I pannelli solari fioriscono anche sui tetti della Corea del nord

Ma il regime di Pyongyang punta ancora su carbone e nucleare

[27 Maggio 2016]

Julie Makinen, una giornalista del Los Angeles Times è stata nella capitale nordcoreana Pyongyang ed è entrata  nel tempio del consumismo del regime: il Pothonggang Information Technology Center, che in realtà è minimarket elettronico zeppo di frigoriferi, karaoke machines, computer portatili e TV a schermo piatto.

Eppure, nonostante la carenza di spazio, un intero settore del Pothonggang Information Technology Center era coperta di pannelli solari, inverter e batterie per stoccare l’energia solare.La Makinen scrive che «Il più economico dei pannelli, uno da 50 watt di importazione cinese, veniva venduto a circa 35 dollari al tasso di cambio ufficiale – circa il salario mensile medio di un operaio – mentre uno da 200 watt, la versione 24 volt, arrivava a circa 160 dollari».

L’impiegato del negozio, che non aveva mai visto prima una giornalista straniera entrare nel Pothonggang Information Technology Center, ha detto alla Makinen: «Stiamo vendendo circa 150 pannelli al mese. Il nostro governo ha fatto dell’utilizzo dell’energia naturale una priorità, in modo che dall’anno scorso li  stiamo vendendo abbastanza attivamente. In un primo momento, era singole famiglie, ma ora li comprano anche le fabbriche e gli uffici».

La Corea del nord, che nel suo stemma ha una diga e un pilone per la distribuzione dell’elettricità, da decenni lotta contro la carenza di energia e quindi i nordcoreani, almeno quelli che possono, con il beneplacito del regime nazional-stalinista si stanno rivolgendo all’energia solare in un Paese dove la propaganda nucleare è asfissiante: I pannelli solari vengono quasi tutti  – non sempre legalmente – dalla Cina. Grazie anche al via libera dato dal caro leader supremo Kim Jong Un, i pannelli solari sono fioriti su molti tetti e campi di questo misterioso Paese. Anche se non ci sono dati ufficiali, in Corea del nord i pannelli si vedono sui balconi di quasi ogni edificio e appartamento nella capitale, Pyongyang, molti lampioni sono alimentati dal sole e grandi, distese di pannelli per scaldare l’acqua sono sorte in siti industriali come la fabbrica di seta Kim Jong Suk Pyongyang e la grande fattoria collettiva Jangchon nella periferia sud-est della capitale nordcoreana.  Nell’autunno 2015 il regime ha fatto costruire un grande impianto solare sull’isola Ssuk, a Pyongyang, vicino al nuovo Sci-tech Center, che il regime presenta come il centro di ricerca energetico nordcoreano e che si vanta di utilizzare già il geotermico.

Ma il solare è ancora un’infinitesima parte dell’energia nordcoreana che resta ancora dipendente dall’energia idroelettrica e dalle centrali a carbone, impianti spesso obsoleti e che risalgono spesso ai primi anni del regime nazional-stalinista. David Von Hippel, un ricercatore del Nautilus Institute di Berkeley che dagli anni ’90 sta studiando l’infrastruttura energetica della Repubblica popolare democratica di Corea (Rpdc), dice che nel 2015 il solare rappresentava solo lo 0,1% di tutta l’elettricità prodotta nel Paese, ma che sta avendo un grande effetto sulla vita dei nordcoreani: «Può essere una piccola quantità di energia elettrica, ma viene usato per cose che contano davvero molto. Non si può usare molto bene per far funzionare una fabbrica o per illuminare un intero edificio o ufficio, almeno con il numero e le dimensioni dei pannelli solari che stanno utilizzando. Ma se ti permette di  ricaricare il telefono o di utilizzare il computer o un lettore DVD o di avere la luce di notte, è una grande cosa».”

Basandosi sui dati doganali cinesi e su altre informazioni raccolte da von Hippel e da un altro ricercatore, Peter Hayes, nel 2014 almeno  100.000 famiglie nordcoreane – in un Pese di 24 milioni di abitanti –  avevano acquitato pannelli solari.  Secondo Von Hippel, la Rpdc finora ha importato circa 15 megawatt di impianti fotovoltaici, un terzo dei quali solo nel 2015. Basandosi sulle immagini satellitari, un altro ricercatore, Curtis Melvin, dell’U.S.-Korea Institute della  Johns Hopkins University, sottolinea che «Probabilmente, grazie ai pannelli solari, ora hanno l’elettricità più nordcoreani di quelli che la avevano negli anni ’90» e Kim Kyong-Il, dell’Accademia delle scienze sociali di Pyongyang, ha detto all’Associated Press che « L’anno scorso in alcune zone rurali fino alla metà dell’energia poteva provenire dal solare».

Melvin dice che i più grandi parchi solari della Rpdc sono segreti perché sono stati costruiti vicino ad una base aerea sulla costa occidentale (1,3 acri) e in un casinò nella zona economica speciale di Rason nel nord-est (1,2 acri), ma probabilmente l’impianto dello Sci-tech Center  di Pyongyang li supererà. Anche se la Corea del nord sta aprendo rapidamente le porte all’energia solare si tratta di progetti minuscoli rispetto a quelli cinesi o americani, uno solo dei quali supera di decine di volte il fotovoltaico installato in tutta la Rpdc.

La stragrande maggioranza del solare utilizzato in Corea del nord è di fabbricazione cinese, ma il regime dice che ci sono diverse fabbriche di pannelli progettati all’università Kim il Sung di Pyongyang . Il Pyongyang Times ha scritto che I pannelli vengono prodotti nella Jinheung Solar Energy Battery Plant e i media del regime hanno rivelato l’esistenza anche di una fabbrica di LED e celle solari a Kwangmyong. Anche l’impiegato del Pothonggang Information Technology Center di Pyongyang ha detto alla Makinen che alcuni dei pannelli solari in vendita sono made in North Korea e che, naturalmente, sono superiori a quelli Made in Chia.

La Makinen spiega sul Los Angeles Times che «L’interesse della Corea del nord per le energie rinnovabili non è una moda recente. Il Paese ha perseguito questa tecnologia dopo il crollo del blocco sovietico, che lo ha tagliato fuori dalle importazioni di combustibili a basso costo». La Corea del Nord ha grandi giacimenti di carbone, ma non produce petrolio e le energie rinnovabili si adattano perfettamente all’ideologia politica autarchica del regime: lo Juche, promulgata dal padre fondatore Kim Il Sung e portata avanti dalla sua dinastia familiare. Un’ideologia ipernazionalista e xenofoba che non ha più niente a che vedere col marxismo delle origini.

Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo la paranoia del regime. Von Hippel nel 1998 faceva parte di un team statunitense che ha installato sette pale eoliche nel villaggio nordcoreano di Unha. «Lo scopo del progetto – dice – era quello di dimostrare che nordcoreani e americani possono lavorare insieme su qualcosa, su qualsiasi cosa» e la cosa ha funzionato, almeno fino a quando le turbine eoliche non hanno avuto bisogno di manutenzione e poi si sono rotte qualche anno più tardi.

Da quando Kim Jong-un ha preso il potere alla fine del 2011, ha fatto della risoluzione della carenza energetica della Rpdc una delle principali priorità del regime. Nel 2013 la Corea del nord ha adottato una legge sulle energie nuova rinnovabili che dà priorità alla ricerca e alla produzione e il caro leader ha evidenziato la necessità di avere maggiore energia nel suo “epocale” discorso al VII Congresso del Partito dei lavoratori, durante il quale è stato annunciato il completamento dei lavori di due  nuove centrali idroelettriche. L’energia idroelettrica fornisce oltre il 60% dell’elettricità della Rpdc, ma molte dighe sono piccole e  particolarmente vulnerabili in caso di siccità, come è avvenuto nel 2014. Secondo Melvin e altri analisti la Rpdc starebbe costruendo anche una grande centrale a carbone a Pyongyang.

Poi c’è il sogno/incubo del nucleare nordcoreano, strettamente legato allo sviluppo di armi nucleari. Kim Jong-un ha definitivamente stracciato l’accordo del 1994 con gli Usa, che prevedeva che la Corea del nord chiudesse i suoi pericolosissimi reattori nucleari e rinunciasse a costruirne altri, in cambio avrebbe ottenuto  due reattori nucleari che non permettevano di produrre materiale adatto a fabbricare bombe atomiche e forniture di petrolio. Usa e Rpdc avrebbero dovuto lavorare per normalizzare le loro relazioni economiche e politiche. L’accordo è saltato già nel 2003 e da allora la Corea del nord ha sempre più provocatoriamente esaltato la sua produzione di armi nucleari, vantando lanci di missili balistici e esplosioni di bombe atomiche e di una bomba H.

Ma Von Hippel ritiene che, per un Paese che non riesce a soddisfare i suoi bisogni energetici di base, un programma nucleare militare/civile come quello esposto da Kim Jong-un al Congresso del Partito dei lavoratori sia insostenibile e irrealizzabile, l’unica possibilità che ha la Rpdc è quella di cooperare per sfruttare le fonti rinnovabili. Ma questo è ostacolato dal regime e non si sbloccherà fino a quando il leader supremo e la sua cerchia militare non decideranno che per il popolo nordcoreano, senza luce e con poco cibo, i pannelli solari sono molto meglio del nucleare e del carbone e delle bombe atomiche.