Nel 2018 le emissioni di gas serra Usa sono aumentate del 3,4%

Nei primi due anni di presidenza Trump chiusura record di centrali a carbone

[9 Gennaio 2019]

Secondo il rapporto “Preliminary US Emissions Estimates for 2018” appena presentato da Rhodium Group, «Dopo tre anni di declino, lo scorso anno le emissioni di biossido di carbonio(CO2) Usa sono aumentate bruscamente».  Il rapporto si basa su dati preliminari della produzione di energia, gas naturale e sul consumo di petrolio e stima che nel 2018 negli Usa le emissioni siano aumentate del  3,4%, il secondo maggior incremento annuale in più di 20 anni,  superato solo nel 2010 quandol’economia Usa è uscita dalla  Grande Recessione.

Il paradosso è che, mentre Trump annunciava la difesa a oltranza del carbone e i minatori sventolavano  cartelli con su scritto “Trump Digs Coal” e “I’m coal’s last shot”, nel 2018 negli Usa c’è stata la chiusura record di centrali a carbone: nei primi due anni di presidenza di Donald Trump sono state chiuse più centrali a carbone che nei 4 anni del primo mandato di Barack Obama.  Sono gli spriti animali del libero mercato che tanto piacciono a Trump (quando sono americane) ad aver mandato in pensione il carbone statunitense. Come ha detto sconsolato alla CNN Art Sullivan, un ex Face Boss  dell’industria carbonifera, con la pretesa di essere il salvatore del carbone, Trump «Sta cercando di ottenere i loro voti [dei minatori]. Gli sta mentendo».

Anche se negli Usa nel 2018 il consumo di energia è aumentato, alla fine di ottobre erano state chiuse centrali a carbone in grado di produrre 11,2 gigawatt e altri i 2,5 GW di produzione di elettricità da carbone sono stati chiusi entro la fine di dicembre, il 2018 potrebbe essere l’anno in cui si è registrata la più estesa chiusura di centrali a carbone.

Per sostituire l’energia prodotta col carbone, il mercato energetico Usa si è spostato soprattutto verso il gas  e poi sulle energie rinnovabili, per questo in totale le emissioni nel settore energetico sono aumentate complessivamente dell’1,9%. Nei primi dieci mesi del 2018, la produzione di elettricità con il gas è aumentata di 166 milioni di kWh, si tratta di tre volte più del calo della produzione delle centrali a carbone e quattro volte la crescita di eolico e solare messi insieme.

Ma il maggior inquinatore Usa per il terzo anno consecutivo restano i trasporti a causa della robusta crescita della domanda di diesel che ha annullato un modesto calo del consumo di benzina. Durante i primi 9 mesi de 2018, la domanda di benzina è diminuita dello 0,1% grazie ai modesti incrementi dell’efficienza energetica delle auto che hanno compensato un lieve aumento delle miglia percorse dai veicoli. Ma la domanda di diesel per l’autotrasporti  e di carburante per il trasporto aereo è aumentata rispettivamente del 3,1% e del 3,0%.  Tutto sommato, il rapporto stima che nel 2018 le emissioni dei trasporti Usa siano cresciute dell’1%, all’incirca lo stesso del tasso di crescita del 2017.

Gli edifici e l’industria hanno registrato un notevole aumento delle emissioni, anche a causa di  un tempo insolitamente freddo all’inizio del 2018 negli Usa orientali.  Secondo il rapporto si tratta dei due settori più spesso ignorati dall’industria delle energie pulite e della politica climatica. Le emissioni dirette degli edifici residenziali e commerciali nel 2018 sarebbero aumentate del 10%, raggiungendo il livello più alto dal 2004. Ma se gli edifici Usa cominciano timidamente ad applicare politiche di risparmio energetico, l’industria è ancora più in ritardo. A causa delle politiche pro-fossili di Trump, a livello statale e federale sono state attuate molto poco le strategie per iniziare a disaccoppiare la produzione dalle emissioni. Le stime preliminari di Rhodium Group suggeriscono che «Il settore industriale nel 2018  ha registrato i maggiori incrementi di emissioni, a 55 milioni di tonnellate. Ciò è dovuto principalmente alla crescita dell’attività industriale» che tra gennaio e novembre 2018è cresciuta del 2,5% su base annua, rispetto all’1,4% dello stesso periodo dell’anno precedente. Il rapporto evidenzia che «In assenza di un cambiamento significativo nella politica o di un importante progresso tecnologico, ci aspettiamo che negli anni a venire il settore industriale diventi una quota sempre più ampia delle emissioni di gas serra statunitensi (compresi i gas non CO2). Ci aspettiamo che entro il 2020 superi l’energia come seconda fonte di emissioni in California e che entro il 2022 diventi la principale fonte di emissioni in Texas.

Ma il rapporto Rhodium Group sottolinea anche «I limitati progressi compiuti nello sviluppo di strategie di decarbonizzazione per questi settori. Gli Stati Uniti erano già fuori strada nel rispettare gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Il divario è ancora più ampio nel 2019». Quindi le politiche negazioniste e anti-climatiche di Trump stanno pesando.

Negli Usa le emissioni di CO2 derivanti dalla combustione di combustibili fossili hanno raggiunto il picco nel 2007, con poco più di 6 miliardi di tonnellate, Da allora fino alla fine del 2015, le emissioni sono diminuite del 12,1% a un tasso medio dell’1,6% all’anno. Al Rhodium Group dicono che «La Grande Recessione ha avuto un ruolo significativo in questo declino», ma fanno notare che anche l’intensità di carbonio dell’approvvigionamento energetico Usa è diminuita drasticamente, soprattutto grazie al passaggio dalla produzione di energia elettrica con il carbone alle centrali a gas e all’eolico e solare.  Ma dal 2016, il ritmo del calo delle emissioni Usa è rallentato, passando dal 2,7% nel 2015 all’1,7% nel 2016 allo 0,8% nel 2017. Un rallentamento che sconta sia la mancanza di una nuova azione di politica climatica a livello federale che, già prima che Trump decidesse di uscire, aveva messo a rischio l’obiettivo Usa di riduzione delle emissioni preso nell’ambito dell’accordo di Parigi : meno 26 – 28% rispetto al 2005 entro il 2025.

«Supponendo delle riduzioni proporzionali per altri gas serra – fa notare il rapporto – nel 2019 e nel 2020 gli Stati Uniti dovranno ridurre, in media, le  emissioni di CO2 legate all’energia del 3,3% all’anno. Questo è significativamente più rapido della riduzione media annuale dell’1,2% tra il 2005 e il 2017. In realtà, il ritmo delle riduzioni di emissioni di CO2 dell’energia dovrà probabilmente essere ancora più rapido, in quanto negli ultimi anni il calo dei gas non CO2 ha sottoperformato quello della CO2 da energia».

Per raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi entro il 2025, gli Usa dovranno ridurre le emissioni di CO2 legate all’energia in media del 2,6% nei prossimi sette anni e ancora più velocemente se gli altri gas serra non terranno il passo. Al Rhodium Group concludono: «Questo è più del doppio del ritmo raggiunto dagli Stati Uniti tra il 2005 e il 2017 e significativamente più veloce di qualsiasi media di sette anni nella storia Stati Uniti. È certamente fattibile, ma probabilmente richiederà un cambio di politica abbastanza significativo in un futuro molto prossimo e/o condizioni di mercato e tecnologiche estremamente favorevoli».

Cose che con Trump e la sua banda di negazionisti climatici e petrolieri alla Casa Bianca sembrano davvero difficili.