Accordo nucleare con l’Iran: i tedeschi sono già a fare affari a Teheran

170 deputati repubblicani Usa chiedono di bocciare l’intesa Iran – G5+1

[20 Luglio 2015]

Il vice-cancelliere socialdemocratico e ministro dell’economia tedesco, Sigmar Gabriel, non ha nemmeno fatto depositare il sollievo per il sofferto accordo nucleare  raggiunto tra Iran e G5+1 (Cina, Gran Bretagna, Francia, Russia, Usa e, appunto, Germania) e ha preso il volo per l’Iran, dove da ieri è in visita ufficiale con una folta  – e non certo improvvisata… – delegazione di 60 persone che comprende anche «rappresentanti di aziende, gruppi industriali e centri di ricerca». Gabriel è così il  primo alto rappresentante di uno dei governi occidentali che hanno imposto le sanzioni all’Iran a visitare il paese dopo il raggiungimento del patto sul nucleare iraniano firmato il 14 luglio a Vienna.

Lo scatto tedesco ha bruciato tutti e, come spesso accade recentemente, è abbastanza spregiudicato, visto che una delle ragioni della crisi nucleare iraniana è la centrale di Bushehr, che i tedeschi iniziarono a costruire sotto la dittatura dello Scià di Persia e che abbandonarono dopo la vittoria della rivoluzione islamica sciita. Poi ci hanno pensato i russi (altro Paese del G5+1) a completare l’opera che andava bene per lo Scià e che era intollerabile per la Repubblica Islamica.

Partendo per l’Iran, Gabriel ha s assicurato che «L’accordo raggiunto a Vienna ha posto le basi per una normalizzazione delle relazioni economiche con l’Iran».

Secondo l’agenzia di stampa tedesca Dpa, nella sua visita di tre giorni in Iran Gabriel incontrerà il presidente iraniano Hassan Rohani, alcuni ministri di spicco e i responsabili della Banca centrale iraniana e della Camera di commercio. Dopo la visita a Teheran il ministro tedesco andrà a Isfahan.

Intanto è una vera e propria corsa a prendersi i meriti per l’accordo nucleare. In una intervista alla Stampa l’alta rappresentante per la politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, ha detto: «Abbiamo la possibilità di lavorare a un nuovo inizio per il Medio Oriente e l’Asia minore». Secondo lei, l’accordo con Teheran è «un’importante investimento nella pace e nella distensione» e «una dimostrazione di ciò che l’Ue deve saper fare: appoggiare il multilateralismo, aver fede nella diplomazia, creare ponti tra potenze che non si parlano. L’accordo con l’Iran un modello per altre crisi. Sono molti, in Italia e no, che da anni negano l’esistenza di una politica estera europea. Talvolta hanno avuto ragione. Ora però s’è visto che, in ventotto e nel quadro comunitario, si possono raggiungere traguardi importanti».

Chi invece deve fare i conti con l’opposizione interna e con quella di Israele e dell’Arabia saudita sono il presidente Barack Obama e il suo segretario di Sato John Kerry: 171 deputati repubblicani della Camera dei rappresentanti hanno chiesto l’approvazione di una risoluzione – redatta da Peter Roskam –  contro l’intesa raggiunta a Vienna. Il tutto mentre più di 100 ex ambasciatori statunitensi, nominati da presidenti democratici e repubblicani, hanno scritto a Obama per congratularsi dell’«accordo storico», invitando il Congresso a sostenerlo.

Il Dipartimento di Stato Usa ha infatti comunicato che il testo dell’intesa è stato inviato al Congresso che ora avrà 60 giorni di tempo per esaminarlo e eventualmente votarlo a partire dal 20 luglio.

Kerry ha avvisato i repubblicani – e anche Tel Aviv e le monarchie assolute del Golfo –  che «Non c’è alcuna alternativa all’accordo con l’Iran» ed ha aggiunto che «il vero pericolo in quella regione sarebbe non avere un’intesa», sottolineando che «Se il Congresso dirà no all’accordo  non ci saranno costrizioni per l’Iran, uccideremmo l’opportunità di fermarli»…

Ma anche in Iran i dubbi sulla tenuta dell’accordo non mancano: oggi Press Tv riferisce  che Foad Izadi, docente all’università  di Teheran «Ritiene che un meccanismo collocato nella risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu possa mandare all’aria gli accordi sul nucleare riportando in vigore le sanzioni contro l’Iran».

Secondo Izadi, «la risoluzione dell’Onu per riconoscere il Joint Comprehensive Plan of Action  concordato il 14 luglio a Vienna, dà un periodo di 90 giorni per rimuovere le sanzioni ma ciò a patto che tutto proceda bene nelle capitali dei 5 Paesi membri del Consiglio di Sicurezza altrimenti ci potrebbero essere tanti problemi e le sanzioni potrebbero tornare automaticamente».  Che poi sarebbe quello che potrebbe succedere a Washington se i repubblicani proseguiranno nella loro opposizione ideologica e suicida.

Inoltre Izadi fa notare che «La risoluzione prevede un periodo di 10 anni per portare fuori dal capitolo 7 il dossier dell’Iran ma dieci anni sono  un periodo molto lungo e qualsiasi problema con uno solo dei Paesi membri del 5+1 potrebbe mandare tutto a monte».

Governo e imprenditori tedeschi evidentemente scommettono che tutto andrà bene. Speriamo solo che non propongano agli iraniani di ricostruire nella Repubblica Islamica una delle centrali nucleari che si apprestano ad eliminare in Germania.