Blitz di Fridays For Future e Greenpeace: «Eni è colpevole della crisi climatica»

Re:Common: «Eni non ha un piano B» (VIDEO). FFF: «Stop alimentare l’emergenza climatica»

[13 Maggio 2020]

In occasione dell’Assemblea degli azionisti di Eni, attivisti di Greenpeace Italia e di Fridays for Future Roma hanno organizzato a Roma una simbolica protesta vicino della sede centrale della multinazionale energetica italiana: due attivisti di Greenpeace, a bordo di kayak, hanno esposto il loro messaggio “Eni colpevole di crisi climatica”, intanto, attivisti di Fridays For Future Roma hanno manifestato mostrando il messaggio “Eni: stop alimentare l’emergenza climatica”.

Secondo Luca Iacoboni di Greenpeace Italia, «Eni è l’azienda italiana con le più alte emissioni di gas serra ed è tra i maggiori responsabili dell’emergenza climatica che viviamo. Anziché cambiare rotta, ha però di recente presentato dei piani che non dimostrano alcuna serietà nel contrasto alla crisi climatica in corso. Quello che Eni non dice è infatti che intende continuare a inquinare, nascondendosi dietro spot pubblicitari tutti incentrati su una presunta transizione green che, al momento, non trova riscontro nella realtà. Il gas fossile, su cui i piani dell’azienda puntano molto, è ad esempio una delle cause dell’emergenza climatica, non certo una soluzione».

Re:Common  denuncia che «A fine febbraio, l’Eni ha annunciato investimenti per 32 miliardi nei prossimi 4 anni, di cui l’87% in combustibili fossili, con l’obiettivo di aumentare ancora la produzione di petrolio e gas del 3,5% annuo fino al picco di produzione del 2025. Il tutto in barba a ogni impegno di riduzione per affrontare la crisi climatica. Di fronte al tracollo del prezzo del petrolio, l’Eni ha ridotto del 70% la quota parte degli investimenti per il 2020. Ma la speranza è di non cancellare i nuovi investimenti in petrolio e gas, ma solo rinviarli. Allo stesso tempo Eni ha comunicato che al 2050 ridurrà dell’80% le emissioni di anidride carbonica collegate al suo business. Per farlo, però, ricorrerà ampiamente a tecnologie oggi non realizzabili su grande scala, quali la cattura del carbonio, o con progetti di preservazione delle foreste che compenserebbero in modo artificiale le nuove emissioni di Eni».

Oggi, in occasione dell’assemblea Eni, Greenpeace Italia, Re:Common, Fondazione Finanza Etica, in collaborazione con Merian Research, hanno pubblicato il dossier “La “nuova Eni”. La strategia del gruppo ENI fino al 2050. Analisi delle principali criticità in vista dell’Assemblea degli Azionisti del 13 maggio 2020″ e dicono che «Dallo studio si evince chiaramente come la strategia dell’azienda sia quella di aumentare la produzione nel breve periodo, per poi diminuire l’estrazione di petrolio e aumentare quella del gas. Piani ad alto livello di emissioni che puntano in maniera decisiva su progetti futuri di compensazione delle emissioni dalla dubbia efficacia e dei quali non si conoscono tutti i dettagli, come i programmi di riforestazione REDD+ e l’uso della tecnologia di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS)».

Secondo Re:Common, « La più importante multinazionale italiana, ancora partecipata dallo Stato al 30 per cento, non ha un piano B per confrontarsi con le gravi crisi in atto nel nostro Pianeta.  Questo è il messaggio che avremmo voluto esprimere di persona come azionisti critici ai componenti del consiglio di amministrazione e agli investitori in occasione dell’assemblea degli azionisti dell’Eni, che si tiene oggi a porte chiuse nella sede romana della compagnia».

L’assemblea degli azionisti Eni si tiene a porte chiuse, poiché il Cane a sei zampe ha deciso di non rimandarla e di non prevedere alcuna partecipazione tramite streaming. Per questo motivo, diverse realtà della società civile hanno deciso di partecipare a una contro-assemblea per fare il punto sul mondo Eni. Alle 11, Greenpeace Italia, Valori.it, Re:Common e Fridays For Future Italia ospitano su Facebook e Youtube “Quello che Eni non dice”, live streaming organizzato insieme a Fondazione Finanza Etica. Durante lo streaming intervengono Andrea Barolini (Valori.it), Antonio Tricarico (Re:Common), Gianni Barbacetto (Fatto Quotidiano), Livia Tolve (Fridays For Future Italia), Luca Iacoboni (Greenpeace Italia), Mauro Meggiolaro (Fondazione Finanza Etica). In chiusura dell’evento, Marta Bernardi (Scomodo) presenterà “Inquinanti”, progetto editoriale realizzato in collaborazione con Greenpeace Italia. Nel pomeriggio, alle 16, Fridays For Future Roma ospiterà invece sui propri canali Facebook e Youtube il webinar #ciavvelEnI.

Per Re:Common «L’emergenza Covid-19 sta provocando una crisi economica devastante e un crollo del prezzo del petrolio senza precedenti; l’Eni si è fatta trovare impreparata, perché non è riuscita a ripensare il suo business e ad abbandonare gli obsoleti combustibili fossili, responsabili di una crisi climatica che sta già presentando un conto molto salato. Continuare a ricercare giacimenti di petrolio e gas negli angoli più sperduti e incontaminati del Pianeta, estraendo fino all’ultimo barile, è una scelta sconsiderata soprattutto nel lungo termine. Ma, come dimostrano le inchieste e processi in corso sui casi Nigeria (OPL245) Repubblica del Congo per presunta corruzione e quelli per disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti pericolosi in Basilicata, la società sembra avere una visione solo di breve termine al pari del governo, che non ha esitato a confermare per altri tre anni l’amministratore delegato Claudio Descalzi, direttamente coinvolto nei casi Nigeria e Congo. Solo tre giorni prima del rinnovo del mandato di Descalzi, la Security and Exchange Commission (SEC) americana, che supervisiona le attività di Wall Street, ha inflitto all’Eni una sanzione di 25 milioni di dollari, a seguito del patteggiamento sulle presunte tangenti pagate dall’allora controllata Saipem in Algeria. Di fronte all’incapacità della politica di controllare la società e renderla responsabile nei confronti dei cittadini, non resta che organizzarsi in solidarietà con le comunità impattate, come in Basilicata, per fare giustizia sulle devastazione del petrolio e gas e limitare il più possibile la loro espansione. L’incidente dello scorso 4 maggio proprio al Centro Olio Val d’Agri, ammesso dalla stessa Eni, conferma questo bisogno urgente».

Antonio Tricarico di Re:Common conclude: «Anche in questa fase così delicata, l’Italia a causa dell’Eni dipende dall’import di petrolio e gas, da dittatori di mezzo mondo e da congiunture internazionali sempre più sfavorevoli. Con il suo business così fallimentare a lungo termine, L’Eni ci porta a fondo. Non abbiamo un pianeta B: è giunto il momento di mettere da parte chi intralcia una ripresa economica che sia giusta e sostenibile».

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