Sahel: il Burkina Faso epicentro di una drammatica crisi umanitaria e climatica

Jihadisti e Stato Islamico all’attacco anche in Mali e Niger. Dove la retorica pelosa dell’aiutiamoli a casa loro mostra tutta la sua ributtante ipocrisia

[20 Novembre 2019]

Il World food programme (Wfp/Pam) ha lanciato un preoccupato allarme sul peggioramento della crisi umanitaria in atto in Burkina Faso e nei Paesi confinanti della fascia saheliana centrale dell’Africa occidentale. L’agenzia Onu sottolinea che le cause principali sono «La violenza diffusa e l’impatto a lungo termine del cambiamento climatico». Il Burkina Faso, che era rimasto fino a pochi anni fa immune dal contagio jihadista è ora sotto attacco da parte di gruppi armati provenienti da nord come al-Qaeda nel Sahel/Jama’a Nusrat al Islam wa al Muslimeen, e da sud da Boko Haram e dal nuovo pericolosissimo Islamic State West Africa Province nato da una sua scissione. Il nord del Burkina Faso e buona parte del Mali centrale sono ormai un califfato jihadista di fatto che sfida il governo di Ouagadougou e il mondo indifferente.

Secondo il Wfp, «La risposta umanitaria deve essere rapidamente potenziata, se si vogliono proteggere e salvare vite nel Burkina Faso e nella regione». David Beasley, direttore Esecutivo del Wfp è molto preoccupato: «Il Burkina Faso sta vivendo una crisi drammatica, che ha sconvolto le vite di milioni di esseri umani. Quasi mezzo milione di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case e un terzo del Paese è considerato ora zona di guerra. Le nostre squadre che sono sul campo registrano tassi di malnutrizione ben al di sopra della soglia di emergenza. Significa che bambini piccoli e madri che hanno appena partorito sono particolarmente in pericolo. Se il mondo vuole davvero salvare vite, questo è il momento».

Dopo la cacciata del dittatore Blaise Compaorè nel 2014, il Burkina Faso non è riuscito ad uscire dalla fase post-rivoluzionaria ed è stato oggetto di sanguinosi attacchi jihadisti. Nella prima metà di quest’anno nel Paese c’è stato un brusco aumento delle violenze, con più attacchi di quanti ne siano avvenuti in tutto il 2018 e con 4 volte più vittime civili. Le milizie islamite vedono evidentemente in questo piccolo e poverissimo Paese, che con Thomas Sankara rappresentò una speranza socialista per tutta l’Africa, il punto debole nel cuore dell’Africa occidentale dove imporre con le armi e il terrore un califfato nero.

La situazione è ogni giorno più grave e il Wfp ricorda che «I livelli crescenti di insicurezza hanno portato alla chiusura delle scuole e all’abbandono dei campi da parte degli agricoltori, fuggiti in cerca di salvezza, in un Paese dove quattro persone su cinque contano sull’agricoltura per i propri mezzi di sostentamento. L’impatto sui 20 milioni di persone che vivono in aree di conflitto nella regione è drammatico. Solo nel Burkina Faso, almeno 486.000 persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni. Nei tre paesi del Sahel centrale (Mali, Niger e Burkina Faso, ndr) gli sfollati sono ora 860.000 mentre arrivano a 2,4 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza alimentare anche se la cifra potrebbe aumentare a causa dei continui sfollamenti».

E’ questa l’area dove l’Europa e l’Italia hanno cercato di creare una barriera contro i migranti dando lauti finanziamenti ai governi e addestrando e armando eserciti, ma evidentemente si sono scordati che il pericolo più grande per l’Europa non sono i migranti e i profughi ma chi su quella disperazione e povertà sta cercando di creare un nuovo Stato del terrore e dell’odio dopo non esserci riuscito in Siria e Iraq.

Inoltre, l’avanzata Jihadista dimostra il fallimento dell’intervento armato francese e dei Paesi del G5 Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger) per riportare la pace in Niger dopo la rivolta indipendentista dei tuareg che dichiararono l’indipendenza dell’Azad per poi essere soppiantati da un califfato islamista nel nord del Mali. Il Mali “pacificato” si è rivelato invece un focolaio incontrollabile di guerre tribali/settarie che ha infettato anche il Burkina Faso e che la Francia sembra aver lasciato al suo destino. Un’infezione che ha contagiato anche il Niger, sul quale l’Italia ha investito molto in funzione anti-immigrati.

Ed è qui, in questo epicentro di violenza e povertà, che la retorica pelosa dell’aiutiamoli a casa loro mostra tutta la sua ributtante ipocrisia: Il Wfp e le altre agenzie umanitarie «si trovano ad affrontare la crisi crescente in un momento in cui scarseggiano i finanziamenti a sostegno delle operazioni di soccorso e nuove risorse sono necessarie per rispondere ai maggiori bisogni».

Come se non bastasse. «Anche al netto dell’insicurezza che aggrava la situazione, il Sahel è colpito duramente dai cambiamenti climatici e molte comunità stanno già cercando di adattarsi all’imprevedibilità del clima», dice il Wfp che parla di sfida immensa: «Rispondere ai bisogni umanitari immediati e, allo stesso tempo, salvaguardare gli investimenti fatti nella resilienza e nella auto-sufficienza delle comunità affinché i progressi fatti negli ultimi anni non siano vanificati».

Mentre i negazionisti climatici di casa nostra, quelli stessi che dicono che dal Sahel non si fugge ma si viene in Italia per noia e per rubarci il lavoro con la complicità delle agenzie Onu e delle ONG, comiziano e si fanno i selfie, il Wfp ha rafforzato la sua risposta, fornendo quest’anno assistenza alimentare e nutrizionale ad oltre 2,6 milioni di persone nei tre Paesi del Sahel Centrale, concentrando gli sforzi in aree dove i bisogni umanitari sono maggiori e dove si sono verificati i maggiori spostamenti di popolazione. Il Wfp ha urgentemente bisogno di 150 milioni di dollari per le operazioni nei tre Paesi del Sahel centrale, che includono sia le attività emergenziali che quelle sulla costruzione della resilienza. Qualcuno è disposto ad aiutarli a casa loro o spettiamo che la fragile diga si rompa e insieme alla disperazione e al disastro climatico tracomi anche lo Stato Islamico con tutti i suoi neri e sanguinari fantasmi?