Perché l’Antropocene non è il cambiamento climatico e perché è importante

Abbiamo alterato a tal punto il pianeta che è entrato in un’era di cambiamenti senza precedenti, che richiede un nuovo modo di pensare a come gli uomini si relazionano con il pianeta

[15 Gennaio 2019]

Antropocene è ormai da tempo il nome con il quale molti scienziati identificano l’epoca geologica in cui viviamo, caratterizzata da un forte impatto umano sul nostro pianeta. Ma, come spiega  la statunitense Julia Adeney Thomas, dell’università di Notre Dame, «Antropocene non è sinonimo di “cambiamento climatico”, né può essere definito dai “problemi ambientali”». La cosa più grande e più scioccante e che l’Antropocene rappresenta l’evidenza che, intorno alla metà del XX secolo, le pressioni umane sono diventate così forti da mutare il pianeta: l’Antropocene è il nuovo “sistema Terra” che abbiamo creato.

La Adeney Thomas,  una storica della natura  che attualmente lavora con I geologi Jan Zalasiewicz e Mark Williams dell’Anthropocene Working Group, sottolinea  che la definizione “Sistema Terra” «Si riferisce all’intero processo fisico, chimico, biologico e umano interagente del nostro pianeta. Grazie alle nuove tecnologie di raccolta dei dati, come i satelliti e la modellazione al  computer sempre più potente, la scienza del sistema Terra ricompone il modo in cui comprendiamo il nostro pianeta. Il clima è solo un elemento di questo sistema; se ci concentriamo solo su questo, fraintendiamo la complessità del pericolo. Il termine “ambiente” ci aiuta a capire noi stessi come parte degli ecosistemi, ma non riesce a catturare la novità della nostra situazione attuale. Abbiamo sempre vissuto nell’ambiente; solo molto recentemente, proprio mentre l’Asia ha iniziato il suo sviluppo stellare, abbiamo iniziato a vivere nel Sistema Terra alterato dell’Antropocene».

Insomma, per la Adeney Thomas  «L’Antropocene è una sfida multidimensionale. Il nostro futuro è più imprevedibile che mai, con nuovi fenomeni come le mega-tempeste di categoria 5, la rapida estinzione delle specie e la perdita di ghiaccio polare. Questo cambiamento è irreversibile».

Secondo la Nasa. i livelli di CO2  nell’atmosfera sono i più alti degli ultimi 400.000 anni – ben prima che la nostra specie si fosse evoluta – e se il clima è certamente cambiato lo sono anche altri aspetti del sistema planetario. La Adeney Thomas fa l’esempio della litosfera: «193.000 “composti cristallini inorganici” creati dall’uomo, o che voi e io potremmo chiamare “rocce”, ora superano di gran lunga i ~ 5.000 minerali naturali della Terra, mentre 8,3 miliardi di tonnellate di plastica ricoprono la terra, l’acqua e i nostri organi interni . A causa delle moderne tecniche agroindustriali, si sta dilavando via tanto terriccio che l’Inghilterra ha ancora a disposizione circa 60 altri raccolti».

Ma anche la biosfera è altrettanto alterata: «Il pianeta non è mai stato così affollato di esseri umani. Nel 1900 c’erano circa 1,5 miliardi di noi; negli anni ’60, circa 3 miliardi; oggi ce ne sono più di 7,4 miliardi. Gli esseri umani e i nostri animali domestici comprendono un incredibile 97% della quantità totale di mammiferi terrestri, il che significa che le creature selvatiche costituiscono uno scarso 3%. Gli esseri umani e le specie associate a noi occupano molto più della metà della superficie terrestre abitabile del pianeta».

Per quanto riguarda l’idrosfera, la  Adeney Thomas  fa notare che «L’acqua potabile si rinnova al ritmo di circa l’1% all’anno, ma attualmente 21 su 37 delle principali falde acquifere del mondo vengono emunte più velocemente, in alcuni casi molto più rapidamente, di quanto possano essere ricostituite».

Nell’Atropocene  è cambiata anche la chimica del pianeta: gli oceani più caldi interferiscono con la produzione di ossigeno da parte del fitoplancton e alcuni scienziati prevedono che con un aumento delle temperature di 6° C . che se non facciamo qualcosa potrebbe verificarsi nel 2100, – questa produzione di ossigeno potrebbe cessare. La Adeney Thomas  ricorda che «La nostra produzione di azoto fisso è cinque volte superiore rispetto a 60 anni fa; in effetti, la Terra non ha mai avuto tanto azoto fisso nella sua intera storia di ~ 4,5 miliardi di anni. Dalla seconda guerra mondiale, la produzione di sostanze chimiche di sintesi è aumentata di oltre 30 volte. Delle oltre 80.000 nuove sostanze chimiche, l’Environmental protection agency degli Stati Uniti ne ha testato solo circa 200 per i rischi per la salute umana».

Il concetto di Antropocene riunisce tutti questi e altri fattori: «Questo è l’unico modo in cui possiamo comprendere la Terra come un unico sistema di riverbero, con loop di feedback e punti di non ritorno che non siamo ancora in grado di prevedere – dice la Adeney Thomas  – La sistematicità interrelata dell’ Antropocene non rappresenta un problema , ma una situazione multidimensionaleUn problema potrebbe essere risolto, spesso con un singolo strumento tecnologico prodotto da esperti in un singolo campo, ma una situazione difficile presenta risorse e idee di vario tipo. Invece non risolviamo le situazioni, ci navighiamo attraverso. La collaborazione tra scienziati, policymakers, scienziati sociali, umanisti e leader della comunità è la chiave per lottare contro l’Antropocene. La tecnologia è importante, ma le sfide più difficili riguarderanno come modificare i nostri sistemi politici ed economici».  Anche  l’“US$24 million Millennium Ecosystem Assessment” (2005) delle Nazioni Unite ha concluso che i nostri attuali sistemi non sono all’altezza del compito: abbiamo bisogno di “cambiamenti significativi nelle politiche, nelle istituzioni e nelle pratiche che non sono attualmente in corso”».

La Adeney Thomas   pensa che il pericolo stia nel pensiero unidimensionale dei cambiamenti climatici e non crede che i techno-ottimisti, che credono che la maggior parte dei problemi del mondo possano essere risolti dall’innovazione, sbaglino, in realtà affrontano una questione nei termini più ristretti: «La maggior parte inizia indicando alla totalità dei problemi ambientali, ma finisce per concentrarsi  esclusivamente sul cambiamento climatico. A volte il cambiamento climatico viene ulteriormente ridotto alle emissioni di CO2, ad esclusione di tutti gli altri gas serra, come il metano». La Adeney Thomas prende ad esempio dei tecno-ottimisti l’economista Jeffrey Sachs che punta a sostituire i combustibili fossili con l’energia eolica: «Come gli altri, parla con tono sicuro del “disaccoppiamento” della crescita economica dalle risorse naturali, sostenendo che “la crescita può continuare mentre le pressioni sulle risorse chiave (acqua, aria, terra, habitat di altre specie) e l’inquinamento, attraverso nuove tecnologie e prezzi di mercato, vengono significativamente ridotte anziché aumentare”. In breve, possiamo provvedere alla crescita della popolazione umana (prevista per 8 miliardi nel 2023) senza distruggere l’ecosistema, senza impoverire le generazioni future e senza preoccuparsi di trasformare i nostri sistemi politici ed economici. Se stringiamo alcuni dadi e bulloni, lo status quo va bene». Ma la Adeney Thomas   invita a dare un’occhiata a questo techno-ottimismo dal punto di vista dell’Antropocene e fa notare che «La maggior parte delle turbine eoliche offshore richiede i metalli delle terre rare provenienti dalla Cina, che fornisce circa il 90% della domanda mondiale e ha il monopolio su alcuni elementi. Non solo le miniere del principale sito produttivo cinese, la provincia sud-orientale del Jiangxi, si sono rapidamente esaurite, ma questa estrazione comporta costi ambientali e sociali sconvolgenti». La ricercatrice cita l’inchiesta “The dark side of renewable energy”  pubblicata nel 2016 su Earth Journalism Network da Liu Hongqiao, nella quale si legge che «La ricerca ha scoperto che produrre una tonnellata di minerale di terre rare (in termini di ossidi di terre rare) produce 200 metri cubi di acque reflue acide. La produzione delle terre rare necessarie per soddisfare la domanda cinese di turbine eoliche fino al 2050 … comporterà il rilascio di 80 milioni di metri cubi di acque reflue» e aggiunge che «Una volta ottenuto, questo minerale deve essere trasportato e lavorato per produrre le turbine. Queste turbine, una volta posizionate, richiedono manutenzione, utilizzando più risorse. Alla fine, però, finiranno come rifiuti, più spazzatura nel nostro pianeta pieno di immondizia. Se guardiamo al quadro complessivo, non c’è nulla di smaterializzato o carbon .free per le turbine eoliche».

Anche se la Adeney Thomas non nega certo che per combattere il cambiamento globale sono meglio le pale eoliche che estrarre combustibili fossili, è convinta che «Ridurre il nostro problema ai cambiamenti climatici, quindi alla CO2 e infine alla misurazione delle emissioni solo al punto della produzione di energia, è una drammatica mistificazione del nostro dilemma. Per tenere in considerazione la totalità della situazione è necessaria una prospettiva antropocenica».

La conclusione della Adeney Thomas  è che «Il rallentamento del cambiamento climatico è cruciale, ma affrontare le sue sfide è possibile solo se viene compreso come un aspetto dell’overshoot planetario. Le sfide del nostro alteratoe imprevedibile sistema terrestre non possono essere vinte da un armeggiare tecnologico all’interno degli stessi sistemi che lo hanno spinto oltre il limite. Non c’è niente da fare se non rimboccarsi le maniche e iniziare il duro lavoro di trasformare i nostri sistemi politici ed economici con lo scopo della decenza e della resilienza».