Un focus che oltre al nostro abbraccia Paese Germania, Regno Unito, Francia e Spagna

Ecco come vengono gestiti i rifiuti urbani nei grandi Paesi europei

Spitella (Utilitalia): «Come per energia e acqua, in Italia servirebbe un’Authority indipendente che attraverso regole uguali per tutti possa accompagnare l’industrializzazione del settore»

[9 Novembre 2017]

Roma è l’unica delle grandi capitali in Europa che per gestire i rifiuti urbani prodotti dai propri cittadini non è dotata di impianti di prossimità per trattamento e/o termovalorizzazione. Non perché la sindaca M5S Virginia Raggi (invitata a fine ottobre a Campi Bisenzio (Fi) per parlare all’incontro internazionale dei Comuni e comunità rifiuti zero) abbia realizzato impianti alternativi, ma in quanto ogni giorno partono dalla Città eterna 160 autoarticolati carichi di spazzatura, in modo che ad occuparsene siano altri impianti in Italia o fuori confine. Non è così che funziona nelle altre principali capitali d’Europa,  quelle appartenenti a Paesi con almeno 45 milioni di abitanti.

Come testimonia lo studio “Analisi dei modelli di gestione dei servizi di igiene ambientale nei principali Paesi europei”, messo a punto da PricewaterhouseCoopers (Pwc) per Utilitalia (la Federazione nazionale delle imprese di ambiente energia e acqua) e presentato a Ecomondo, a Londra (con 8,7 milioni abitanti) si «arriva ad una percentuale di raccolta differenziata del 34%, con un impianto nel territorio cittadino e una tariffa sostenuta dalla fiscalità locale; Berlino (3,4 milioni abitanti) differenzia il 42% dei rifiuti, ha un impianto nel territorio, e una tariffa rifiuti; Madrid (3,2 milioni abitanti) arriva a una differenziata del 17%, ha un impianto in città, e una tariffa per le attività economiche che sostiene la gestione; Roma (2,8 milioni abitanti), 39% di differenziata, una tassa sui rifiuti ma non ha impianti nel territorio; Parigi (2,3 milioni abitanti), 18% di differenziata, ha un impianto in città, e una tariffa per attività economiche».

Roma non è certo l’unico capoluogo in Italia a versare in simili condizioni, ma sarebbe riduttivo sovrapporre lo stato di alcuni municipi a quello dell’intero Paese, che secondo Utilitalia si piazza dietro solo alla Germania per quanto riguarda «recupero e riciclo» dei rifiuti urbani: «La Germania ha sostanzialmente una gestione che si può definire a “discarica zero” (soltanto 0,2%): incenerisce il 32% e recupera e ricicla il 68%. L’Italia invece 49% di recupero e riciclo, 21% di incenerimento e 30% di discarica; il Regno Unito 45% di recupero, 32% di incenerimento e 23% di discarica; la Francia 45% di recupero, 35% di incenerimento e 26% di discarica; poi la Spagna 33% di recupero, 12% di incenerimento, 55% di discarica».

L’analisi sottolinea come i tedeschi si posizionino tra i Paesi ad alto tasso di riciclo e ad alto tasso di incenerimento (circa al 35%), con la media Ue che è del 27%, e che alla diminuzione del «ricorso alla termovalorizzazione, aumenta lo smaltimento in discarica: in questa fascia si posizionano Francia e Regno Unito, subito dopo l’Italia», mentre ricorre di più alla discarica «soltanto la Spagna». Nel dettaglio, per quanto riguarda la termovalorizzazione «in Germania sono presenti 103 impianti con una capacità media di 250 mila tonnellate l’anno ciascuno, in Francia 126 impianti con una capacità media di 116 mila tonnellate l’anno, in Italia 41 impianti (13 in Lombardia, 8 in Emilia Romagna e 5 in Toscana, le prime tre Regioni) con una capacità media di 172 mila tonnellate l’anno, in Inghilterra 36 con una capacità di 280 mila tonnellate l’anno, in Spagna 10 (capacità di 273 mila tonnellate l’anno)».

E per quanto riguarda la voce “recupero e riciclo”? Da precisare i numeri riportati nello studio Utilitalia si riferiscono ai soli rifiuti urbani (30,1 milioni di tonnellate, contro le 132,4 milioni di tonnellate prodotte di rifiuti speciali), e che quel 49% riferito all’Italia si distacca seppur di poco dal 47,7% indicato dall’Ispra in quanto – ci spiegano da Utilitalia – l’indagine presentata a Ecomondo rappresenta uno studio campionario volto a comparare Stati tra loro diversi, con diversi metodi di analisi e conteggio dei rifiuti urbani gestiti. Da notare che l’Istituto superiore per la protezione per la protezione e la ricerca ambientale non parla di riciclo ma di “preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio”, notando al contempo che in Italia va accrescendosi la «forbice tra percentuale di raccolta differenziata e tassi di riciclaggio». Un allarme rimarcato proprio a Ecomondo dal Consiglio nazionale della green economy:  «La forte crescita delle raccolte e del riciclo non è accompagnata da corrispondenti sbocchi di mercato con difficoltà in particolare per le plastiche e per la carta». E così il cerchio non sempre si chiude.

«Condividiamo l’allarme lanciato dal Consiglio nazionale della green economy, anche se – ci spiega Gianluca Spitella, direttore delle relazioni esterne di Utilitalia – credo che i dati raccolti nello studio che abbiamo pubblicato con Pwc mostrino come l’Italia abbia comunque raggiunto un buon grado di maturità rispetto al contesto europeo, con un notevole progresso in pochi anni. Quel che posso aggiungere è che per migliorare ancora sarebbe utile l’introduzione di un’Authority indipendente, come già accaduto nell’ambito dell’acqua e dell’energia, che riesca ad accompagnare il processo di industrializzazione del nostro settore con regole uguali per tutti, affrontando quei punti nodali che vanno dalle dimensioni degli Ato (Autorità d’ambito ottimali, ndr) alla definizione di una tariffa che sia sostenibile dal punto di vista economico come da quello ambientale, ma anche istituire un sistema di controllo che premi i gestori virtuosi penalizzando quelli che invece non lo sono. Riuscissimo a raggiungere una maggiore efficienza lungo la filiera di gestione dei rifiuti, anche la questione degli sbocchi di mercato per i prodotti riciclati potrebbe essere affrontata con maggiore completezza».