Turchia ed ex Yugoslavia nell’Ue? Troppi problemi per democrazia e diritti umani

La Commissione europea: «Allargamento fondamentale per rafforzare la stabilità economica e politica nella regione»

[10 Novembre 2015]

Con  una serie di relazioni annuali adottate oggi (e che sembrano destinate a far discutere), la Commissione europea «ha valutato lo stato di avanzamento dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Serbia, Macedonia) e della Turchia nei preparativi per l’adesione all’Ue e ha delineato il percorso da seguire per affrontare i problemi ancora irrisolti.  La Commissione Ue spiega che «I negoziati di adesione con la Turchia sono stati avviati nel 2005 ma procedono molto a rilento. Sono in corso negoziati di adesione con il Montenegro dal 2012 e con la Serbia dal 2014. Il processo di adesione all’UE dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia — un paese candidato dal 2005 — si trova ancora in una fase di stallo. L’Albania ha ottenuto lo status di Paese candidato nel 2014 e sta affrontando una serie di priorità fondamentali prima che la Commissione possa raccomandare l’avvio di negoziati di adesione. Nel mese di giugno è entrato in vigore un accordo di stabilizzazione e di associazione (ASA) con la Bosnia-Erzegovina. Ad ottobre 2015 è stato firmato un ASA con il Kosovo».

A determinare queste difficoltà sono problemi che riguardano la qualità stessa della democrazia nei Paesi richiedenti, una governance spesso mediocre e con forti infiltrazioni criminali (come in Montenegro, ma non solo) ed una politica dei diritti umani e delle minoranze che sia in Turchia che negli  Stati dell’ex Yugoslavia e in Albania mostrano ancora preoccupanti arretratezze, per non  parlare del disastroso fallimento della creazione del Kossovo o della situazione di frantumazione etnico/politica della Bosnia Erzegovina e della guerra civile nuovamente scatenata dal regime di Erdogan contro i kurdi della Turchia e di Iraq e Siria.

Problemi ben presenti anche al Commissario Ue  Johannes Hahn che, presentando le relazioni ha detto: «L’attuale crisi dei rifugiati dimostra quanto sia cruciale una stretta cooperazione tra l’Ue e i Paesi dell’Europa sudorientale. Il processo di allargamento dell’Ue, che comprende i Balcani occidentali e la Turchia, è uno strumento potente per rafforzare lo Stato di diritto e i diritti umani in questi Paesi, in grado di promuovere anche lo sviluppo economico e la cooperazione regionale. Una chiara prospettiva europea facilita la graduale trasformazione dei nostri paesi partner e rafforza la stabilità intorno all’Unione. Pertanto, il nostro fermo impegno riguardo all’allargamento dell’Ue e alle condizioni connesse costituisce un investimento a lungo termine nella sicurezza e nella prosperità della stessa Europa».

Un approccio volontaristico – a volte velato di paternalismo neocoloniale –  che punta a mantenere boni rapporti con governi amici ma spesso inguardabili e venati di autoritarismo clanico e che rischia di nascondere le enormi difficoltà e differenze, la vera e proprie impossibilità di riportare a standard europei regimi autoritari come la Turchia e quelli dove spesso la democrazia è un paravento dietro le quali si muovono lobbies affaristiche e/o etniche, come purtroppo succede in troppi Paesi dei Balcani.

Sembrerebbe che l’Unione europea non abbia imparato nulla dalla difficile e non ancora compiuta integrazione dei Paesi ex comunisti dell’Europa orientale, dove ancora oggi, a molti anni dall’adesione all’Ue la qualità della democrazia e della governance, ma anche dell’economia, lasciano molto a desiderare e, come Bulgaria o in Ungheria, l’integrazione si è trasformata in un regime nazionalista ed autoritario che ha infettato con le sue idee fascistoidi sul respingimento dei migranti e sull’invasione “musulmana”  anche Paesi come Slovenia, Croazia e Slovacchia, mentre la Romania è in piena crisi politica, con un governo socialdemocratico corrotto appena dimessosi e senza un’alternativa credibile da parte di una destra che si è più volte dimostrata incapace di governare e altrettanto cleptocratica.

Ma quando parla di “Sfide comuni” la Commissione europea sembra pensare a questi Paesi soprattutto come a indispensabile retrovia sul fronte dell’immigrazione: «La regione è stata gravemente colpita dalla crisi dei rifugiati. La Turchia fornisce un sostegno considerevole a oltre 2 milioni di rifugiati siriani sul suo territorio. I Paesi dei Balcani occidentali, in particolare l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e la Serbia, hanno dovuto far fronte dall’inizio dell’anno a un flusso massiccio di cittadini di Paesi terzi in transito sul loro territorio. La sfida costituita dalla migrazione dimostra più che mai la necessità di cooperare strettamente con i Paesi dell’allargamento e l’Ue ha predisposto un ingente sostegno a tal fine». Un sostegno che però non sembra andare a beneficio di rifugiati e richiedenti asilo, visto le scene che ci tocca vedere, con i nuovi muri di filo spinato e la polizia che manganella donne, vecchi e bambini lasciati sotto la pioggia e al freddo di quei confini che l’Europa e il crollo del comunismo avrebbero dovuto spalancare.

Ma anche la Commissione Ue  ribadisce che nel processo di adesione occorre dare priorità alle questioni fondamentali: «Lo Stato di diritto, i diritti fondamentali, il rafforzamento delle istituzioni democratiche, compresa la riforma della pubblica amministrazione, lo sviluppo economico e la competitività continuano ad essere temi di primaria importanza. Si registrano alcuni progressi, ad esempio con l’adozione della normativa pertinente e con l’introduzione delle necessarie strutture amministrative, ma molto spesso vi sono carenze dal punto di vista dell’attuazione pratica». La Commissione avverte che «continuerà ad esortare i Paesi a privilegiare le riforme in questi settori chiave e a ottenere risultati concreti», ma è difficile pretenderlo se la qualità della democrazia peggiora anche all’interno dell’Ue e se in Europa si affermano, come in Ungheria, Polonia, Paesi Baltici… forze che respingono esplicitamente l’idea di democrazia fondante dell’Europa e che guardano più a Washington che a Bruxelles, spesso  per mantenere aperto lo scontro nazionalistico con la Russia.  E’ difficile pretenderlo se si sanziona pesantemente la Grecia colpevole di avere un governo troppo di sinistra e si lascia che in Portogallo si tenti un golpe costituzionale, fortunatamente fallito perché socialisti, comunisti, verdi e blocco di sinistra hanno raggiunto un accordo per un governo maggioritario che impedisca il golpe di centrodestra ordito da uomini che sono gli eredi politici dell’ex presidente della Commissione europea Manuel Barroso.

La Commissione Ue ammette che in Turchia e nei Balcani, «Malgrado i considerevoli progressi realizzati nello scorso anno, restano da affrontare importanti sfide. Per quanto riguarda lo Stato di diritto, i sistemi giudiziari non sono sufficientemente indipendenti, efficienti e responsabili. Sono ancora necessari sforzi consistenti per combattere la criminalità organizzata e la corruzione, in particolare per costituire una valida casistica di indagini, procedimenti giudiziari e condanne definitive. Sebbene i diritti fondamentali siano ampiamente sanciti dagli ordinamenti giuridici, nella pratica vengono spesso disattesi. La libertà di espressione, che costituisce una delle sfide principali, è ancora fortemente compromessa in diversi Paesi. Per garantire la necessaria capacità amministrativa e contrastare l’elevato tasso di politicizzazione e la mancanza di trasparenza, occorre portare avanti con determinazione la riforma della pubblica amministrazione. Resta molto da fare per quanto riguarda il funzionamento delle istituzioni democratiche e occorre collaborare ancora più da vicino con gli esponenti della società civile locale per consolidare le riforme in tutte le fasce della società. Nella maggior parte dei paesi persistono gravi lacune in materia di governance economica e di competitività. Lo sviluppo economico è fondamentale per la creazione di posti di lavoro e per la crescita e per stimolare l’interesse degli investitori. La Commissione ha insistito in particolare sulla cooperazione regionale e sulla promozione dello sviluppo economico e della connettività regionali. In questo campo sono stati conseguiti importanti progressi, in particolare mediante il “processo di Berlino” e il gruppo dei “sei Balcani occidentali”. La Commissione sottolinea inoltre la necessità di instaurare buone relazioni di vicinato e superare le controversie bilaterali».

Insomma, nei piccoli Paesi non va bene quasi niente, mentre la Turchia ha già mandato a dire che non ha nessuna intenzione di adeguarsi agli standard democratici dell’Ue dopo che il partito islamista AKP ha stravinto grazie alla strategia della tensione, alla guerra contro le minoranze ed all’alleanza con l’estrema destra fascista dei Lupi Grigi.

Di fronte a questa regressione democratica la Commissione europea  dice che da quest’anno ha introdotto un approccio rafforzato per la valutazione delle questioni fondamentali e dei relativi capitoli dell’acquis: «La strategia globale di allargamento è diventata pluriennale e coincide con il mandato della Commissione. Oltre a riferire sui progressi compiuti, si pone ancora di più l’accento sul livello di preparazione per assumere gli obblighi che comporta l’adesione. Allo stesso tempo, le relazioni forniscono anche indicazioni più chiare su ciò che i paesi sono chiamati a fare sia nel breve che nel lungo periodo. Vengono utilizzate scale di valutazione armonizzate per accrescere la comparabilità tra i paesi e migliorare la trasparenza del processo di adesione, anche al fine di garantire un maggiore controllo delle riforme da parte di tutti i soggetti interessati».

Per le conclusioni e raccomandazioni dettagliate sui singoli paesi, si veda:

Albania

Bosnia and Herzegovina

Kosovo

Montenegro

Serbia

The former Yugoslav Republic of Macedonia

Turkey