Altro che porto sicuro! Onu: la Libia è sull’orlo di una guerra civile senza ritorno

Stato Islamico/Daesh e Al Qaeda stanno occupando il sud della Libia lasciato sguarnito da Haftar

[22 Maggio 2019]

La Libia post-Gheddafi è sempre stata un porto sicuro solo nelle fantasie propagandistiche del capo della Lega e ministro degli interni Matteo Salvini e ora, a quasi 50 giorni dall’inizio dell’attacco a Tripoli da parte delle forze del maresciallo Haftar,  il rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite nel paese, Ghassan Salamé, ha detto di fronte al Consiglio di sicurezza dell’Onu che le morti e le distruzioni sono arrivate a un punto intollerabile.

Secondo Salamé, «a Libia sta per sprofondare una guerra civile che potrebbe portare a una rottura permanente. Ci vorranno anni per riparare il danno già fatto e solo se la guerra si fermerà ora».

E’ la certificazione che i goffi tentativi diplomatici messi in piedi dal nostro Paese sono miseramente falliti e che la nostra ex colonia è un campo di battaglia dove scorrazzano milizie confessionali e tribali, armate e finanziate da Paesi occidentali e arabi e da Russia e Turchia, che si contendono il gas e il petrolio, mentre l’unica preoccupazione del nostro governo, oltre a difendere i sempre più pericolanti interessi dell’Eni, è quella che gli aguzzini islamisti, che abbiamo armato e finanziato e ribattezzato Guardia Costiera Libica, tengano lontano i migranti e i profughi che si sono ritrovati intrappolati nel pantano di sabbia e sangue della Libia dei due governi e delle mille milizie.

Ghassan Salamé ha ricordato che «Le conseguenze e i rischi del conflitto sono già dolorosamente avvertiti dal popolo libico. Da quando sono iniziati i combattimenti, 460 libici, compresi 29 civili, sono stati uccisi, oltre 2.400 sono stati feriti e oltre 75.000 persone sono state sfollate. Già  disastrose prima del conflitto, le condizioni dei migranti e dei rifugiati in Libia sono solo peggiorate. Quasi 3.400 di loro sono bloccati in centri di detenzione esposti ai combattimenti o nelle vicinanze».

E’ quello che il nostro vicepremier non vuole che si dica, ma Salamé ha aggiunto: «Non sono Cassandra, ma le violenze alla periferia di Tripoli sono solo l’inizio di una lunga e sanguinosa guerra sulle coste meridionali del Mediterraneo, mettendo in pericolo la sicurezza dei vicini limitrofi di Libia e della più ampia regione del Mediterraneo». E tra questi Paesi c’è anche il nostro, che continua a far finta di non vedere una tragedia causata anche dalla nostra furbesca e tremebonda politica in colonie che abbiamo dimenticato.

Il rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu ha avvertito che «Il vuoto di sicurezza creato dal ritiro di molte delle truppe del maresciallo Haftar dal sud del Paese, insieme al focus delle forze occidentali sulla difesa di Tripoli, è già sfruttato da Daesh (lo Stato Islamico, ndr) e Al Qaeda. Nel sud della Libia compaiono le bandiere nere di Daesh e sono costernato nell’annunciare che dal 4 aprile ci sono stati quattro attacchi Daesh separati: due attacchi a Ghodwa, uno a Sebha e alcuni giorni a Zella».

Insomma, mentre il nostro governo ci racconta la favola dei terroristi mascherati da profughi che attraversano il Mar Mediterraneo sui barconi della disperazione, nel sud della Libia, vicino ai giacimenti petroliferi “italiani”, lo Stato Islamico/Daesh e Al Qaeda redivivi stanno costruendo nuovi califfati neri.

Per questo Ghassan Salamé ha invitato il Consiglio di sicurezza ad «assumersi le proprie responsabilità» e ha sollecitato le parti libiche in conflitto a «impegnarsi per una completa cessazione delle ostilità e a ritornare al processo politico inclusivo guidato dalle Nazioni Unite». Ma in Libia prob<bilmente non ci sono più orecchie disposte ad ascoltare la flebile voce dell’Onu, coperta dal rumore dei cannoni e delle mitragliatrici pesanti e dai lamenti disperati dei profughi prigionieri nei fantomatici “porti sicuri”, ultimo miraggio libico del neocolonialismo italiano ex padano.