Perché l’European Green Deal conviene all’Italia

In Italia calano le emissioni industriali e aumentano quelle di trasporti ed edifici

[8 Ottobre 2020]

Italian Climate Network (ICN), con il contributo di European Climate Foundation, ha pubblicato una serie di articoli di approfondimento sull’European Green Deal europeo e «sulle possibilità di trovare una via italiana ad uno sviluppo verde nazionale anche attraverso il superamento dei nostri stessi obiettivi climatici, primo fra tutti il Piano Nazionale Energia e Clima (PNIEC) del 2019».  In conclusione della serie Jacopo bencini scrive è necessario un grande salto in avanti, italiano ed europeo.

Bencini ricorda che «La pandemia e il distanziamento forzato hanno poi impattato profondamente, oltre che la vita di tutti noi, anche il nostro lavoro sul tema della crescita verde fornendo nuove chiavi di lettura e nuove necessità rispetto ad una crisi economica, sanitaria e sociale di dimensioni inimmaginabili. A fronte di tutto questo la domanda che ci eravamo posti con la European Climate Foundation e Està – Economia e Sostenibilità all’inizio dell’anno è però rimasta la stessa: quali strade è possibile percorrere per portare l’Italia a migliorare i propri indici di occupazione e benessere mentre, allo stesso tempo, si perseguono politiche ambiziose ed efficaci a livello climatico, energetico, di produzione e consumi?»

E da queste domande che è nato il report “Il Green Deal conviene. Benefici per economia e lavoro in Italia al 2030”, che «esamina le dinamiche economiche e del sistema emissivo italiano dal 1990 al 2018 completo di scenari macroeconomici, climatici e riferiti al mondo del lavoro al 2030 e al 2050, in aperto dialogo con gli obiettivi italiani ed europei. In particolare, proiettando l’attuale piano italiano al 2030, il PNIEC, verso una riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 come da nuove politiche europee e quindi oltre l’obiettivo del 40% ad oggi ancora indicato dai documenti governativi».

Il report di ICN contiene allo stesso tempo la spia rossa, la segnalazione puntuale del problema, e la cassetta degli attrezzi tramite i quali trasformarlo in opportunità. «Inedito nella metodologia – spiega Bencini – traccia una linea d’azione che unisce lotta ai cambiamenti climatici, creazione di lavoro e maggiore ricchezza, perché, e questa è la notizia, tenere insieme le tre cose è possibile. Un lavoro che vorremmo utile per i decisori politici nazionali quanto per le organizzazioni della società civile».

Secondo Bencini, dal rapporto «Emerge chiaramente che, a fronte di un complessivo ma ancora non sufficiente miglioramento del sistema-Italia in termini di emissioni nell’atmosfera (calate da 512 milioni di tonnellate di CO2 equivalente nel 1990 ai 391 milioni odierni), accanto a settori economici che sono stati capaci di innovarsi e migliorare la propria impronta carbonica, ve ne sono altri che hanno segnato un peggioramento nel tempo, in particolare quelli dei trasporti e di abitazioni, uffici e degli edifici in generale. A fronte di un calo delle emissioni dei settori industriale e della produzione di energia, complice anche la crisi successiva al 2008 che ha espulso dal mercato le imprese più arretrate, sono quindi cresciute le emissioni di quei settori che di solito l’attivismo ambientale non tende ad annoverare fra i soliti sospetti ma comunque responsabili di oltre il 40% delle emissioni italiane. Settori, soprattutto trasporti ed edifici, storicamente impermeabili all’innovazione green e fino ad oggi appena lambiti dai pur crescenti investimenti in ricerca e sviluppo».

Il rapporto comprende anche due approfondimenti: «Il primo, sul potenziale rinnovabile italiano nella produzione di energia, fino a scenari ad alta efficienza (e realizzabili) in cui il 70% dell’energia consumata in Italia al 2050 sarà prodotta da fotovoltaico – circa 706Twh rispetto al totale consumato ad oggi di circa 1347,9Twh/anno, al netto degli scambi internazionali. Il secondo, sulle capacità di assorbimento dei settori agricolo e forestale. Si fa riferimento, in particolare, a tecniche e scenari di agricoltura conservativa intesi come ulteriori possibili passi nella lenta e necessaria discesa dagli attuali 391 milioni di tonnellate allo zero netto delle emissioni italiane alla metà del secolo».

In tutti gli scenari presi in esame dal rapporto risulta essenziale il ruolo degli investimenti verdi: «Senza investimenti specifici, pubblici e privati – sottolinea Bencini – nessun settore sarà in grado da solo di auto-innovarsi, specialmente quelli più refrattari all’innovazione come trasporti e residenziale».

Per questo il report di ICN suggerisce percorsi rispetto a quanto già pianificato dal PNIEC da oggi al 2030: «Gli investimenti aggiuntivi pubblici e privati (circa 100 miliardi all’anno in più tra 2020 e 2030) proposti dallo studio rispetto al pian interministeriale (92 miliardi all’anno) rendono plausibili un aumento annuo del PIL italiano tra lo 0,5% e lo 0,6%, un tasso di occupazione al 2030 superiore del 2,5%-3% rispetto all’attuale al netto delle possibili fluttuazioni tra entrate e uscite dovute alle riconversioni industriali, con la crescita degli occupati concentrata nei settori oggi più arretrati (edilizia, trasporti) e in quello che come detto immaginiamo trainerà questo intero futuro, quello delle energie rinnovabili. Seguendo questa strada l’Italia potrebbe rimettersi in carreggiata verso la riduzione delle emissioni climalteranti del 55% rispetto al 1990 indicata dal Green Deal europeo – ambizione europea a sua volta in fase di possibile revisione migliorativa, visto il voto del 10 settembre scorso della Commissione Ambiente del Parlamento Europeo che ha chiesto di rivedere al rialzo (puntando ad un meno 60% rispetto al 1990) proprio l’obiettivo principale del Green Deal. Tutti questi risultati migliorerebbero ulteriormente se questi investimenti venissero parzialmente indirizzati verso innovazioni produttive ad alto contenuto tecnologico».  Infatti, lo studio calcola  che per ogni miliardo investito si creerebbe 6.000 posti di lavoro stabili all’anno e 10 miliardi di euro di PIL in più.