, Edoardo Zanchini – siamo la nazione europea in cui si riscontrano più decessi prematuri per inquinamento nelle città e perché può riuscire in questa prospettiva a recuperare il primato europeo nell’industria dell’automotive, considerando che oggi abbiamo il secondo fatturato dopo solo la Germania  Chi pensa di difendere l’industria nazionale fermando queste innovazioni è fuori dal tempo e condanna il sistema manifatturiero italiano. Chiediamo al governo italiano di proporre un piano per la transizione che permetta alle imprese di programmare gli investimenti, coordinata con gli altri Paesi europei per arrivare a non vendere più auto a combustione interna, e per tornare a rilanciare gli investimenti industriali nella mobilità innovativa».