Un conflitto nucleare regionale tra India e Pakistan porterebbe a carestie globali

Il raffreddamento delle temperature fermerebbe solo temporaneamente il riscaldamento globale e provocherebbe una catastrofe economica e umanitaria mondiale

[17 Marzo 2020]

Dopo l’abolizione dell’autonomia del Kashmir da parte del governo indiano della destra induista, la tensione con il Pakistan è ricominciata a salire e in molti temono che basti una scintilla al confine per far scoppiare una guerra nucleare “limitata” tra i due Paesi.  Ora il nuovo studio “A regional nuclear conflict would compromise global food security”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team internazionale di ricercatori analizza le connessioni climatiche, dell’agricoltura e dei modelli economici di un conflitto nucleare tra Islamabad e New Delhi e rileva che «Le ripercussioni si estenderanno ben oltre la regione, producendo un decennio di raffreddamento globale e un grave declino della produzione agricola che comprometterebbe la sicurezza alimentare globale».

Lo studio del team guidato da Jonas Jägermeyr del Department of Computer Science dell’università di Chicago, del Goddard Institute for Space Studies della Nasa e del Potsdam-Institut für Klimafolgenforschung (PIK), è il primo a perfezionare le stime grezze sulle conseguenze di un conflitto nucleare limitati sul clima e sulla produzione agricola globale che risalivano all’epoca della Guerra fredda e all’università di Chicago dicono che «I risultati di mostrano come un improvviso cambiamento climatico causerebbe gravi perdite dei raccolti e che un’economia mondiale interdipendente aggraverebbe l’effetto del conflitto regionale, causando una crisi globale».

Secondo Jägermeyr, «Lo scenario supera qualsiasi shock del sistema alimentare visto nella storia moderna. In realtà, un raffreddamento improvviso è più dannoso per la produzione agricola rispetto alla stessa quantità di riscaldamento antropogenico. Colpisce principalmente le regioni settentrionali del granaio del pane, mentre tutto questo fondamentalmente accade in una notte, rispetto a un graduale cambiamento climatico sistemico a lungo termine al quale le società hanno il potenziale per adattarsi. In questo caso, il raffreddamento avviene entro un anno e non abbiamo la capacità di distribuire nuove varietà di colture per adattarsi a un ambiente mutato».

Lo studio ha simulato le conseguenze indirette in tutto il mondo dell’utilizzo di armi nucleari e il conseguente rilascio di enormi quantità di fuliggine nell’atmosfera terrestre. I ricercatori stimano che un conflitto nucleare limitato a India e Pakistan farebbe arrivare nella stratosfera 5 milioni di tonnellate di fuliggine che basterebbero per schermare la luce solare quel tanto che basta a far scendere la temperatura media mondiale di 1,8 gradi Celsius e a provocare un calo delle precipitazioni dell’8%. Un improvviso cambiamento climatico che richiederebbe dai 10 ai 15 anni per tornare alla normalità e i ricercatori evidenziano che «Questo periodo di raffreddamento ritarderebbe anche, non annullerebbe, i cambiamenti climatici; dopo un decennio, il riscaldamento globale aumenterebbe di nuovo».

Ma questo brusco raffreddamento sarebbe devastante per l’agricoltura globale. Secondo i modelli prodotti nello studio, «Il mais, il grano, la soia e il riso – le colture alimentari di base del mondo – mostrano tutti un calo significativo, con i raccolti di mais e grano entrambi in calo di oltre il 10% nei primi 5 anni. L’impatto agricolo è più grave nelle regioni ad alta latitudine come gli Stati Uniti, l’Europa, la Cina e la Russia, causando un allarmante “fallimento di più panieri”». Alle nostre latitudini, temperature più basse significherebbero che le piante avranno difficoltà a maturare prima che inizi il gelo autunnale, portando a diffuse e massicce perdite dei raccolti.

Jägermeyr conferma: «L’impatto è molto forte. Sarebbe la più grande anomalia mai registrata, più grande dell’evento Dust Bowl negli anni ’30 e supererebbe l’impatto delle più grandi eruzioni vulcaniche nella storia moderna».

Per simulare il modo in cui queste perdite agricole influirebbero sulla sicurezza alimentare globale, lo studio ha aggiunto modelli commerciali ed economici ed è arrivato alla conclusione che «Mentre a breve termine le riserve alimentari assorbirebbero un po’ dell’impatto della carenza di colture, alla fine le perdite sostenute esauriranno questi stores  e ridurranno le esportazioni di cibo verso i Paesi del Sud del mondo che dipendono dal commercio per nutrire la loro popolazione. Entro quattro anni dal conflitto nucleare, 132 Paesi su 153 Paesi – una popolazione totale di 5 miliardi di persone – riscontrerebbero riscontrato carenze alimentari superiori al 10%».

Una previsione così fosca e fondata dovrebbe ispirare ai leader mondiali un ulteriore disarmo nucleare proprio mentre sono in scadenza dei trattati e sta aumento la spesa militare.  Gli scienziati evidenziano che «Contrariamente agli scenari globali della guerra nucleare studiati nel XX secolo, la ricerca sottolinea che anche uno scambio localizzato di lanci di armi nucleari potrebbe essere catastrofico per le persone di tutto il mondo».

Un autore dello studio Alan Robock alla Rutgers University, conclude: «Per quanto orribili sarebbero gli effetti diretti delle armi nucleari, ancora più persone potrebbero morire al di fuori delle aree bersaglio a causa della carestia, semplicemente a causa degli effetti climatici indiretti. La proliferazione nucleare continua e nell’Asia meridionale c’è di fatto una corsa agli armamenti nucleari. Indagare sugli impatti globali di una guerra nucleare non è quindi, purtroppo, per nulla una questione che riguarda la guerra fredda».