Le dighe sono i serial killers dei fiumi? Studio del Politecnico di Milano in copertina su Nature Sustenabilty

E’ possibile un compromesso tra sviluppo di grandi dighe idroelettriche e preservazione dell’ambiente

[13 Febbraio 2018]

Nature Sustainability pubblica in copertina lo studio “Improved trade-offs of hydropower and sand connectivity by strategic dam planning in the Mekong” di Simone Bizzi e Andrea Castelletti  del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano, di Rafael Schmitt, del Natural Capital Project, del Dipartimento di biologia e del Woods institute for the environment della Stanford University, e di Matt Kondolf  Department of landscape architecture and environmental planning dell’università della California –  Berkeley,  che dimostra come, «pianificando strategicamente la costruzione di dighe, sia possibile aumentare la produzione di energia idroelettrica e allo stesso tempo limitare l’impatto sull’ecosistema fluviale».

Bizzi e Castelletti sottolineano che «Le dighe nel mondo generano circa un sesto dell’energia elettrica consumata e irrigano un settimo dei campi agricoli e sono per questo un elemento necessario per il benessere e lo sviluppo di una società. Allo stesso tempo, però, alterano in modo significativo il sistema naturale del bacino in cui sorgono perché alterano l’idrologia e ostacolano il trasporto verso valle dei sedimenti che sono vitali per gli abitanti dell’ambiente interno e circostante al corso d’acqua. A valle spesso si assiste ad una diminuzione del trasporto solido con conseguente erosione del letto fluviale.

Il team di ricerca italo-statunitense ha studiato il caso del bacino del 3S (Se Kong, Se San e Sre Pok), un tributario del fiume Mekong e sorgente primaria di sabbia per il delta del Mekong e spiaga che «L’attuale piano di sviluppo idroelettrico del bacino prevede la produzione del 50% dell’energia idroelettrica pianificata con una riduzione del trasporto di sabbia a valle del 90% rispetto alla condizione naturale senza dighe».

Lo studio ha dimostrato che «questo piano di sviluppo energetico finirà per disconnettere completamente il sistema fluviale dal delta» ma anche che esisterebbero «spazi di decisione con un impatto limitato su questo sottosistema».

In particolare, secondo i ricercatori, «adottando un approccio strategico alla pianificazione per decidere dove costruire dighe e di che dimensione, sarebbe possibile produrre il 70% dell’energia pianificata riducendo il trasporto di sabbia al 20%».

Alò Politecnico evidenziano che «La rilevanza di questi risultati apre importanti spazi di discussione per la pianificazione delle 3.700 dighe che sono in attesa di costruzione nel mondo. Per evitare effetti catastrofici per l’ambiente e per la società in cui viviamo è fondamentale utilizzare strumenti di valutazione efficienti che sappiano fare emergere soluzioni di compromesso tra l’esigenza di sviluppo energetico delle nazioni e la necessità di proteggere l’ambiente in cui viviamo«.

Il lavoro di ricerca procede in altri punti nevralgici della Terra, come  i Balcani e l’Africa subsahariana, dove i ricercatori del Politecnico di Milano stanno applicando questo nuovo approccio in collaborazione con il Politecnico di Zurigo e con l’Università di Stanford.