La mega raffineria dell’uomo più ricco d’Africa cambierà il destino della Nigeria?

Un progetto che potrebbe rivoluzionare l'economia nigeriana e africana ma che ha molti nemici

[31 Agosto 2020]

Il Dangote Group punta dichiaratamente a diventare il principale fornitore di beni essenziali dell’Africa sub-sahariana e a rafforzare la sua leadership nella produzione di cemento, nella molitura e raffinazione dello zucchero, nelle operazioni portuali, nella produzione di materiali da imballaggio e nella raffinazione del sale. Il mercato di base è quello della Nigeria, destinata a diventare il Paese più popoloso e – scalzando il Sudafrica –   economicamente più forte dell’Africa, ma per farlo la Nigeria deve sconfiggere la frammentazione settaria ed etnica che rischia di dividere il Paese e la maledizione del petrolio e il neocolonialismo degli idrocarburi  – incistati alla corruzione endemica – che non fanno decollare la sua economia.

E’ a questo che punta la Dangote Petroleum Refinery , un progetto di raffineria integrata da 650.000 barili al giorno (BPD) in costruzione nella zona franca di Lekki, su una penisola vicino a Lagos, che dovrebbe diventare la più grande raffineria di petrolio dell’Africa e il più grande impianto a treno singolo del mondo.

L’infrastruttura del gasdotto vicino alla Dangote Petroleum Refinery è la più grande al mondo, con 1.100 chilometri per gestire 3 miliardi di piedi cubi standard di gas al giorno. La raffineria da sola ha una centrale elettrica da 400 MW in grado di soddisfare il fabbisogno energetico totale di Ibadan.  Il Dangote Group è convinto che «La raffineria soddisferà il 100% del fabbisogno nigeriano di tutti i prodotti raffinati e avrà anche un surplus di ciascuno di questi prodotti per l’esportazione. Dangote Industries Limited ha investito circa  2 miliardi di dollari. La Dangote Petroleum Refinery creerà un mercato per 11 miliardi di dollari all’anno di greggio nigeriano. E’ progettata per elaborare il greggio nigeriano con la capacità di raffinare altri tipi di petrolio greggio».

Come scrivono Elisha Bala-Gbogbo e Antony Sguazzin in un reportage   pubblicato Su Bloomberg Africa,   «30.000 lavoratori sono impiegati in un progetto che mantiene la promessa di trasformare le fortune economiche della Nigeria» e dietro a questo progetto visionario c’è Aliko Dangote, l’uomo più ricco dell’Africa, che «intende spendere più del suo patrimonio netto di 13,5 miliardi di dollari – 2,3% al prodotto interno lordo nigeriano – per costruire una delle più grandi raffinerie di petrolio del mondo. Se ci riuscirà, potrebbe porre fine all’ironia del più grande produttore di petrolio africano che importa 7 miliardi di dollari di carburante all’anno, e invece vederlo soddisfare i propri bisogni e rifornire le nazioni vicine».

Il crollo del prezzo del petrolio  stato un bruttissimo colpo per la Nigeria, ma la scommessa di Dangote  può rivoluzionare l’economia della Nigeria, e il governatore della banca centrale nigeriana, Godwin Emefiele ha detto che, quando sarà operativo, il progetto potrebbe impiegare più di 70.000 persone.

«Sì, i rischi sono alti, le sfide sono elevate – ha detto  a  Bloomberg Africa Devakumar Edwin, amministratore delegato del complesso della raffineria – Ma anche i premi sono alti».

E’ il più grande progetto industriale della Nigeria, con una colonna di distillazione per separare il greggio in vari combustibili a diverse temperature più grande del suo genere al mondo. La raffineria da 650.000 barili al giorno è solo una parte di un complesso petrolchimico da 15 miliardi di dollari che ospiterà anche un processore di gas e il più grande impianto al mondo per l’ammoniaca e l’urea, che viene utilizzato nella produzione di plastica e fertilizzanti. Ma Bala-Gbogbo e Sguazzin ricordano che «I precedenti tentativi della Nigeria per l’autosufficienza del carburante per motori non sono arrivati ​​a nulla. Le sue quattro raffinerie statali, aperte negli anni ’70,  hanno funzionato a una capacità  minima prima di essere chiuse a gennaio per un rinnovamento». E anche il primo tentativo di Dangote di entrare nel business della raffinazione fallì nel 2007, quando acquistò una delle raffinerie statali per poi vedersi annullata rapidamente la privatizzazione da un nuovo governo. Politica nigeriana e multinazionali hanno sempre fatto fallire i precedenti tentativi di ridurre la dipendenza del Paese dal petrolio. Per esempio, dal 1979 ad oggi la Nigeria ha investito almeno 5 miliardi di dollari nel progetto dell’acciaieria di Ajaokuta, sulle rive del fiume Niger, che ancora non è in produzione e che probabilmente è già fuori mercato.

Uno sviluppo pesante per un Paese fragile, ma Charles Robertson, capo economista di Renaissance a Londra, è convinto che la raffineria di Dangote «Come simbolo del progresso nigeriano è piuttosto importante».

La Nigeria è in ginocchio e ha bisogno di tutto l’aiuto possibile, sta appena cominciando a riprendersi dall’impatto della pandemia di Covid-19 e dal crollo record del prezzo del petrolio, che rappresenta oltre il 90% delle sue entrate in valuta estera, nel nord-est del Paese continuano la guerra omicida cdegli estremisti islamisti di Boko Haram e gli scontri tribali per le risorse naturali.  Quest’0anno il governo è stato costretto a svalutare due volte la Naira, a partire da marzo e a prendere il suo primo prestito in assoluto dal Fondo monetario internazionale, che quest’anno prevede una diminuzione del PIL nigeriano del 5,4%.

Anche Dangote sa che la scommessa della mega raffineria u molto rischiosa per il suo impero commerciale ma è convinto che «La Nigeria diventerà presto, per la prima volta, il più grande e unico esportatore di urea nell’Africa subsahariana. E non stiamo solo esportando, stiamo esportando alla grande. Le sole esportazioni di fertilizzanti genereranno circa 2,5 miliardi di dollari di entrate all’anno».

Vista da fuori, la Dangote Petroleum Refinery è un incubo degli ambientalisti (e Anche per le politiche climatiche): è stato necessario costruire strade e moli per il trasporto di carichi pesanti, mentre una cava con la capacità di immagazzinare 10 milioni di tonnellate di granito è stata scavata esclusivamente per il progetto. La compagnia ha aperto trattative con i produttori di petrolio per la fornitura di greggio alla raffineria, anche se spera che entro due anni dall’inizio delle attività arriveranno fino a 100.000 barili al giorno da due giacimenti petroliferi acquistati dalla Royal Dutch Shell Plc.

Visto da un analista economico  come Jeremy Parker della Citac di Londra  che si occupa di raffinazione e distribuzione del petrolio in Africa, «E’ uno sviluppo rivoluzionario per la fornitura regionale».  E alla fine il progetto ha ricevuto anche il sostegno del govern0 nigeriano  «Stiamo incoraggiando qualsiasi partecipante a stabilire raffinerie in questo Paese – ha detto Mele Kyari, amministratore delegato della compagnia petrolifera statale Nigeria National Petroleum Corporation – L’obiettivo è che in due o tre anni si veda il Paese diventare un centro di produzione di prodotti petroliferi».

Ma il progetto è già in ritardo rispetto alla tabella di marcia che prevedeva l’apertura degli impianti già nel 2016 e poi nel 2019, ora è slittato tutto al 2021 a causa del coronavirus, ma gli analisti dicono che è improbaile che la raffinera entri in funzione prima del 2023 e avvertono che dovrà affrontare un mercato molto competitivo, dove i margini della raffinazione vengono ridotti dal crollo dei prezzi del petrolio. Bloomberg Africa ricorda che «A luglio, i margini di profitto per le raffinerie erano ai minimi dal 2010» e Patrick Pouyanne, presidente di Total, li ha descritti come  «Assolutamente catastrofici».

Per avere successo, la raffineria dovrà anche combattere contro i cartelli – spesso politico-mafiosi – che controllano l’importazione di carburante in Nigeria per più di due decenni, una fonte di ricchezza che corrompe la politica nigeriana e che è dietro il pessimo funzionamento delle raffinerie nazionali.

Ma Bala-Gbogbo e Sguazzin pensano che «Una volta attivo e funzionante, potrebbe essere un forte simbolo del progresso industriale in un Paese che ha avuto molte false partenze nella sua ricerca per ridurre la sua dipendenza dal petrolio greggio».

Anche Antony Goldman, fondatore e chief executive officer di Promedia Consulting, una società di consulenza sul rischio politico, è ottimista sul futuro della Dangote Petroleum Refinery: «Punta all’equilibrio in un Paese che in fondo è molto imprenditoriale. Dice ai nigeriani: possiamo fare soldi facendo funzionare le cose».