Riceviamo e pubblichiamo

L’Onda verde ha conquistato buona parte d’Europa, ma non l’Italia

La transizione ecologica è concreta solo quando si unisce alla sostenibilità sociale ed economica: una narrazione che alle nostre latitudini è ancora troppo debole

[27 Maggio 2019]

Quando si ha a che fare con elezioni europee, ci sono sempre due piani di valutazione, ovvero quello europeo e quello nazionale. Questi livelli vengono troppo spesso separati nelle analisi politiche, così come anche è stato in questa campagna elettorale. Questo, purtroppo, è molto vero per l’Italia dove le elezioni europee non sono altro che una cartina tornasole per i fatti interni. Tuttavia, un’analisi che congiunge la dimensione comunitaria con quella nazionale è fortemente necessaria perché permette di raggiungere conclusioni che possono essere costruttive. Questo vale soprattutto per la sinistra, quella più radicale, che è rimasta totalmente fuori dai giochi e che ora si pone il dilemma, solo all’apparenza leninista: che fare?

Il tema ambientalista – inserito in un’ottica comparatistica tra Europa ed Italia – ci può non solo mostrare l’anomalia (non solo ma fortemente) italiana, ma potrebbe anche sancire la fine e quindi (si spera) l’inizio di una sinistra diversa.

L’anomalia italiana in campo ambientale è presto spiegata: l’Onda verde ha conquistato diverse capitali europee, contribuendo a marginalizzare i populismi di destra. Questo successo è indiscusso in Francia, Germania e, con minore sorpresa, in Olanda ed Austria. Grazie a questi risultati, il gruppo dei Verdi è diventato il quarto nell’Europarlamento, condividendo con i Liberali quel ruolo di ago della bilancia ora che socialisti e conservatori non posseggono numeri per raggiungere una coalizione di maggioranza. L’Italia tuttavia non partecipa a questo successo, dove il gruppo dei Verdi non supera la soglia di sbarramento al 4%. È indubbio che questo gruppo abbia enormemente fallito ad interpretare le mobilitazioni dei giovani (Fridays for future) e le due marce per il clima tenutosi recentemente. Evidentemente coloro che sono scesi in piazza e che richiedevano – più o meno consapevolmente – politiche ambientali che promuovessero sviluppo sostenibile e giustizia climatica non hanno trovato in Europa Verde e La Sinistra – altro partito che ha fatto dell’ambiente un cardine programmatico – valide opzioni politiche. Da un lato, Europa Verde ha meramente ripetuto i punti dei gruppi ambientalisti europei, senza comprendere che le realtà del nord Europa (dove i Verdi hanno fatto particolarmente bene) sono profondamente diverse dalla nostra. Dall’altro, La Sinistra ha sciorinato un vecchio ambientalismo di sinistra che si è fermato a vaghe critiche al sistema economico e senza appoggiare in modo chiaro le molte alternative che già esistono in alcuni paesi europei.

L’Italia, dunque, è anomala e, dal punto di vista della sinistra extra-Pd sorge quella domanda posta all’inizio: che fare per scrollarsi da dosso questa immobilità stancante e lacerante? Ancora una volta, la questione ambientale ci può essere d’aiuto, soprattutto quando analizzata in un’ottica europea.

Come detto, i punti di Europa Verde hanno imitato semplicemente quelli del gruppo europeo e la declinazione in salsa italiana è mancata terribilmente. Alcuni commentatori hanno suggerito che l’ambientalismo e la questione ecologica corrono il rischio di essere elitiste e cioè solo di coloro che possono permetterselo economicamente. Nulla di nuovo in questa interpretazione: anni fa, lo scienziato sociale Robert Inglehart suggeriva che l’ecologismo è un valore post-materiale e che quindi si ritrova solo in quegli strati più agiati – economicamente – della società. Numerose sono le critiche mosse – a buon diritto – contro questa teoria. Tuttavia, questo punto di vista potrebbe dare un’interessante interpretazione al fallimento verde.

Ska Keller, candidata dei Verdi alla presidenza della Commissione europea, parla molto spesso dell’intersezione tra ambiente e giustizia sociale. In altre parole, i costi della transizione verde non dovrebbero gravare ingiustamente sui cittadini meno abbienti. Le grandi corporazioni e i maggiori attori inquinanti devono essere resi responsabili nel finanziare questa trasformazione. Ma non solo, la questione climatica e ambientale non esiste distaccata da altre forme di discriminazione e marginalizzazione sociale, culturale ed economica. In Italia invece la narrazione dei partiti di sinistra sull’ambientalismo ha prevalentemente mancato questo punto (benché presente nei programmi) che, in un contesto socio-economico disastrato come il nostro, dovrebbe essere portato come primissimo stendardo programmatico e identitario. Una riflessione di questo tipo è necessaria e potrebbe rappresentare un motivo di vicinanza e accordo tra le “forze” di sinistra.

Due sociologi, Dunlap e Catton, qualche decennio fa hanno detto che l’ambiente non è semplicemente un nuovo tema da discutere. Bensì l’ambiente è un nuovo modo di pensare, che ci permetterà di connettere giustizia sociale, ambientale e climatica al modo in cui costruiamo l’economia, il mondo del lavoro, le relazioni internazionali e via dicendo. Tuttavia, come sostiene lo scrittore indiano Amitav Ghosh nel libro “La grande cecità”, dobbiamo costruire un contesto culturale che ci permetta di comprendere la crisi climatica ed ecologica. Quindi, lo sforzo partitico di sinistra deve essere primariamente culturale e sociale in modo da creare un’identità politica ecologica che possa partecipare veramente all’Onda verde che ha scosso il resto d’Europa.