Il gas al bivio. L’Ue e l’Italia stanno costruendo più gasdotti e infrastrutture di quanti ne servano

Così si mettono a rischio gli obiettivi climatici dell’Ue e l’Eurpean Green Deal

[4 Febbraio 2020]

Il nuovo rapporto “Gas at a Crossroads” appena pubblicato da Global Energy Monitor (GEM) ed Europe Gas Tracker, rivela che rileva che l’Europa sta pianificando di investire un totale di 117 miliardi di euro, pubblici e privati, in nuove infrastrutture di gas fossile (centrali elettriche a gas, terminali di importazione di gas naturale liquefatto e gasdotti) che aumenteranno del 30% la capacità di importazione di gas in Europa.

Eppure, secondo lo stesso rapporto, «queste infrastrutture non sono necessarie in quanto l’attuale capacità di importazione di gas dell’Ue è quasi il doppio (1,8 volte) rispetto all’attuale consumo di gas.

Il Gem è una rete di ricercatori che fornisce informazioni sui progetti fossili e dati che vengono utilizzati dall’International energy agency (Iea), dalla Banca Mondiale, dall’United Nations environment programme (Unep) dal network di Bloomberg e da decine di altre organizzazioni.

Il principale autore del rapporto, Mason Inman del GEM evidenzia che gli investimenti in nuove infrastrutture di gas fossile nel Regno Unito e in Germania rappresentano da soli il 30% di tutte le nuove infrastrutture di gas in Europa, pari a 35,9 miliardi di euro, a cui seguono Grecia (14 miliardi di euro), Polonia (13,4 miliardi di euro), Romania (12,8 miliardi di euro) e Italia (11,6 miliardi di euro). Dato che il Regno Unito e l’Italia organizzeranno quest’anno la COP26 Unfccc di Glasgow, il rapporto mette in luce «il crescente divario tra l’ambizione climatica e la reale azione a favore del clima».

Il rapporto fa notare che tra le più grandi centrali a gas proposte nell’Ue – con capacità di produzione di 400 MW o superiore – figurano le centrali elettriche italiane di Andrea Palladio, Brindisi Sud, Marghera Levante, Presenzano Edison e Torrevaldaliga Nord.

Visto che le infrastrutture per il gas fossile possono avere una durata di vita di oltre 40 anni, GEM ed Europe Gas Tracker sostengono che «investire in nuove infrastrutture di gas fossile oggi crea un alto rischio di lock in per cui non sarà possibile raggiungere gli obiettivi climatici». Infatti, secondo le proiezioni della Commissione Europea (EUCO 3232,5 Scenario, pag. 5, Appendice: Sintesi del bilancio energetico e indicatori). per raggiungere gli obiettivi climatici ed energetici del 2030 bisognerà ridurre il consumo di gas del 29%. Dallo studio emerge con evidenza che i piani di investimento analizzati sono in contrasto sia con l’impegno dell’Ue a ridurre a zero le emissioni di gas serra che con la decisione della Banca europea per gli investimenti (BEI) di eliminare gradualmente i finanziamenti per i combustibili fossili a partire dal 2021. Per non parlare dell’European Green Deal.

A novembre, in un’intervista a Bloomberg, Andrew McDowell, vicepresidente per l’energia della BEI, aveva che «sia dal punto di vista politico che da quello bancario, non ha senso per noi continuare ad investire in assets con durata di 20-25 anni che non soddisfano gli ambiziosi obiettivi climatici ed energetici dell’Ue e che saranno sorpassati dalle nuove tecnologie». E il Financial Times: spiegava che «In poche parole, ciò significa che la BEI non si limita a evitare il petrolio e il carbone, ma anche il gas, poiché si aspetta che tutti e tre diventino i cosiddetti “stranded assets”, ovvero attività che non vuole nel suo bilancio perché perderanno valore».

Ted Nac, direttore esecutivo del Global Energy Monitor, è convinto che «Il Regno Unito e le economie europee come la Germania e la Grecia si stanno preparando ad affrontare perdite per decine di miliardi scommettendo su nuovi progetti di infrastrutture del gas non necessari e incompatibili con gli obiettivi climatici dell’Europa.  E’ chiaro che dobbiamo riesaminare i nuovi investimenti nei combustibili fossili come il gas, sia per risparmiare miliardi di futuri stranded assets, sia per garantire che le energie pulite ricevano i finanziamenti necessari per raggiungere i nostri obiettivi climatici».

Nonostante l’industria del gas sostenga che il gas fossile sia fondamentale per raggiungere i nostri obiettivi climatici, lo studio “Satellite observations reveal extreme methane leakage from a natural gas well blowout” pubblicato nel dicembre 2019 su PNAS da un team di ricercatori olandesi e statunitensi, dimostra che le perdite di metano dai gasdotti e dalle operazioni di estrazione del gas rappresentano un rischio significativo e la più recente valutazione dell’Ipcc evidenziava che, in un periodo 100 anni, l’impatto del metano sul riscaldamento globale è 34 volte superiore a quello dell’anidride carbonica.

Secondo l’inchiesta “Gas Exports Have a Dirty Secret: A Carbon Footprint Rivaling Coal’s” oubblicata da Bloomberg Green, «finché il gas naturale rimane nel gasdotto, le emissioni rimangono relativamente basse. Ma i terminali che trasportano il carburante utilizzano refrigeranti che riducono lo strato di ozono per raffreddarlo in forma liquida, ovvero GNL. Loro riversano anche gas tossici come l’anidride solforosa e rilasciano metano in eccesso, un gas serra immediatamente più distruttivo per l’atmosfera rispetto alla CO2».

Attualmente, sono entrati in funzione meno del 10% dei nuovi terminal di importazione di gas naturale liquefatto (GNL) proposti sono effettivamente entrati nella fase di costruzione, e secondo gli autori «sarebbe importante riesaminare gli altri che ancora non sono stati costruiti».

Il recente rapporto “An updated analysis on gas supply security in the EU energy transition” della società di consulenza Artelys, avidenzia che «L’espansione delle infrastrutture del gas dell’Ue attraverso la quarta lista dei progetti di interesse comune (PCI) non è necessaria per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Ue, anche in caso di gravi interruzioni dell’approvvigionamento». Secondo Artelys, «La sola lista del 4° PCI comporterà molto probabilmente uno spreco di 29 miliardi di euro». Il Parlamento europeo voterà per respingere o approvare la 4a lista PCI nella settimana del 10 febbraio.

In diversi dicono che l’European Network of Transmission System Operators for Gas (ENTSOG), che ha il compito di prevedere la futura domanda di gas dell’Ue e di identificare le esigenze di infrastrutture per il gas, ha storicamente sovrastimato la domanda di gas, D’altronde dare il compito di fare previsioni di mercato a un organismo del quale fanno parte i maggiori costruttori e operatori di gasdotti europei – che gestiscono la maggior parte dei progetti proposti – non sen mbra una grande ideaIl loro modello per la 4a lista PCI presuppone che la domanda di gas rimanga stabile fino al 2030, il che significa che, se così stanno le cose, come farà l’Unione europea a raggiungere i suoi obiettivi climatici Ue.

Inoltre, entro quest’anno sarà rivisto il regolamento sulle reti transeuropee dell’energia (TEN-E),  per allinearlo agli obiettivi energetici e climatici dell’Ue per il 2030 e il 2050. Il regolamento individua i corridoi prioritari e le aree tematiche delle infrastrutture energetiche transeuropee e fornisce le linee guida per la selezione dei progetti di interesse comune.

Mark Z. Jacobson, professore alla Stanford University, conclude: «Questo rapporto mostra come l’attuale costruzione di infrastrutture per il gas nell’Ue sia pronta ad aumentare la capacità di importazione di gas del 30%. Se vogliamo avere una qualche speranza di risolvere la crisi climatica in corso ed evitare i 340.000 decessi per inquinamento atmosferico che si verificano ogni anno in Europa, dobbiamo eliminare di almeno l’80% il consumo di gas naturale entro il 2030 e del 100% entro il 2050, non aumentarlo. Fortunatamente, esiste un’alternativa per l’Europa. Il continente può, sulla base di molteplici studi scientifici, funzionare interamente e in tutti i settori energetici con energie pulite e rinnovabili: energia elettrica e termica da vento, acqua e sole. Una tale transizione ridurrà il fabbisogno energetico e i costi, così come l’inquinamento atmosferico, i problemi di salute e le emissioni di gas serra».