l’Onu: c’è bisogno di 2 miliardi di dollari per proteggere milioni di persone e impedire che il nuovo coronavirus rifaccia il giro del mondo

Perché ai Paesi sviluppati conviene (e molto) proteggere i Paesi poveri dal coronavirus

Se i Paesi sviluppati vogliono evitare un’epidemia di ritorno e sperare di contenere una crisi globale, non possono ignorare i Paesi meno sviluppati

[26 Marzo 2020]

La pandemia del coronavirus è mondiale, non conosce confini e classi – anche se i ricchi hanno più probabilità di cavarsela e curarsi dei poveri – ma tende a farci rinchiudere all’interno s di ormai obsoleti confini nazionali, regionali, cittadini, di quartiere, Politicamente è il pericolo evidenziato da Ed Holt d su IPS; «Nella lotta al coronavirus, i governi dei Paesi ricchi del nord industriale non devono ignorare la difficile situazione delle nazioni più povere del Sud o la malattia non sarà messa sotto controllo».

Mentre i Paesi africani chiudono gradualmente le loro frontiere agli europei – a cominciare dagli italiani – il COVID-19 si sta espandendo e si registrano più casi in Paesi con una povertà endemica anche in altri continenti. Il pericolo è che in qualcuno di questi stati con strutture di governance e sanitarie praticamentie inesistenti sorga un focolaio incontrollabile di coronavirus al quale nessyno è in grado di far fronte se non qualche ONG che opera in quegli Stati fantasma.

Così come fanno numerosi esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Holt avverte che «Un possibile collasso di sistemi sanitari già vulnerabili avrà non solo un impatto drastico sulla salute della popolazione, ma potrebbe anche precipitare le persone nella povertà e nella privazione e produrre un’ansia incontrollata di migrazione». E, quindi, se il contagio del COVID-19 arriverà a cifre importanti nei Paesi in via di sviluppo più poveri, il suo contagio arriverà fino ai Paesi più sviluppati e si propagherà nuovamente nel Nord America e in Europa. Il meccanismo è lo stesso che ha spinto una moltitudine di italiani ad abbandonare le zone rosse per cercare rifugio nelle famiglie di origine o nelle seconde case al mare e in montagna: nasce dalla paura e dal bisogno, dalla b necessità di “salvarsi”.

Nonostante la crisi economica incombente e la difficile ripresa che ci aspetta, per evitare questo scenario catastrofico, i Paesi sviluppati devono aiutare subito gli altri Paesi dove i sistemi sanitari sono deboli ed escludono la parte – fortemente maggioritaria – più povera della popolazione. E per farlo devono immediatamente intervenire dove il coronavirus è già arrivato.

Amanda Glassman, vicepresidente esecutiva del Center for Global Development e chief executive officer di CGD Europe, ha sottolineato che «Se le cose non vengono messe sotto controllo nei Paesi più svantaggiati, potrebbero arrivare a pregiudicare tutti i Paesi. I Paesi ad alto reddito sono completamente assorbiti da quel che succede nei loro Stati, però sarebbe bene se potessero concentrarsi anche almeno sui Paesi più poveri sviluppatisi meno velocemente».

Finora in Africa, America Latina e Caraibi ci sono stati molto meno casi, ma gli esperti temono che i contagi possano aumentare drasticamente e molto rapidamente in Paesi dove, soprattutto in Africa, i sistemi sanitari sono già al collasso e con risorse finanziarie e umane molto limitate. Per esempio, in Africa meno della metà della popolazione ha accesso a strutture sanitarie moderne e in questi Paesi si sta già combattendo contro malattie endemiche, come la malaria e più recentemente Ebola, e si deve far fronte alla catastrofe climatica e a milioni di profughi interni e stranieri, in figa da guerre e cambiamenti climatici.

Dan Steinbock, fondatore di Difference Group, ha ricordato in un’intervista all’IPS che «L’africa subsahariana sta lottando contro il virus Ebola, l’invasione di locuste e le carestie a loro associate . Ora deve affrontare una terza guerra contro il coronavirus. In molti Paesi, le risorse sono scarse». L’ugandese Ambrose Talisuna, direttore del Regional office for Africa dell’Oms conferma «Un qualsiasi focolaio importante di COVID-19 si ripercuoterà sull’incidenza e il trattamento di altre malattie nella regione. Temiamo che i sistemi sanitari di alcuni Paesi africani possano restare completamente paralizzati. Viviamo con Ebola (e i suoi focolai in alcuni Paesi africani). C’è stato uno spostamento di risorse per la malattia e il sistema sanitario non è stato in grado di far fronte allo shock dell’epidemia. La gente è morta di malaria, la gente non ha potuto ricevere trattamenti per la tubercolosi».

Ma anche Paesi con sistemi sanitari relativamente sviluppati potrebbero d dover affrontare problemi simili: in Sudafrica c’è la peggior epidemia di AIDS del mondo e nessuno sa quali effetti un’epidemia di coronavirus potrebbe avere sul trattamento delle persone o che può succedere a pazienti con AIDS colpiti da COVID-19.

In America Latina, dove vivono ancora molte persone in povertà estrema. I medici hanno avvertito che un’epidemia di coronavirus potrebbe avere effetti devastanti sul sistema sanitario,

Inoltre, i problemi economici che stiamo vivendo in Italia e in Europa avrebbero un impatto molto maggiore su popolazioni che hanno molto meno risorse economiche e sistemi di sicurezza sociale pro aticamente inesistenti e dove la vita ci se la guadagna giorno per giorno e rimanere chiusi in casa equivale a non poter mangiare. Per le economie dei Paesi poveri l’impatto delle misure per contenere il coronavirus sarebbe probabilmente insostenibile.

Steinbock fa notare che « I metodi draconiani per i quali la Cina ha optato sono stati molto costosi. Però tutte le alternative sarebbero state peggiori. La leadership cinese ha dovuto scegliere tra danni economici estesi e uno o due trimestri per la probabile contenzione del virus, o una devastazione economica molto maggiore insieme a un drastico aumento dei casi di morte».

Ma costi di questo tipo non devono e non possono essere assunti solo dalle nazione in via di sviluppo. Sebbene i governi dei singoli Paesi in via di sviluppo possono aiutare le imprese e gli individui con misure come le agevolazioni fiscali, il sostegno finanziario attraverso prestiti ed esenzioni dai pagamenti sanitari e previdenziali, gli altri Paesi devono aiutarli. La Banca mondiale ha messo a disposizione 12 miliardi di dollari come sostegno immediato per aiutare i Paesi a far fronte agli impatti sanitari ed economici dell’epidemia globale. Il Fondo monetario internazionale ha detto che potrebbe mobilitare 10 miliardi di dollari in prestiti ai Paesi a basso reddito per combattere il virus. Il 13 marzo l’OMS e i suoi partner hanno lanciato il COVID-19 Solidarity Response Fund, che punta a raccogliere fondi da privati ​​e aziende per contribuire alla risposta globale al coronavirus. Intanto, altri fondi vengono spostati dai fondi esistenti: ad esempio, il Global Fund to Fight AIDS, Tuberculosis and Malaria consentirà di utilizzare alcuni fondi per la risposta al COVID-19, mentre il Fund global emergency response del Central emergency response found dell’Onu ha stanziato 60 milioni di dollari.

Ieri l’Onu ha lanciato un appello: «C’è bisogno di 2 miliardi di dollari per proteggere milioni di persone e impedire che il nuovo coronavirus rifaccia il giro del mondo. Un approccio globale è la sola maniera di lottare contro il COVID-19». Secondo il segretario generale dell’Onu,  António Guterres, «Il COVID-19 minaccia tutta l’umanità e per questo è tutta l’umanità che deve rispondere e che le risposte dei singoli Paesi non sono sufficienti. E’ il momento di agire per i più vulnerabili. Dobbiamo venire in aiuto alle persone ultra-vulnerabili, ai milioni e milioni di persone che sono meno in grado di proteggersi. Si tratta di una questione di solidarietà umana fondamentale. Questo è anche essenziale per combattere il virus».

Infatti, quanto stanziato finora  sono gocce in quello che potrebbe diventare un oceano di necessità e disperazione. Anche secondo la Glassman si potrebbe fare di più: «Le banche di investimento multilaterali devono aumentare i loro prestiti attuali. Più di un mese fa, il capo dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus aveva lanciato un piano di prevenzione da 675 milioni di dollari nella speranza di contenere la crisi e spianare la strada per scoraggiare future crisi. Questo è meno dell1% percento del bilancio militare statunitense del 2020. Alla fine di febbraio, la Commissione europea aveva stanziato 124 milioni di dollari per il piano di risposta dell’Oms, ma gli altri attori non hanno dimostrato di essere così generosi».

Singoli Paesi hanno promesso contributi per gli sforzi globali per combattere la malattia, da elargire direttamente ad altri stati e gruppi sanitari, attraverso organizzazioni multilaterali o all’Oms. Cuba sta mandando medici in Italia e in altri Paesi, a cominciare da quelli più a rischio dell’America Latina. La Cina è molto attiva in Africa, Europa e Sudamerica e anche la Russia sta inviando aiuti e personale medico non solo in Italia. qualcosa sta arrivando in Europa e in altri Paesi anche da ONG e dall’amministrazione federale Usa

Gli esperti dicono che non importa come e chi finanzi, ma i Paesi in via di sviluppo devono ricevere tutto l’aiuto necessario per contenere la malattia.

Steinbock conclude: «Se i casi sfuggono al rilevamento (nei Paesi poveri), i sistemi sanitari deboli, insieme alla povertà endemica e all’instabilità sociale, hanno maggiori probabilità di provocare un’epidemia secondaria con un possibile impatto globale. Se le economie avanzate vogliono sperare di contenere una crisi globale, non possono permettersi di ignorare le economie in via di sviluppo, in particolare quelle meno sviluppate».

Un piano di intervento è stato messo in opera dalle agenzie Onu, dalle Ong internazionali e da un consorzio di ONG che opera sul terreno. Per tutte le organizzazioni umanitarie la priorità è quella di fornire attrezzature di laboratorio essenziali per testare il virus e forniture mediche per trattare le persone. I fondi richiesti dall’Onu permetterebbero di installare punti per lavarsi le mani nelle aree rurali e in diverse strutture sanitarie. Il progetto prevede anche di avviare campagne informative pubbliche su come proteggere se stessi e gli altri dal virus. Inoltre, all’Onu prevedono di stabilire ponti e centri aerei in Africa, Asia e America Latina per portare i lavoratori e le forniture umanitarie dove sono maggiormente necessarie.

Il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha avvertito che «Questi Paesi hanno bisogno del nostro sostegno: in solidarietà ma anche per proteggerci tutti e contribuire a sopprimere questa pandemia. Il virus si sta attualmente diffondendo in Paesi con sistemi sanitari deboli, compresi alcuni che stanno già affrontando crisi umanitarie. Quindi la priorità è aiutare questi Paesi a prepararsi e continuare ad aiutare i milioni di persone che dipendono dagli aiuti umanitari delle Nazioni Unite per sopravvivere».

Se adeguatamente finanziata, questa risposta globale fornirà alle organizzazioni umanitarie gli strumenti di cui hanno bisogno per combattere il virus, salvare vite umane e contribuire a contenere la diffusione del COVID-19 in tutto il mondo. Mark Lowcock, vicesegretario generale dell’Onu per gli affari umanitari, ha aggiunto: «Lasciare i Paesi più poveri e vulnerabili del mondo al loro destino sarebbe sia crudele che sconsiderato. Se lasciamo che il coronavirus si diffonda liberamente in questi luoghi, metteremo milioni di persone ad alto rischio, intere regioni saranno precipitate nel caos e il virus avrà l’opportunità di circumnavigare il globo».

E se il virus non distingue tra gli esseri umani e non ha confini, per i rifugiati e gli sfollati nelle zone di guerra è ancora più pericoloso e difficile da sopportare: «Il COVID-19 ha già cambiato la vita in alcuni dei Paesi più ricchi del mondo – ha evidenziato Lowcock – Ora sta raggiungendo luoghi in cui le persone vivono in zone di guerra, non hanno facile accesso all’acqua pulita e al sapone e non hanno alcuna speranza di avere un letto d’ospedale se si ammalano gravemente. La preoccupazione è che la malattia si stia diffondendo rapidamente in aree densamente popolate, comprese aree urbane, campi profughi e strutture di prima accoglienza. Questo porterebbe a un sovraccarico in aree in cui spesso i sistemi sanitari sono deboli».

L’Onu ricorda a tutti che questo nuovo coronavirus non distingue tra ambienti o stagioni: «Se non viene intrapresa alcuna azione decisiva, si verificheranno enormi focolai in tutto il mondo».

L’Onu fa l’esempio Burkina Faso, un Paese poverissimo e sotto attacco delle milizie jihadiste dove molte persone sono vulnerabili a causa dell’età, di malattie croniche e malnutrizione. In Burkina Faso ci sono anche sfollati interni e rifugiati maliani e «persone che vivono in aree in cui le strutture sanitarie sono state chiuse a causa dell’insicurezza».

Onu, Oms, Unicef e ONG dicono che l’avvio del piano di risposta al coronavirus non dovrebbe far dimenticare le altre crisi ed emergenze umanitarie. E Ghebreyesus ha concluso: «Allo stesso tempo, non dobbiamo combattere la pandemia a spese di altre emergenze sanitarie umanitarie. I governi sono pertanto invitati a impegnarsi a sostenere pienamente il piano globale di risposta umanitaria, mantenendo nel contempo i finanziamenti per le le richieste umanitarie esistenti. Altrimenti s creerebbe un ambiente in cui il colera, il morbillo e la meningite possono prosperare, in cui ancora più bambini diventano malnutriti e in cui gli estremisti possono prendere il controllo: un ambiente che sarebbe il terreno fertile perfetto per il coronavirus».