Porto sicuro: in Libia nel 2019 sono stati uccisi almeno 284 civili, i feriti sono 363

Condizioni terribili nei centri di detenzione dei profughi e migranti: omicidi, torture, rapimenti e stupri nell’impunità assoluta

[23 Dicembre 2019]

Mentre in Italia l’ex ministro degli interni, accusato di aver violato il suo stesso decreto, dice di aver difeso la Patria (quella “nuova” italiana, non la Padania dei bei tempi che furono), l’Office of the High Commissioner for Human Rights (Unhr) e l’United Nations Support Mission in Libya (UNSMIL)  dicono che quel “porto sicuro” dove Salvini voleva rispedire i profughi non era sicuro per niente: nel 2019, «Almeno 284 civili sono stati uccisi e 363 feriti in seguito al conflitto armato in Libia, cioè più di un quarto in rapporto all’anno scorso». E nessuno sa davvero cosa succede a civili, profughi e migranti nelle aree in mano alle milizie tribali e settarie che si scontrano nella sanguinosa guerra per procura libica.

Il portavoce dell’ Unhr, Rupert Colville, ha sottolineato che «Gli attacchi aerei sono stati la principale causa di perdite civili, con 182 morti e 212 feriti, sopravvissuti ai combattimenti sul terreno, ai meccanismi esplosivi improvvisati, ai rapimenti e ai tentativi di assassinio».

In questo porto sicuro, durante lo stesso periodo, l’Organizzazione mondiale della sanità ha documentato una sessantina di attacchi legati al conflitto a presidi sanitari e al personale sanitario, con un aumento del 70% rispetto al 2018. Secondo gli uffici dell’alto commissario Onu Michelle Bachelet, «Queste vittime civili testimoniano il deterioramento della situazione dei diritti umani in Libia, in particolare per l’impatto del conflitto in corso sui civili».

Nel porto sicuro libico, giornalisti e difensori dei diritti umani continuano ad essere fatti oggetto di violenze, minacce e molestie, l’Onu ricorda il caso più recente, quello di Reda Fhelboom, difensore dei diritti umani e noto giornalista che è stato e arrestato il 14 dicembre all’aeroporto di Mitiga a Tripoli da un gruppo armato che sostiene il governo di Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj, riconosciuto e appoggiato dall’Italia e dalla maggior parte della comunità internazionale. Colville ha detto: «Temiamo che la sua successiva scomparsa possa essere collegata al suo lavoro come difensore dei diritti umani o di giornalista».

Fhelboom si occupa anche della sorte dei migranti e dei rifugiati, che in Libia continua ad essere terribile e molto preoccupante. L’Onu denuncia che «Continuano a essere regolarmente vittime di abusi, in particolare di esecuzioni extragiudiziarie, di detenzioni arbitrarie, di sparizioni forzate, di tortura, di violenze sessuali e sessiste, di rapimenti per riscatto, di estorsione e di lavoro forzato. Delle violazioni commesse da agenti dello Stato, da trafficanti e da passeurs»                   .

Tornando al “porto sicuro”, l’Unhr spiega che «Tra gennaio novembre, plus de 8.600 migranti sono stati intercettati in mare dalla guardia costiera libica e rinviati in Libia, che non può essere evidentemente considerata come un porto di sbarco sicuro. Soprattutto quando un gran numero di persone intercettate sono state rinviate in centri di detenzione ufficiali e non ufficiali, o quando sono regolarmente vittime di gravi violazioni dei diritti umani e di abusi». Una situazione ancora più preoccupante perché le bande armate dei due governi in conflitto continuano ad ammassare armi e munizioni vicino a siti civili, in particolare nei centri di detenzione dove vengono imprigionati i migranti e i rifugiati.

Colville ha insistito: «Ricordiamo alle parti il loro obbligo di prendere tutte le precauzioni possibili contro gli effetti degli attacchi». Ma come può essere credibile in materia di diritti umani la comunità internazionale quando un ministro di un Pese del G7, dell’ex potenza coloniale e che resta ancora importante in Libia, dove sfrutta giacimenti di petrolio e gas, impedisce a una sua nave militare carica di migranti e profughi stremati di entrare in un suo porto davvero sicuro?

L’Onu stima che attualmente nell’inferno delle 28 prigioni ufficiali libiche siano detenute, sotto l’autorità del ministero della giustizia del governo di Tripoli, 8.813, i due terzi delle quali in detenzione provvisoria e denuncia che, «Delle informazioni credibili parlano di detenzioni arbitrarie, di torture, di violenze sessuali e di genere e del sovraffollamento dei centri di detenzione sotto controllo del ministero dell’interno». Colville fa notare che «Le condizioni nei luoghi di detenzione non ufficiali, spesso gestite da gruppi armati, sono ancora più difficili da controllare e rischiano di essere ancora peggiori».

Inoltre l’Office of the High Commissioner for Human Rights dell’Onu denuncia «il clima di impunità che persiste in Libia, in particolare con l’assoluzione del 15 dicembre da parte della Corte d’Appello di Tripoli di tutti gli accusati, incluso l’ex capo dei servizi segreti Abdullah Senussi, nel processo per il massacro di 1.200 persone nella prigione di Abu Salim a Tripoli nel 1996».

Colville conclude ricordando che «Il massacro di Abu Salim è una delle cose che hanno portato alla rivolta del 2011 in Libia. Ribadiamo la richiesta fatta a settembre per la creazione di un meccanismo investigativo per gravi crimini commessi in Libia».