Yemen, continua lo scambio di prigionieri tra houthi e sauditi, ma resta la più grave crisi umanitaria del mondo

Il governo di Sana’a: catturati migliaia mercenari sauditi e sudanesi

[20 Ottobre 2020]

L’inviato speciale dell’Onu nello Yemen, Martin Griffiths, che ha esortato tutte le parti in conflitto ad accettare ulteriori misure di costruzione della pace e ha accolto con favore il “ponte aereo della speranza” concordato tra il governo di Sana’a guidato dagli houthi sciiti e l’Arabia saudita che guida la coalizione sunnita che ha invaso il sud dello Yemen nel marzo del 2015 e che da allora bombarda il nord dello Yemen.

Sono stati liberati più di 700 prigionieri in quella che è la più importante operazione di  pace e distensione dall’inizio del conflitto yemenita che ha causato decine di migliaia di morti. L’accordo, raggiunto a settembre a Ginevra sotto il patrocinio dell’Onu, prevede la liberazione di più di 600 combattenti houthi e di 400 della coalizione sunnita. Nei giorni scorsi il movimento sciita Ansarallah al potere a Sana’a ha liberato anche due prigionieri statunitensi, da tempo nelle sue mani, mentre circa 200  houthi sono potuti tornare dall’Oman, dove erano andati a curarsi.

Il Comitato internazionale della Croce Rossa (Circ), che supervisiona le operazioni di scambio di prigionieri, riferisce che ieri mattina cinque aerei della sua flotta sono decollati da Abha, Sanaa e Seiyoun, carichi di prigionieri. Griffiths sottolinea che «L’accordo rappresenta un altro segno che un dialogo di pace può essere portato avanti» ma ha ricordato che «Sebbene lo scambio di prigionieri che continua da venerdì porterà immenso sollievo e conforto a molte famiglie, non include molte altre migliaia di yemeniti detenuti nel corso di questo conflitto» che l’Onu stima in almeno 15.000.

Per questo yemeniti e coalizione a guida saudita si riuniranno nuovamente per trovare un accordo per il rispetto dell’impegno assunto a Stoccolma nel 2018 di «rilasciare tutti i prigionieri legati al conflitto e detenuti. Ci auguriamo che l’attuazione dell’accordo sui prigionieri crei fiducia e slancio dimostrando che un dialogo pacifico può essere portato a termine».

Di fronte al Consiglio di sicurezza dell’Onu, il 15 ottobre, Griffiths si era detto «Né sorpreso né scoraggiato per il fatto che il governo internazionalmente riconosciuto e Ansarallah debbano ancora concordare una dichiarazione comune per porre fine alla guerra e aprire la porta alla pace». Dopo aver ricordato che i negoziati sono ripartiti dopo la richiesta del Segretario generale dell’Onu di un cessate il fuoco globale, Griffiths ha spiegato che «La  Dichiarazione congiunta è un insieme ambizioso di accordi che comprende un cessate il fuoco a livello nazionale, misure economiche e umanitarie e la ripresa del processo politico. Stiamo chiedendo molto alle parti.  Tuttavia, sullo sfondo di una fiorente economia di guerra, che erode le istituzioni statali, aumenta l’interferenza e gli attori del conflitto che si frammentano e si moltiplicano, è necessario che le parti agiscano con urgenza per concludere la Dichiarazione Congiunta. Più a lungo andrà avanti questo conflitto, più difficile sarà invertire tutto questo».

E mentre gli yemeniti continuano a soffrire per l’aumento dei prezzi, l’interruzione dei servizi, la chiusura delle scuole e i violenti  attacchi violenti ai diritti umani delle donne, l’inviato speciale ha implorato l’Onu e la comunità internazionale di «Aiutare il paese a trovare una pace giusta, onorevole e sostenibile».

Ma il governo di salvezza nazionale yemenita al potere nel nord ha reso noto qualcosa che potrebbe complicare ulteriormente il conflitto: secondo il  capo del comitato nazionale per gli affari dei prigionieri dello Yemen, Abdolqader al Murtaza. citato dall’agenzia iraniana IRIB,  le milizie houthi  avrebbero «catturato migliaia di mercenari sauditi e sudanesi, membri della coalizione militare guidata da Riad. Per quanto riguarda le trattative sullo scambio di detenuti, Riad cercava di svolgere solo il ruolo di mediatore. Per noi però non era accettabile. Abbiamo chiesto ai sauditi di partecipare ai negoziati. E loro l’hanno accettato».

L’esponente Del governo di San’a ha anche denunciato che «i prigionieri yemeniti nelle carceri saudite subiscono torture. Molti di loro sono stati colpiti da malattie contagiose per la mancanza di cure mediche dovuta alla negligenza  praticata deliberatamente dai responsabili carcerati sauditi».

Non risulterebbero invece mercenari iraniani tra i prigionieri in mano ai Sauditi, anche se la coalizione sunnita ha spesso accusato Teheran di partecipare direttamente al conflitto.

Mentre sciiti e sunniti si scambiano prigionieri e accuse, il coordinatore dei soccorsi di emergenza dell’Onu, Mark Lowcock, ha avvertito che «La finestra per prevenire la carestia nello Yemen si sta chiudendo» e, citando i dati sulla sicurezza alimentare, ha rivelato che «La  fame peggiore si concentra nelle zone colpite dal conflitto. Inoltre, con solo il 42% del piano di risposta umanitaria del Paese finanziato, le agenzie umanitarie hanno dovuto tagliare l’assistenza a 4 milioni di persone dall’inizio dell’anno».

Gli attacchi e le minacce da parte di gruppi armati e altre condizioni di insicurezza prendono di mira proprio il personale umanitario in prima linea e anche Lowcock ha evidenziato che «La crisi ha urgente bisogno di una soluzione politica per aiutare a togliere il paese dall’orlo del baratro della carestia. Allo stesso tempo, l’economia vacillante – un fattore determinante chiave del rischio di carestia chiave – ha reso il cibo e altri beni di base fuori dalla portata di milioni di persone.  Attualmente ci sono 47 linee del fronte attive in tutto lo Yemen, il maggior numero mai registrato. Lo Yemen ha bisogno di un cessate il fuoco a livello nazionale».

Il 17 ottobre, Lise Grande, coordinatrice umanitaria Onu per lo Yemen, ha confermato che «Il numero di vittime civili è aumentato notevolmente nei recenti combattimenti a Hudaydah e Taizz. Nel governatorato di Hudaydah, almeno 4 civili sono stati uccisi e 28 feriti, tra cui donne e bambini in molteplici incidenti dalla fine di settembre. Questi includono gli attacchi a Durayhimi il 4 ottobre che hanno ferito una ragazza e quattro uomini nei villaggi di Al Manqam e Al Jariah. Nel distretto di Al Hawak, un bambino è stato ucciso e cinque bambini e altri due civili sono rimasti feriti nella zona di Rasbah il 6 ottobre. L’8 ottobre, i bombardamenti hanno distrutto la scuola di Al Thakafa e danneggiato il centro sanitario di Mandhar. A Taizz, quattro civili sarebbero stati uccisi e ben 26 civili feriti in attacchi dall’inizio di ottobre. In un incidente l’11 ottobre, un bambino è stato ucciso e due uomini feriti da una granata che ha colpito il cortile della scuola del 22 maggio nel distretto di Salh. In un altro, il 15 ottobre, i bombardamenti di artiglieria a est di Taizz City hanno provocato numerose vittime civili».

La Grande ha evidenziato che «Gli yemeniti innocenti continuano a morire e soffrire a causa di questa terribile guerra. Dobbiamo essere chiari, assolutamente chiari su questo: le parti che hanno impugnato le armi sono responsabili, moralmente e legalmente, di fare tutto il possibile per proteggere i civili e garantire che ricevano l’assistenza di cui hanno diritto e di cui hanno bisogno. Ci sono opzioni politiche sul tavolo per porre fine ai combattimenti e passare al dialogo politico. Con l’incombenza della carestia e l’esaurimento dei fondi, le parti devono trovare la forza e il coraggio per farlo. Lo Yemen rimane la peggiore crisi umanitaria del mondo. Quasi l’80% della popolazione – oltre 24 milioni di persone – necessita di una qualche forma di assistenza e protezione umanitaria. A metà ottobre, sono stati ricevuti solo 1,4 miliardi di dollari dei 3,2 miliardi di dollari necessari nel 2020».