Eritrea: «Il regno della paura e del terrore». Ecco da dove scappano i profughi

Rapporto Onu: «Violazione flagrante dei diritti umani. La tortura e la schiavitù sono la norma»

[12 Giugno 2015]

Per capire il perché di cosa sta succedendo nel mare, nelle stazioni e nei “centri di accoglienza” italiani – scabbia compresa – invece di ascoltare le parole senza misericordia e memoria dell’ex ministro degli interni Maroni che oggi, da presidente della Regione Lombardia, sconfessa quello che aveva lui stesso approvato ed imposto, sarebbe bene leggersi le 500 pagine (ma basta anche il riassunto di 28) del Report of the commission of inquiry on human rights in Eritrea appena pubblicato dall’ufficio dell’Alto Commissario dell’United Nations Human Rights (Unhr), secondo il quale «Il governo dell’Eritrea è responsabile di violazioni flagranti, sistematiche e generalizzate dei diritti umani che hanno creato un clima di paura nel quale il dissenso è soffocato, una gran parte della popolazione è sottoposta a lavori forzati ea al carcere e centinaia di migliaia di profughi sono fuggiti dal Paese».
Ecco da dove fuggono i profughi che annegano al largo di Lampedusa o scompaiono non visti nelle profondità del Mediterraneo: da una nostra ex colonia dove un dittatore nostro amico ha ridotto un Paese fiero in una galera senza speranza, ma pieno di basi e di interessi occidentali.
Il rapporto della commissione d’inchiesta dell’Onu descrive una serie di violazioni dei diritti umani di portata e dimensioni raramente riscontrabili in altri Paesi e uno Stato totalitario che controlla gli eritrei attraverso un vasto apparato di sicurezza che è infiltrato a tutti i livelli della società. Secondo il rapporto, «Le informazioni raccolte attraverso il sistema di controllo pervasivo vengono usate con arbitrio assoluto per mantenere la popolazione in uno stato di ansia permanente. Non è la legge che governa eritrei, ma la paura».
La stessa Unhr evidenzia che la pubblicazione del rapporto è un forte richiamo alla comunità internazionale, in particolare i governi di Europa, Nord Africa e Medio Oriente, che fanno fronte ad un crescente di rifugiati, richiedenti asilo e migranti attraverso il Mediterraneo e lungo altre rrotte clandestine: «Molti di loro sono eritrei, una parte significativa dei quali sono vittime di trafficanti di esseri umani nel tentativo di raggiungere l’Europa». A metà del 2014 l’Unhr si occupava di oltre 357.400 eritrei fuggiti dal loro Paese.
Il rapporto chiede con forza che «Continui la protezione internazionale dei rifugiati eritrei in fuga dalle violazioni dei diritti umani» e sottolinea che non possono essere assolutamente rimandati – come vorrebbe fare qualche leghista e fascista – «In un paese che punisce chiunque cerca di lasciarlo senza permesso».
Secondo il rapporto Onu, la pianta avvelenata del nostro colonialismo e neocolonialismo che sparge profughi nel Mediterraneo, in Eritrea si è trasformata in una «Situazione apparentemente senza speranza», che centinaia di migliaia di eritrei si sentono impotenti e quindi «Fuggono il loro paese. In preda alla disperazione, ricorrono a vie di fuga mortali attraverso deserti e Paesi in guerra vicini e per mari pericolosi in cerca di sicurezza. Rischiano la cattura, la tortura e la morte per mano dei trafficanti di esseri umani senza scrupoli. Attribuire la loro decisione di andarsene solo a motivi economici significa ignorare la terribile situazione dei diritti umani in Eritrea e la reale sofferenza della sua gente. Gli eritrei fuggono gravi violazioni dei diritti umani nel loro Paese e hanno bisogno di protezione internazionale». Invece in Italia trovan i loro ex padroni coloniali che, smesso l’orbace – non tutti – e vestita la camicia verde ripetono le litanie xenofobe dettate dall’ignoranza storica e dell’attualità.
La commissione d’inchiesta è stata istituita dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite nel giugno 2014 per condurre un’indagine sulle violazioni dei diritti umani in Eritrea, tra cui: esecuzioni extragiudiziali; sparizioni forzate; arresti e detenzioni arbitrari; torture e condizioni carcerarie inumane; violazioni della libertà di espressione e di opinione, della libertà di associazione e di riunione, della libertà di religione e di credo, della libertà di circolazione e coscrizione militare obbligatoria.
La commissione, presieduta dall’australiano Mike Smith, è composta anche da Victor Dankwa (Ghana) e da Sheila B. Keetharuth (Mauritius) che è relatrice speciale dell’Onu sulla situazione dei diritti umani in Eritrea.
Presentando il rapporto la Keetharuth ha sollecitato «Un rinnovato impegno della comunità internazionale per aiutare a porre fine al clima di paura in Eritrea» e per «Affrontare il deficit di giustizia e sostenere la nostra richiesta di un ripristino della Stato di diritto. La regola dalla paura – la paura dell’arruolamento a tempo indeterminato, delle violazioni arbitrarie e della detenzione in isolamento, della tortura e degli altri diritti umani – deve finire».
Ma la dittatura eritrea ha ignorato le ripetute richieste della Commissione Unhr di informazioni e di un accesso diretto al Paese. Per questo la Commissione ha visitato 8 Paesi ed ha effettuato circa 550 interviste confidenziali con i testimoni eritrei fuggiti dal Corno d’Africa. Inoltre, ha ricevuto circa 160 contributi scritti.
Secondo il rapporto, «Il timore di rappresaglie, anche tra i testimoni ora nei Paesi terzi, è stato una grande sfida. Molti potenziali testimoni che risiedono al di fuori Eritrea avevano paura di testimoniare, anche in via riservata, perché presumevano di essere monitorati clandestinamente da parte delle autorità e quindi temevano per la loro sicurezza e per i familiari in Eritrea».
Il rapporto sottolinea che la promessa iniziale di democrazia, progresso sociale e di uno Stato di diritto che veniva fatta durante la guerra di liberazione dall’Etiopia, con l’indipendenza dell’Eritrea, nel 1991, «E’ stata spenta dal Governo con il pretesto della difesa nazionale», una difesa nazionale alla quale hanno contribuito e contribuiscono generosamente diversi Paesi occidentali, Italia compresa.
Nel rapporto Unhr si legge che «La Commissione ritiene che le violazioni sistematiche e diffuse e dei diritti umani sono stati e vengono commessi dal governo di Eritrea e che non ne viene ritenuto in nessun modo responsabile. Il godimento dei diritti e delle libertà è gravemente ridotto in un contesto globale di totale mancanza di stato di diritto. La Commissione rileva inoltre che le violazioni in materia di esecuzioni extragiudiziali, torture (comprese la tortura sessuale), il servizio nazionale e il lavoro forzato possono costituire crimini contro l’umanità. La Commissione sottolinea che i suoi risultati attuali non devono essere interpretate come una conclusione che i crimini internazionali non sono stati commessi in altri settori».
Il rapporto elenca i principali responsabili di queste violazioni, come le Forze di Difesa eritree, in particolare l’esercito eritreo; il servizio di sicurezza nazionale; Forze di Polizia eritree; il Ministero dell’Informazione; il Ministero della Giustizia; il Ministero della Difesa; il Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia (PFDJ – il Partito unico al potere), l’Ufficio del Presidente e lo stesso Presidente della Repubblica, l’eterno Isaias Afewerki. Il rapporto descrive i sistemi repressivi utilizzati dal governo per itenere sotto controllo imporre il silenzio ed isolare gli individui, compresa «Una rete pervasiva di sorveglianza nazionale nella quale i vicini spiano i vicini e anche i membri della famiglia diffidano l’uno dall’altro. Come risultato di questa sorveglianza di massa, gli eritrei vivono nella paura costante che il loro comportamento sia o possa essere monitorato da agenti della sicurezza e che le informazioni raccolte possano essere utilizzate contro di loro, portando ad arresti arbitrari, detenzione, tortura, scomparsa o alla morte. Il sistema giudiziario del paese manca di indipendenza e l’amministrazione della giustizia è del tutto carente. La detenzione arbitraria è onnipresente e le condizioni di detenzione nella vasta rete di prigioni del Paese sono estremamente dure. Tenere i detenuti senza comunicazioni è una pratica molto diffusa e molti detenuti semplicemente scompaiono. Inoltre, molti detenuti non hanno alcuna idea del perché siano prigionieri, né dalla durata della loro detenzione».
Per completare un quadro terrificante, «La Commissione ritiene che l’uso della tortura sia talmente diffuso che si può concludere solo che si tratta di una politica del governo per incoraggiare il suo utilizzo per la punizione di individui percepiti come oppositori alle sue regole e per strappare confessioni. Il monitoraggio dei centri di detenzione è inesistente e gli autori non vengono mai assicurati alla giustizia».
Il rapporto descrive inoltre come la dittatura, «Con il pretesto di difendere l’integrità dello Stato e garantire l’autosufficienza nazionale, ha sottoposto gran parte della popolazione al servizio nazionale a tempo indeterminato, sia nell’esercito che attraverso il servizio civile. Quando compiono 18 anni, o anche prima, tutti gli eritrei vengono arruolati. Mentre il servizio nazionale dovrebbe durare 18 mesi, i coscritti in realtà finiscono per servire a tempo indeterminato, spesso per anni in condizioni difficili e disumane. Migliaia di coscritti sono sottoposti al lavoro forzato che in realtà è un abuso, uno sfruttamento che li rende schiavi per anni. Le donne coscritte sono a rischio estremo di violenza sessuale durante il servizio militare. Molti altri – detenuti, studenti, membri della milizia – vengono sottoposti a lavoro forzato. L’uso del lavoro forzato è così prevalente in Eritrea che tutti i settori dell’economia si basano su di esso e tutti gli eritrei sono suscettibili di esserne soggetti a un certo punto della loro vita. La Commissione ha concluso che il lavoro forzato, in questo contesto, nei suoi effetti è una pratica simile alla schiavitù e, come tale, è vietato dal diritto internazionale sui diritti umani».
Avete capito ora da quale inferno che abbiamo contribuito a costruire scappano gli eritrei che vengono “in vacanza” in Italia?