In Italia ancora uno dei tassi di disoccupazione più alti in Ue. Cercasi piano di sviluppo

Un anno di Jobs act e sgravi è costato 13mila euro per ogni posto di lavoro in più

Oggi l’Istat aggiorna i dati sull’occupazione: solo 135mila nuovi “dipendenti permanenti”

[2 Febbraio 2016]

L’Istat ha pubblicato oggi gli ultimi dati relativi all’occupazione in Italia, finendo così per coprire anche l’ultima mensilità del 2015. Non si tratta di un report periodico come un altro, in quanto permette di tracciare una linea precisa: dopo un anno di azione congiunta da parte degli sgravi contribuitivi e dalla nuova normativa contrattuale definita dal Jobs act, ovvero il fulcro individuato dal governo Renzi come la chiave di volta per rilanciare l’occupazione in Italia, quante sono state effettivamente le assunzioni in più?

«Rispetto a dicembre 2014 – osserva l’Istat – i dipendenti crescono dell’1,5% (+247 mila), spiegando interamente la crescita dell’occupazione nei dodici mesi, mentre gli indipendenti diminuiscono del 2,5% (-138 mila). Tra i dipendenti, quelli permanenti crescono dello 0,9% (+135 mila) e quelli a termine del 4,9% (+113 mila)». La categoria dei “dipendenti permanenti”, ossia del vecchio “tempo indeterminato”, è proprio quella che ha beneficiato degli sgravi contributivi durante l’anno passato, e continuerà a farlo (anche se in misura progressivamente ridotta) in futuro. Un risultato concreto è stato dunque ottenuto: 135mila occupati in più. A quali costi?

L’impegno finanziario effettivamente erogato da parte dello Stato alle imprese per procedere alle assunzioni con il nuovo contratto a tutele crescenti non è così facile da individuare come sarebbe lecito aspettarsi. Gli ultimi dati in merito diffusi dalla Uil parlano di un costo di circa 1,8 miliardi per i contribuenti nell’anno trascorso (e oltre 3,7 mld nel 2016, 3,9 mld nel 2017, 2,1 mld nel 2018 e 0,130 mld  nel 2019)». Dunque, ipotizzando com’è lecito che tutti i 135mila nuovi dipendenti permanenti abbiano beneficiato degli sgravi, risulta che per ognuno di essi lo Stato – o per meglio dire, il contribuente italiano – abbia versato più di 13.300 euro. Non solo: gli sgravi contributivi durano per 3 anni dall’assunzione, e alla fine sempre la Uil stima che ogni nuovo assunto con il contratto a tutele crescenti sarà costato 25mila euro allo Stato. E poi, licenziamento? Vedremo. Certo è, dopo 12 mesi di sperimentazione, la strategia del governo per il lavoro tutto può dirsi tranne che un successo.

Anziché distribuire prebende alle aziende, con le cifre stanziate si sarebbe potuto creare più o meno direttamente nuovo lavoro qualificato, utile magari al tanto declamato sviluppo sostenibile del Paese: una sorta di lavoro minimo garantito. Diversamente, le ingenti risorse avrebbero potuto concorrere alla formazione di un reddito minimo garantito, che nonostante tutto ancora latita in Italia. Si è preferito scegliere la via più comoda, quella della propaganda minima garantita.

I risultati conseguiti in termini di occupazione dall’Italia negli ultimi 12 mesi non si distanziano affatto da quelli che si riscontrano negli altri paesi europei, dove l’azione del nostro energico premier, presumibilmente, non ha effetti. Anzi, come testimonia oggi l’Eurostat, a dicembre 2015 l’Italia ha ancora il sesto tasso di disoccupazione più alto in Ue. In attesa di un vero piano di sviluppo per l’Italia, possibilmente green, difficile che le cose cambino davvero. Un ipotesi di questo tipo sembrò timidamente affacciarsi tra i vari annunci del premier, esattamente 13 mesi fa. Il 2 gennaio 2014 Renzi lanciò l’imminente arrivo del GreenAct: non se n’è saputo più nulla.